BLANCARDI, Giovanni Battista
Nacque a Sospello il 14 nov. 1583. Il padre, Carlo Antonio, avvocato patrimoniale di Sospello e quindi di Savoia, lo avviò agli studi di legge che il B. concluse a Torino nel 1606. "Leggista del mattino" per le discipline giuridiche dal 1607, conseguì cinque anni dopo l'incarico di "canonista straordinario"; consolidata successivamente la sua posizione accademica (nel 1626-27 il B. maturava uno stipendio di 800 scudi), poté dedicarsi con maggiore applicazione alla ricerca erudita e ai primi lavori di carattere storico-giuridico. Una sua Vita del beato Bernardo marchese di Baden morto a Moncalieri il 15 luglio 1428 venne stampata a Torino nel 1628; pure del 1628 - o del 1629 - è la pubblicazione di una memoria di giurisprudenza feudale, De nullitate declaratoriae excommunicationis et cedulorum in causa spolii. Erano questi anni di intensa preparazione professionale, ed egli non mancava di avvalersi della guida del padre, tra gli esponenti della scuola giuridica piemontese erede del Panciroli e autore nel 1616 di una raccolta di Notae Laudemialis ex manuscriptis annotationes nunc primum decerptae, a cui il B. avrebbe aggiunto più tardi (non si conosce la data di pubblicazione) alcune integrazioni sotto il titolo di Addizioni al trattato De Laudemiis. Il 1628, regnante Carlo Emanuele I, era anche l'anno del suo ingresso nella vita pubblica: il 1º marzo era eletto fra i membri del Senato di Piemonte, e con successiva decisione di Vittorio Amedeo I del 27 dic. 1631, senatore del consesso di Nizza. Tuttavia gli impegni dell'insegnamento universitario (nel 1630 al conferimento della "cattedra della sera" in materie giuridiche s'era aggiunta la nomina a priore del Collegio dei dottori in legge) giustificavano l'anno dopo il suo richiamo a Torino nella ristretta cerchia dei consiglieri legali del principe.
Cresciuto nel fervido clima di studi innovatori dell'Accademia Papinianea, il B. aveva mediato dal Favre, e condiviso con altri uomini di legge piemontesi suoi coetanei, l'esigenza di un indirizzo giurisprudenziale che, abbandonando la ripetizione delle formule tradizionali, aderisse concretamente alla realtà e alle necessità normative del suo tempo. Il B. non sarà tuttavia uomo di interessi eminentemente speculativi né si volgerà allo studio e all'elaborazione di nuovi istituti giurisprudenziali. Esponente fra i più rappresentativi del pragmatismo giuridico subalpino (il Tesauro lo ricorderà argutamente come "giureconsulto grave" e "a prova di bomba"), s'applicherà piuttosto come operatore del diritto ai problemi quotidiani della regolamentazione degli affari pubblici e all'interpretazione della giurisprudenza feudale, non senza tuttavia spunti originali di rinnovamento della procedura civile e soprattutto di vigile magistero nella difesa delle prerogative statuali. Il periodo centrale della sua attività verrà a coincidere, d'altra parte, con la fase culminante - all'indomani dell'asservimento del paese alla politica francese e alla vigilia della guerra civile fra madamisti e principisti - del processo di eversione statale da parte delle forze centrifughe politico-sociali operanti da tempo nel ducato e mai completamente sottomesse. Il momento non era particolarmente favorevole a iniziative di radicale rinnovamento dell'apparato giudiziario e di approfondimento critico delle linee direttive dell'ordinamento legislativo: lo studio torinese e la giurisprudenza locale si trovarono piuttosto investiti da incarichi contingenti di riaffermazione, di volta in volta, con una serie di comparse e puntualizzazioni legalistiche, della piena indipendenza della dinastia nell'ambito della complessa giurisdizione imperiale e soprattutto dell'assoluta autorità del principe nell'ordinamento civile interno. Di fronte all'assalto congiunto dei vari antagonismi aristocratici e cittadini e alle mai sopite pretese curialistiche, il governo ducale puntava sulla divisione delle forze che si opponevano al potere centrale attraverso l'infeudamento, disciplinato e sanzionato di volta in volta dal sovrano, delle terre comunali a favore della nobiltà sottomessa.
Tale fu naturalmente anche l'indirizzo a cui il B. informò la sua attività senatoriale (con competenza sulle cause riguardanti il demanio) e, dal 1638, il suo ufficio di consigliere di stato, appellandosi per l'affermazione del potere ducale ai principi di supremazia del sovrano sulla nobiltà, stabiliti dalle consuetudini feudali sabaude, e sulle varie comunità, dai singoli accordi conclusi con ciascuna di esse al tempo della loro sottomissione. Di questo processo di "rifeudalizzazione", regolato dall'alto, egli stesso poi veniva a beneficiare con l'acquisto nel giugno 1651 dei diritti di giurisdizione e di regalia sulla comunità di Cigala nel contado di Nizza, rafforzando quindi la sua posizione nell'ambito della "aristocrazia burocratica" locale. È evidente d'altra parte come, in questa situazione di progressivo rinvigorimento della feudalità e di graduale ascesa di alcune frange della borghesia professionale al rango di titolari in cumulo di cariche pubbliche e censi e commende feudali, la lotta per la riduzione dei benefici e privilegi ecclesiastici e l'allargamento delle competenze statali acquistasse particolare importanza.
Decisamente pressante era il richiamo del B., in una memoria al duca del novembre 1636, alla necessità di un più stretto controllo sulla diffusione degli atti dell'autorità ecclesiastica e sulle relazioni fra episcopato locale e Curia romana; mentre veniva ribadita l'opportunità che alla magistratura fosse confermato il compito di una sempre più severa vigilanza sugli ordini religiosi e sull'esercizio di benefici e uffici ecclesiastici onde evitare ogni "mera usurpatione che col tempo prende color et titolo di giustitia". Gravemente lesiva dei diritti del principe e preoccupante sotto l'aspetto politico si presentava in particolare - secondo il B. - la collusione della Curia vescovile di Mondovì con le consorterie municipalistiche nella difesa dei privilegi locali contro l'inasprimento delle gabelle statali. In campo patrimoniale il B., conforme alle direttive ducali di progressiva alienazione di tasse e diritti statali per le croniche necessità della finanza pubblica, si limitò, più che alla difesa del patrimonio demaniale, a un puntiglioso esercizio delle funzioni di controllo sulle rendite derivanti dalle vecchie e nuove concessioni di privilegi feudali.
Nel 1651 il B. lasciava la cattedra di diritto civile; poco dopo si ritirava dall'impiego pubblico. Morì a Torino nel 1655.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Sezione I, Lettere particolari, mazzo B, 1621 in 1654, 18 nov. 1636, 4 apr. 1649, 24 giugno 1651, 6 e 22 ag. 1654; Sezioni Riunite, Patenti Piemonte, reg. 48, f. 197; 56, f. 257; Controllo Finanze, reg. 1624, 2º, f. 147; 1626, ff. 38 e 163; 1627, f. 216; 1628, f. 238; 1629 in 1630, ff. 121 e 169; 1631 in 1632, ff. 120 e 384; 1632 in 1633, f. 225; 1634, f. 92; 1636 in 1637, ff. 121 e 225; 1638, 2º, f. 15; 1639 in 1640, f. 136; 1642 in 1643, f. 43; 1644 in 1645, f. 264; 1651, f. 79; E. Tesauro, Campeggiamenti del Serenissimo Principe Tommaso di Savoia, Torino 1674, p. 171; F. Alberti, Ateneo Sospellese, Torino 1724, pp. 24 s.; G. Galli della Loggia, Cariche del Piemonte, Torino 1798, II, p. 76; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, Torino 1881, II, pp. 325 s.; A. Manno, Il patriziato subalpino, II, Firenze 1906, p. 318; M. Chiaudano, I lettori dell'Università di Torino ai tempi di Carlo Emanuele I, 1580-1630, Torino 1930, pp. 76 ss.; C. Calcaterra, Il nostro imminente Risorgimento, Torino 1935, pp. 258, 274, 451.