BORGHESE, Giovanni Battista
Nacque a Siena, in data imprecisabile, da Niccolò di Bartolomeo, una delle personalità politiche cittadine di maggior rilievo alla fine del sec. XV. Era cognato di Pandolfo Petrucci, avendo questi sposato una sua sorella, Aurelia. La prima notizia su di lui risale al 17 giugno 1495, quando Carlo VIII, di passaggio per Siena durante la ritirata da Napoli, lo creò cavaliere insieme con altri giovani delle principali famiglie senesi.
Nel 1500 Niccolò Borghese fu ucciso in Siena da alcuni sicari incaricati da Pandolfo Petrucci: si concludevà così una lunga rivalità personale tra suocero e genero, espressione non soltanto di contrasti privati, ma anche di un diverso modo di intendere il ruolo politico della fazione alla quale entrambi appartenevano, il monte dei Nove, e il posto di Siena nel sistema degli Stati italiani. Si ignora come il B. abbia reagito alla tragedia: è possibile che, come altri suoi familiari, cedesse alle profferte di pacificazione avanzate subito dopo la morte di Niccolò dal Petrucci, rassegnandosi alla signoria di fatto assunta da Pandolfo sulla città. Ma non è escluso, dato il lungo silenzio delle fonti su di lui, che preferisse un volontario esilio ad una umiliante sottomissione. Certo è che, se pure si allontanò da Siena, dovette farvi ritorno in tempo per partecipare alla violenta ripresa di lotte faziose che caratterizzarono il periodo seguito alla morte di Pandolfo Petrucci, quando il precario equilibrio garantito dal regime che questi aveva creato si ruppe per dar luogo all'ultima drammatica fase della "libertà senese", all'insorgere degli incontrollabili odi faziosi di cui la perdita dell'autonomia doveva essere il necessario coronamento. Non pare tuttavia che il B., militando in quel partito novesco al quale lo assegnavano le tradizioni della sua famiglia, avesse in tali contese un qualche ruolo politico eminente: più probabilmente egli prestò alla sua fazione la propria abilità di spadaccino, se è vero, come ricorda l'Ugurgieri Azzolini citando i libri di Biccherna, che egli prese parte vittoriosamente a ben ventiquattro duelli.
Nel 1525, costituitosi il nuovo governo fondato sull'alleanza dei monti del Popolo, dei Gentiluomini e dei Riformatori, i principali esponenti noveschi furono banditi da Siena: tra questi furono anche il B. e un suo fratello Carlo che, come molti altri fuorusciti, trovarono rifugio a Roma, sotto la protezione di Clemente VII, interessato per la sua politica fiorentina ad alimentare la crisi della Repubblica senese. Pare probabile, ma non vi sono notizie sicure in proposito, che il B. partecipasse nei due anni seguenti ai tentativi dei fuorusciti noveschi per rientrare in Siena con l'appoggio delle milizie pontificie. Sicuro è, comunque, che egli entrò subito al servizio del papa in qualità di uomo d'arme, partecipando nel 1527 alla sfortunata difesa di Roma contro l'esercito imperiale del connestabile di Borbone.
Si ignorano le vicende del B. dopo il sacco: forse passò al servizio della Repubblica fiorentina, o piuttosto direttamente a quello di Malatesta Baglioni, divenuto nel 1529 governatore generale delle milizie fiorentine per la guerra imminente contro l'esercito imperiale e pontificio: in quell'anno, infatti, il B. faceva parte della guarnigione di Spello, agli ordini di Leone Baglioni, fratello naturale di Malatesta.
Attaccata Spello dagli Imperiali del principe d'Orange, sebbene, a quanto riferisce il Guicciardini, Malatesta Baglioni avesse avuto dal fratello "speranza grande della difesa", la guarnigione si arrese subito, "con grandissimo vituperio de quelli che erano a la guardia de quel luogo, li quali senza aspettare la bateria subito capitolorono", come a loro volta scrivevano il 4 ag. 1529, al loro oratore a Venezia, Bartolomeo Gualterotti, i Dieci di libertà e di pace (Sanuto, LI, coll. 494 s.). Gli stessi magistrati fiorentini riferivano che responsabile dell'ingloriosa resa era stato il B., il quale aveva iniziato le trattative con Fabio Petrucci, il maggiore esponente del fuoruscitismo novesco, che militava nell'esercito imperiale. Ed il Guicciardini, accreditando questa versione, scriveva che, Malatesta Baglioni aveva attribuito il comportamento del B. "a infedeltà, molti altri a viltà d'animo".
In ogni caso il B. passava subito al servizio imperiale, prendendo a militare nei reparti comandati da Alessandro Vitelli, col quale partecipava alla successiva campagna nel contado fiorentino. Conquistata Volterra dal Vitelli, questi ne affidò al B. la custodia: con lui era anche il fratello Carlo, che evidentemente doveva averlo accompagnato in tutte le vicende di quella guerra. Nell'aprile del 1530 Volterra fu attaccata da Francesco Ferrucci ed il B. - che, come scriveva lo stesso Ferrucci, "era colonnello de tutti li altri capitani" (Sanuto, LIII, col. 219) - sostenne l'urto finché i Volterrani non cominciarono a far pressioni su di lui perché fosse evitato l'assalto della città: allora il B., la cui resistenza doveva essere stata alimentata anche dalla preoccupazione di dover in qualche modo pagare ai Fiorentini il debito contratto a Spello, si rassegnò ad entrare in trattative col Ferrucci, cedendogli Volterra in cambio della possibilità di allontanarsi indisturbato. Da Volterra il B. si portò a San Gimignano (era ancora con lui il fratello Carlo), e poi prese parte all'ultima fase della campagna, conclusasi con la caduta di Firenze.
Nel 1530, divenuto Alessandro de' Medici duca di Firenze, il B. fu assunto in qualità di capitano della guardia ducale. Ma come molti fuorusciti senesi egli rimaneva profondamente legato alla sua città, ansiosamente teso a spiare l'occasione di farvi ritorno e fermamente deciso a farsi vendetta contro gli avversari che lo avevano costretto all'esilio: questi tipici sentimenti faziosi risultano con evidenza dall'episodio che lo ebbe protagonista in quello stesso anno 1530, quando Carlo V, dopo la fine dell'assedio di Firenze, impose ai Senesi - per le arti diplomatiche di Lope de Soria e con quelle, non meno persuasive, di Ferrante Gonzaga che era entrato con le sue truppe in Val di Chiana ed aveva spinto alcuni reparti sino alla stessa Siena - di riammettere in città i fuorusciti noveschi, reintegrandoli nelle cariche pubbliche e restituendo loro i beni patrimoniali confiscati. Anche il B. fece ritorno a Siena, a capo di un gruppo di soldati fiorentini assoldato direttamente dalla fazione novesca per il periodo delle elezioni della nuova Balia. E in questa circostanza egli propose a Francesco Petrucci e a Giovanni Maria Pini di assalire di sorpresa e di trucidare i capi delle altre fazioni cittadine, assicurando così - egli riteneva - il dominio della città al monte dei Nove. Era una proposta per la quale sarebbe certamente fuor di luogo l'ipotesi, per quanto suggestiva, di una reminiscenza machiavelliana; parlavano nel B., piuttosto, secolari tradizioni di selvagge lotte faziose, quelle stesse, del resto, che ispiravano la politica "rinascimentale" del Machiavelli; ma il suggerimento del B. non fu accolto, forse perché i suoi interlocutori si spaventarono all'enormità dell'eccidio, o più probabilmente perché temettero di affrontare le conseguenze politiche del gesto, giacché sicuramente gli Imperiali, orientati ad una azione pacificatrice, non avrebbero conservato in quel caso il loro appoggio ai Noveschi. Il B., irritato per il rifiuto ("voi non volete vincere, e v'esponete a capitar male, 10 non mi ci voglio truovare", avrebbe concluso secondo il Pecci), lasciò Siena con i suoi soldati e fece ritorno a Firenze, riprendendo il proprio posto alla corte medicea.
Si perdono quindi le tracce del B. sino al 1544, allorché prese parte alla spedizione in Germania dei contingenti pontifici per la guerra smalcaldica, agli ordini di Ottavio Farnese, gonfaloniere della Chiesa. Secondo l'Ugurgieri Azzolini il B. avrebbe avuto nella spedizione il grado di colonnello e avrebbe partecipato al consiglio di guerra di Carlo V, "votando in voce ed in scontrino". Non se ne hanno altre notizie.
Degli altri numerosi figli di Niccolò Borghese, Bartolomeo nel 1508, in occasione della congiura organizzata da Leonardo Bellanti, dovette dar prova notevole di fedeltà al cognato Pandolfo Petrucci, se in quel medesimo anno gli furono assegnate dal governo senese dodici moggia di terreno "per i lodevoli portamenti verso la Repubblica" (Pecci, II, p. 64). Si perdono poi le sue tracce sino al 1525, quando aderì al tentativo di signoria operato in Siena da Alessandro Bichi; da questo fu incaricato, insieme con Girolamo Ghini Bandinelli, di una ambasceria presso il viceré di Napoli de Lannoy, una iniziativa che è da mettere in relazione con i tentativi del nuovo regime - dopo la vittoria degli Imperiali a Pavia - di accostarsi agli Spagnoli facendo dimenticare i propri trascorsi filofrancesi. Dopo il fallimento dell'esperimento del Bichi e la sua uccisione, rimase esposto come gli altri inaggiorenti noveschi alla vendetta degli avversari, che in effetti non tardò: dopo il sacco di Roma che liberava il governo dei popolari da ogni immediato timore di rappresaglie da parte di Clemente VII, vecchio protettore dei Noveschi, la fazione al potere, il 26 luglio 1527, scatenò la plebaglia contro gli sconfitti, la casa della famiglia Borghese fu distrutta e Bartolomeo Borghese fu ucciso con numerosi congiunci. Altro figlio di Niccolò fu Bernardino (da non confondere con un omonimo figlio di Galgano, eletto membro del Consiglio del popolo nel giugno 1479: vedi Allegretti, coll. 798, 804), il quale nel 1493 risulta lettore di diritto civile nello Studio senese, con uno stipendio di 65 fiorini annui. Dopo l'uccisione del padre, Leonardo Bellanti, esponente anche lui della vecchia oligarchia novesca ed ostilissimo a Pandolfo Petrucci, gli scriveva il 18 ag. 1500, esortandolo a respingere le profferte di pacificazione di Pandolfo, "se non vuoi in perpetuo tenere una benda et mitra d'una grandissima vergogna et infamia tua" (Donati, p. 132). Non è dato sapere, tuttavia, se Bernardino si adeguasse effettivamente a questa esortazione; pare più probabile, al contrario, che preferisse rassegnarsi al fatto compiuto, accettando l'egemonia politica del Petrucci in cambio della protezione che questi accordava alla sua clientela: non si spiegherebbe altrimenti come potesse rimanere indisturbato a Siena, dove il 3 marzo 1501 figurava quale rappresentante di sua moglie una Pantasilea non meglio identificata, in un contratto di compravendita di immobili con un maestro Giovanni di Tommaso da Pratovecchio. Sulla sua successiva attività non si hanno notizie precise: poiché risulta che un suo figlio, Ercole, il 21 luglio 1522 rivendicava presso gli "ufficiali de' terratici" di Siena, per proprio conto e per conto dei suoi fratelli, l'eredità di un fratello naturale dello stesso Bernardino, Giovanni Andrea Borghese, pare estremamente probabile che fosse già morto in quella data.
Era quindi, con ogni probabilità, un diverso personaggio l'omonimo senese che, secondo l'Ugurgieri Azzolini, si sarebbe trasferito a Roma dalla città natale, esercitando con notevole fortuna l'avvocatura nello Stato ecclesiastico: una notizia che potrebbe assai difficilmente riferirsi al figlio di Niccolò, perché, se un suo trasferimento a Roma, rifugio solito dei fuorusciti noveschi in tutte le alterne vicende della politica senese, appare verosimile, pare cronologicamente improbabile che possa attribuirglisi l'altra notizia dell'Ugurgieri Azzolini, secondo cui lo stesso Bernardino Borghese sarebbe stato nominato tra i legisti rappresentanti a Roma il re di Spagna Filippo II.
A questo terzo Bernardino Borghese andrebbe quindi attribuita l'attività letteraria ricordata dal De Angelis e dal Mazzuchelli, una traduzione, cioè, in volgare e in versi sciolti del terzo libro dell'Eneide, opera di modesto significato letterario, che tuttavia godette di molte ristampe per essere stata compresa in due fortunate sillogi di traduzioni virgiliane: I sei primi libri di Virgilio tradotti et a più illustri et onorate donne dedicati, Venezia 1540 (ristampata ancora a Venezia nel 1544), e L'opere di Virgilio cioè la Bucolica,Georgica ed Eneida da diversi eccellentissimi autori tradotte in versi sciolti, Firenze 1566e più volte ristampata a Venezia.
Relativo ad un altro figlio di Niccolò, Baldassarre rimane un breve del cardinale Giuliano Della Rovere, il futuro Giulio II, che il 2 ag. 1491consentiva al suo matrimonio con una Contessa di Giovanili Bindocci, accordando la dispensa richiesta dalle norme ecclesiastiche relative ai matrimoni tra congiunti. È probabile che questo medesimo personaggio sia da identificare con il Baldassarre Borghesi al quale il De Angelis attribuisce un poema rimasto manoscritto: De Senensis Reipublicae laudibus.
Fonti e Bibl.: A. Allegretti, Diari delle cose sanesi del suo tempo, in L. A. Muratori, Rerum Italic. Script., XXIII, Mediolani 1733, coll. 798, 804, 849; F. Donati, Una lettera relativa all'uccisione di Niccolò Borghesi, in Misc. stor. senese, I (1893), pp. 129-132; M. Sanuto, Diarii, XLV, Venezia 1896, col. 545; LI, ibid. 1898, coll. 494 s.; LIII, ibid. 1899, col. 219; F. Guicciardini, Storia d'Italia, a cura di C. Panigada, Bari 1929, V, p. 269; I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi, Pistoia 1649, I, p. 460; II, p. 197; G. M. Mazzuchelli, GliScrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, p. 1720; G. Pecci, Memorie storico-critiche della città di Siena, Siena 1755-1758, I, pp. 111, 239; II, p. 164; III, pp. 44-48; L. De Angelis, Biografia degli scrittori sanesi, Siena 1824, p. 161; N. Borghese, Vita di Santa Caterina da Siena... aggiuntovi l'elenco degli uomini illustri dell'eccellentissima casa Borghese, a cura di R. Luttazi, Roma s.d. (ma 1869), pp. 77, 150; L. Zdekauer, Lo studio di Siena nel Rinascimento, Milano 1894, p. 117; L. von Pastor, Storia dei papi, XII, Roma 1930, p. 32; U. Morandi, Le pergamene Borghesi conservate nell'archivio privato Sergardi-Biringucci, in Rassegna degli Archivi di Stato, XXV (1965), pp. 66 ss.