BUGATTI, Giovanni Battista (Mastro Titta)
Nato a Roma intorno al 1779, fu famosissimo carnefice, e a lungo attivo: eseguì ben cinquecentoquattordici "giustizie", nel periodo che va dal 22 marzo 1796 al 17 ag. 1864. D'ordinario faceva il verniciatore d'ombrelli, ed era condannato al domicilio coatto al di là del Tevere, ove abitava in Borgo Sant'Angelo, quasi sicuramente al n. 120.
Prima di "passare ponte" per recarsi sul luogo dell'esecuzione, si confessava e comunicava, poi, a giustizia avvenuta, riattraversava il fiume. "Carnefice modello, e artista veramente degno del teatro nel quale era chiamato ad agire - asserisce l'Ademollo - il B. sostenne la sua parte per sessant'otto anni; ed in ogni genere di supplizio - mazzola, squarto, forca, ghigliottina - mostrò sempre eguale abilità". La ghigliottina venne introdotta a Roma durante la dominazione napoleonica. "Nuovo edifizio per il taglio della testa", come la definì lo stesso B., che si dimostrò altrettanto esperto nel maneggio del nuovo strumento, spacciando cinquantasei teste in soli quattro anni, dal 1810 al 1813. Con la Restaurazione ritornò per breve tempo la forca, fino a che, a partire dal 1816, e salvo rare eccezioni, la ghigliottina non abbandonò più il palco delle esecuzioni romane.
Il B. operava anche nelle province; una volta, nel 1817, varcò persino il confine di Stato per recarsi a impiccare, in Firenze, il brigante Antonio Guazzini, meglio conosciuto come "Guazzino". Egli stesso, del resto, lasciò meticolosa memoria delle giustizie compiute, registrando a mano a mano in un taccuino le generalità delle vittime, il luogo e il genere dell'esecuzione, il crimine commesso. Un totale di cinquecentosedici nomi, ai quali vanno sottratti due condannati, uno perché fucilato e l'altro perché impiccato e squartato dall'aiutante. Documento fondamentale per la "storia criminale e penale dello Stato Ecclesiastico" (Ademollo), dal quale risulta altresì evidente la reazione di quel governo ai moti patriottici. Le vittime politiche arriveranno fino a Cesare Lucatelli, "romano di anni 37 - annotava il B. - reo di omicidio con animo di parte, mortoin via dei Cerchi li 21 settembre 1861". Della esecuzione di Monti e Tognetti si occuperà invece il successore del Bugatti.
Il B. godeva di uno stipendio di 15 scudi, oltre l'alloggio, e di un sussidio mensile di scudi 5, poi convertito in gratificazione di 20scudi, che gli veniva elargita a Natale, Pasqua e Ferragosto. A ogni esecuzione riceveva inoltre il simbolico compenso di un "papetto". Il 1º nov. 1864 venne collocato a riposo, con una pensione mensile di 30 scudi, "in vista della di lui senile età e dei lunghissimi servizi"; gli subentrò nella carica Vincenzo Balducci, suo aiutante dal 1850, che proseguì la cruenta missione di giustizia fino al 9 luglio 1870, ai limiti estremi del potere temporale.
Il B. morì a Roma il 18 giugno 1869, "in età di 90 anni" (come L. Morandi rilevò dalla p. 89 nel IX Libro dei Defunti conservato nella parrocchia di S. Maria in Traspontina).
Storicissimo personaggio dell'ultima Roma papale, il B. è entrato da tempo nel mondo delle leggende. Diverrà egli stesso sinonimo di "boja", per cui, secondo la cruda immagine belliana, l'affascinante Giuditta aveva magistralmente spacciato Oloferne "con un corpo da fija de Mastro Titta"; mentre i ragazzi romani svolgevano un loro gioco al canto di una cantilena: "Séga, séga, Mastro Titta, / 'na pagnotta e 'na sarciccia; / un'a me, un'a te, / un'a màmmeta che so' tre". Durante l'esecuzione, il precipitar della lama coincideva con lo schiaffo ammonitore dato dai genitori presenti ai figli condotti ad assistere per "esempio"; e il manto scarlatto del boia coloriva vivacemente la scena. Un manto è conservato, con altri cimeli e varie ghigliottine e forche, nel Museo Criminale di Roma.
Tra la folla che faceva corona al palco del B. si trovarono spesso mescolati spettatori d'eccezione. Oltre G. G. Belli, che ha dedicato più d'uno dei suoi sonetti (commentati con precise note) al famoso "boja" e ai suoi "spettacoli", vi incontriamo Massimo d'Azeglio, che riferirà nei Miei ricordi (II, 8)su una delle "giustizie" più celebri e discusse: "vedo Montanari, e il suo amico Targhini, lasciare il capo sul patibolo". Potremmo citare anche dalla Rome soutorraine di Charles Didier o dalla Rome contemporaine di Edmond About, ma vanno senz'altro indicati i nomi ben più famosi di Byron, che si trovò a piazza del Popolo il 17maggio 1817, e di Charles Dickens, presente in via dei Cerchi l'8 marzo 1845, come narrerà diffusamente nel capitolo "Rome" di Pictures from Italy. Ad essi si aggiungerà molto più tardi Bruno Barilli, evocatore del B. in uno dei brani migliori di Delirama.
Fonti e Bibl.: G. G. Belli, I sonetti, Milano 1958, sonetti 39, 60, 67, 68, 820, 1000, 1603, 1935 e 1936, 2097 e datati dal 19 ag. 1830 al 18 marzo 1846; G. Byron, Works,Letters and Journals, a cura di R. E. Prothero, London 1902-1904, IV, p. 124 (lettera 653); A. Ademollo, Le giustizie a Roma, Roma 1882, pp. 110-125; L. Morandi, Le annotazioni di Mastro Titta carnefice romano. Supplizi e suppliziati. Giustizie eseguite da G. B. B. e dal suo successore (1796-1870), Città di Castello 1886 (opera servita di base soprattutto a talune pubblicazioni popolari, a cominciare dalle dispense settimanali diffuse dal Perino, Roma, uno o due anni più tardi: Memorie di un carnefice scritte da lui stesso: Mastro Titta il boia,Roma e la giustizia dei papi);L. Morandi, in Isonetti romaneschi di G. G. Belli, Città di Castello 1886, II, pp. 390 s.; Per lo "schiaffo aricordativo" e "Sega sega, Mastro Titta", vedi G. Zanazzo, Usi,costumie pregiudizi del popolo di Roma, Torino 1908, pp. 227 e 329; sul Museo Criminale di Roma, il volumetto di R. Vozzi, Roma 1943, e l'opuscolo di N. Bonfiglio, Roma s.d.; vedi pure M. Trozzi, Il boja si confessa. Memorie di carnefici, Roma 1932, pp. 81-86; L. Iannattoni, Il manto scarlatto di Mastro Titta in vetrina al Museo Criminale, in Il Tempo, 9 nov. 1957; Id., Byron e Dickens agli "spettacoli" di Mastro Titta, in English Miscellany,Roma, X (1959), pp. 223-231; Id., Gli spettacoli di Mastro Titta, in Bocca romana,Roma 1968, pp. 91-102, tavv. f.t. 12 e 13.