CAPUCCI, Giovanni Battista
Nacque a Turi di Calabria nei primi anni del sec. XVII.
Fu medico e naturalista di una certa fama, a dire dei contemporanei, ma assai scarse sono le notizie certe sulla sua vita Studiò medicina e filosofia naturale probabilmente a Napoli, e nel colto e fervido ambiente della cultura napoletana del Seicento seppe riservarsi un posto non trascurabile, nonostante il suo temperamento modesto ed alieno dalle polemiche.
In medicina si professava galenico ed ippocratico, ma diffidava di ogni tradizione consacrata né si contentava di "iurare in verba magistri", poiché il suo sincero interessamento alla nuova corrente sperimentale lo spingeva piuttosto a cercare la verifica della esperienza come appoggio di ogni convinzione scientifica. Si ha notizia infatti di varie esperienze da lui compiute a Napoli, sulla scorta di Andrea Libavio, per dimostrare l'affinità tra il veleno della vipera e il mercurio, e per verificare l'efficacia di un antidoto, composto di acqua di vetriolo, radici ed erbe varie.
Naturalmente tale indirizzo di metodo non poteva non avvicinarlo a quegli ingegni che operavano nella stessa direzione, cioè, più che alla cosiddetta scuola magnetica, all'Accademia degli Investiganti. Il C. aderì alle teorie magnetiche sostenute da Marco Aurelio Severino, che individuava nel corpo organico la presenza di "simili" attraentisi l'un l'altro; ma proseguiva per conto suo le ricerche, ad esempio su una questione molto dibattuta nel Seicento, quella del caldo e del freddo, del raro e del denso, anche per i suoi diretti legami con la medicina. I concetti di caldo e freddo, di raro e denso al C. parevano equivoci, in quanto è sempre necessario per lui fare riferimento al senso per affermare o meno le qualità di un oggetto.
Per convincere i suoi uditori del fatto che i concetti di raro e denso sono in stretto rapporto allo spazio in cui i nostri sensi colgono gli oggetti - se lo spazio è ampio, diciamo un oggetto raro, denso se lo spazio è angusto - egli si serve dei versi virgiliani: "Adparent rari nantes in gurgite vasto". Se i nuotatori egli afferma, fossero più vicini l'uno all'altro, con una minor quantità di mare fra di loro, sarebbero più densi. Per cogliere il concetto di raro, non è necessario ricorrere al freddo e al caldo, bensì pensare che le parti di un oggetto rarefatto più o meno si avvicinano o si allontanano le une dalle altre. Per smentire l'affermazione che la condensazione è propria del freddo, il C. dimostra che il freddo talvolta può rarefare, e che viceversa talvolta il caldo può condensare, qualunque sia il concetto che si abbia del caldo e del freddo. Indipendentemente dunque dalle definizioni tradizionalmente accettate, il C. amava verificare sperimentalmente i concetti di cui si serviva. A questo scopo faceva uso della dimostrazione per assurdo e dei sillogismi, per confutare gli avversari aristotelici con le loro stesse armi.Assai più determinante per la sua formazione e per i suoi studi fu peraltro il sodalizio con T. Cornelio e Leonardo Di Capua, C. Musitano, S. Bartoli, L. A. Porzio, C. Pellegrino, D. Spinola, Francesco e Gennaro D'Andrea, e in genere con tutto l'animoso gruppo che, spinto dalle stesse esigenze che ispiravano la contemporanea Accademia del Cimento a Firenze, diede vita a Napoli nel 1650 all'Accademia degli Investiganti.
Se l'obiettivo di questa accademia, dichiarato già nella scelta del nome, era di occuparsi di cose filosofiche e naturali con un nuovo spirito di ricerca, fu Leonardo Di Capua che ne individuò la vera anima, quando lodava l'attività di quei medici - fra i quali dobbiamo vedere anche il C. - che filosofarono liberamente, cioè riscattarono la loro ricerca da ogni legame per sostenere costantemente la "filosofica libertà" (Parere..., p. 58). Così facendo essi portarono la speculazione napoletana ad accostarsi a quella francese, inglese e tedesca, il cui esempio liberamente accettato (soprattutto di Cartesio, Gassendi, Copernico, Boyle, Bacone) costituiva un punto fermo di contro all'immobile dogmatismo degli aristotelici (che avevano a loro volta fondato l'Accademia dei Discordanti) nel tentativo di scuotere, come afferma il Giannone (p. 375), "il durissimo giogo che la filosofia dei chiostri aveva posto sopra la cervice de' nostri napoletani".
Un'altra amicizia ebbe sul C. un'influenza decisiva, quella con Malpighi, il quale affermava di coltivare religiosamente tale amicizia con frequenti lettere, e di sperare che i rapporti con un uomo così colto potessero giovargli (p. 29). Il C. ammirava molto Malpighi, tanto che lo definiva un secondo Galileo; lo invitava anon tener conto dei detrattori galenici, arroganti lodatori del passato; leggeva e lodava le sue opere, come l'opuscolo De tactu, inviatogli per incitamento di G. Ruffi.
Dopo aver esercitato a lungo la medicina a Napoli con un certo successo (assai apprezzate erano le sue opinioni mediche come quelle sulla respirazione, il cui compito principale negava che fosse la refrigerazione del cuore e del sangue, o sull'attività che deve svolgere il medico per ristabilire, senza modificarlo, l'equilibrio instabile dell'uomo, alterato dal morbo), trascorse gli ultimi anni a Crotone. Qui, abbandonata la pratica medica, temperava l'ozio con la lettura delle più recenti opere di filosofia e di medicina, che richiedeva con insistenza agli amici di Napoli, poiché il piccolo centro calabrese non offriva granché al suo desiderio di sapere. Considerato da molti un nuovo Pitagora, morì a Crotone nel penultimo decennio del sec. XVII.
Tra le sue opere si ricorda una Exercitatio (in M. A. Severino, Vipera Pythia, Patavii 1651, pp. 511-517), sugli antidoti contro il veleno delle vipere, una lettera che precede le Exercitationes paradoxicae di Sebastiano Bartoli (Venetiis 1666), una Epistola circa responsum adversus Liparum auctorem Triumphi Galenici (in Opera posthuma M. Malpighii, Amstelodami 1698, pp. 42 ss.), scritta in occasione della disputa sosenuta da Malpighi contro il messinese Michele Lipari, e numerose altre lettere.
Fonti e Bibl.: L. Di Capua, Parere... divisatoin otto ragionamenti, Napoli 1681, p. 586; Id., Lectiones natura mephitium concernentes, III, Neapoli 1683, passim; L. A. Porzio, Dissertat. variae, Venetiis 1684, pp. 5 9, 112, 113, 119, 127, 134, 136, 149; G. Gimma, Idea della st. dell'Italia letterata, II, Napoli 1723, p. 483; Id., Elogi accademici dellaSocietà degli Spensierati di Rossano, I, Napoli 1723, p. 146; M. Malpighi, Opera medica et anatomicavaria, Venetiis 1743, p. 29; L. Giustiniani, Brevecontezza delle Accad. istituite nel Regno di Napoli, Napoli 1801, p. 43; P. Giannone, Istoria civiledel Regno di Napoli, IX, Milano 1822, p. 375; C. Minieri Riccio, Cenno storico delle Accad. fiorite nella città di Napoli, in Arch. stor. per le prov. napoli, IV (1879), p. 531; M. Maylender, Storiadelle Accad. d'Italia, III, Bologna 1929, p. 368; A. Belloni, IlSeicento, Milano 1929, p. 547; N. Badaloni, Introd. a G. B. Vico, Milano 1961, pp. 31 n., 40, 65 n., 69 n., 104-106 n., 109 s., 290 n.; C. Jannaco, IlSeicento, Milano 1963, p. 89; S. Mastellone, Pensiero politico e vita culturale a Napoli nella seconda metà del Seicento, Messina-Firenze 1965, p. 87.