CARETTI, Giovanni Battista
Nacque a Sant'Agata sopra Cannobio (Novara) nel novembre 1803. Mancano completamente notizie biografiche di questo architetto, pittore e decoratore, del quale è nota soltanto l'attività al servizio di Alessandro Torlonia. Nulla sappiamo della sua formazione: la notizia che fosse stato allievo dell'Accademia di S. Luca a Roma non è confermata dai documenti.
Il duca Torlonia lo incaricò dell'ammodernamento e della decorazione delle due residenze della famiglia: la villa sulla via Nomentana e il palazzo di piazza Venezia. Nel palazzo il C. lavorò con un folto gruppo di artisti decoratori, la cui opera finì per trasformarlo completamente. L'edificio di tre piani, distrutto nel 1902, è minuziosamente descritto dal Checchetelli (è utile anche consultare l'inventario pubblicato da Hartmann, pp. 28 ss.).
Gli interventi del C. furono molteplici e di varia natura: vanno dalla trasformazione architettonica di ambienti alla decorazione con stucchi, pitture, mosaici, a volte eseguiti da lui stesso, a volte da lui disegnati ed eseguiti da altri. Dalla descrizione del Checchetelli non emerge certo una figura di artista originale, ma piuttosto quello di un fecondissimo eclettico, in linea del resto con il gusto del tempo, che non perde occasione di fare sfoggio di cultura, passando con disinvoltura dall'uno all'altro stile storico, seguendo anche, con molta probabilità, i suggerimenti dello stesso committente: nacquero così la sala dell'architettura gotica (di stile gotico era anche la cappella) e la sala corinzia; ambienti di ispirazione rinascimentale, come le gallerie sul secondo cortile, che si richiamavano alle logge di Raffaello e che si avvicendavano ad ambienti classicheggianti come il "braccio di Canova", con mosaici pavimentali in parte addirittura copiati da quelli della villa Adriana, o come la "camera degli stucchi", a pianterreno, avvicinata dal Checchetelli (p. 53) alla camera, sempre della villa Adriana, che porta lo stesso nome. E anche nell'ambito del classicismo, motivi del mondo architettonico e figurativo romano si intrecciavano a motivi del mondo greco. E non era raro il caso che il C. accostasse stili diversi nello stesso vano, ora appesantendo le pareti con comicioni grevi di dorature e di stucchi, ora ampliando illusionisticamente lo spazio con prospettive dipinte (una stanza al piano terreno era per l'appunto chiamata "camera delle prospettive").
Della pittura illusionistica il C. fece largo uso, come nel passaggio dal primo al secondo cortile, dove finse a chiaroscuro tre archi sovrapposti, come in un secondo ordine, a quelli reali; o anche in finti bassorilievi come quelli nel "braccio delle quattro età" o nelle gallerie sul secondo cortile, o nella "camera di Raffaello" al pianterreno. Un'idea del carattere dato dal C. all'interno del palazzo si può avere dalla cosiddetta "Alcova Torlonia", conservata nel Museo di Roma, costituita dalla camera da letto con annessa anticamera.
Ma una possibilità di verifica più diretta e su scala ben più ampia dell'opera del C. è offerta dalla villa Torlonia sulla via Nomentana (malgrado lo stato di abbandono e rovina in cui si trova oggi), che presenta lo stesso pot-pourri di stili del palazzo (vedine una descrizione particolareggiata in Checchetelli). Tuttavia questa eterogeneità, in quanto dato costante, ne fa, paradossalmente, un complesso omogeneo, testimonianza unica, a Roma, della genericità atipica del nostro Ottocento.
Alla fabbrica principale, che già era stata rimaneggiata su progetto del Valadier e completata nel 1821, il C. aggiunse il pronao ionico e, sui lati, due porticati dorici, che alle rispettive estremità si incurvano, formando due esedre per parte.
La sua opera nella villa sulla Nomentana viene a un certo punto a confrontarsi con quella di un architetto di ben diversa statura, quale fu G. Jappelli, al quale fu affidato, nel 1840, l'allestimento del parco con alcune delle costruzioni minori. èvero però che le invenzioni dello Jappelli, nella loro fantasiosa bizzarria, non contrastano sostanzialmente con gli interventi operati dal C. nell'edificio principale, dove, "valendosi della collaborazione dei più valenti pittori puristi e romantici romani, disponeva qua una sala egizia, là una sala gotica, qua un rilievo classicista, là, nella grande loggia del prospetto, finti lacunari traforati in modo da permettere di appendere festoni e luminarie. Realizzava così un'architettura tutta evocativa e apparente, in armonia con l'insieme…" (Maltese).
Secondo G. Tomassetti (La Campagna romana, II, Roma 1910, p. 228), il C. intorno alla metà del secolo avrebbe ridotto a chiesa per mons. I. Sannibale il piccolo oratorio di S. Maria del Suffragio ad Albano, oggi distrutto.
Fonti e Bibl.: G. Checchetelli, Una giornata nel palazzo e nella villa di S. E. il signor principe don Alessandro Torlonia, Roma 1842, passim;F.Tancredi, Le palais Torlonia, Roma 1903, passim;C.Maltese, Storia dell'arte in Italia 1785-1943, Torino 1960, pp. 95 s.; J. B. Hartmann, La vicenda di una dimora princip. romana, Roma 1967, ad Ind.;I. Belli Barsali, Ville di Roma, Milano 1970, pp. 346 ss