CORIOLANO, Giovanni Battista
È tradizionalmente considerato figlio di Cristoforo e fratello di Bartolomeo, entrambi incisori. Ma non si hanno notizie esatte sulla sua nascita, che sarebbe avvenuta a Bologna nel 1587, secondo A. Bertolotti (Artisti bolognesi... in Roma, Bologna 1886, p. 110); nel 1596, secondo G. Milanesi (in G. Vasari, Le Vite..., V, Firenze 1880, p. 441 nota 2); intorno al 1579, se ci si attiene all'atto di morte del 1649, ove è detto "etatis annorum circiter settaginta".
Fu allievo di G. L. Valesio. Dall'anno 1642 risulta abitante in Bologna in via Castiglione, n. 4, nella parrocchia di S. Biagio (Bologna, Arch. arcivescovile, Parrocchia di S. Biagio, Stati d'anime, 1642 ss.). Il 3 luglio 1649 fece testamento (Archivio di Stato di Bologna, Notarile, Uff. registro, vol. 412, cc. 437v-438r): non si riesce in questo documento a decifrare il nome del padre, ma da esso risulta che il C. era sposato a Marta Buosi ed aveva tre figlie e un figlio, Cristoforo.
Morì a Bologna il 7 luglio 1649 (Bologna, Arch. arcivescovile, Parrocchia di S. Biagio, Liber mortuorum, 1642-1653), e fu sepolto nella sua parrocchia, benché avesse chiesto nel testamento di essere sepolto nella chiesa di S. Maria di Galliera.
L. Crespi, nella biografia di Baldassarre Bianchi, ricorda che questi apprese ad incidere presso il C., ma che le cure che egli poneva nello "stradare nella sua arte" i propri figli fecero sì che il Bianchi abbandonasse l'incisione. Si deve quindi ritenere che anche il Cristoforo figlio del C. fosse incisore, ma sinora non ne risultano opere (si tenga presente che l'Aldrovandi nella prefazione alla sua Ornithologia scriveva nel 1599 che Cristoforo Coriolano fu aiutato nelle incisioni da "un nipote": ma questo complicherebbe ulteriormente la definizione della data di nascita del C., ed esclude, che Cristoforo possa essere stato un suo figlio). Negli Alberi genealogici delle famiglie di Bologna compilati dal conte Baldassarre Carati (conservati manoscritti nella Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna) il C. è indicato solo come pittore; mentre è noto un esiguo numero di incisioni in legno, e più vasta ed articolata, sebbene generalmente di minor vigore e libertà espressiva, è la sua produzione calcografica.
Del C. pittore sono rimaste a Bologna solo due lunette ad affresco nel portico (ultimato nel 1646) del convento di S. Francesco (ora palazzo degli uffici finanziari), rappresentanti S. Antonio da Padova nell'atto di predire il martirio a un notaio e un Miracolo del santo (Malvasia [1686], 1969, rep. ill.), mentre non sono rintracciabili le altre opere citate dal Malvasia. Delle sue incisioni il Bartsch ne elenca oltre duecento, ma premette di non averne viste altre elencate sia dal Malvasia sia da Heinecken.
Delle incisioni in legno del C. si conoscono: un S. Carlo Borromeo (1619), su modello del Guercino, come anche la Morte di Sisara, forse per un frontespizio, e un S. Filippo Neri;una Vergine col Bambino e l'agnello di S. Giovannino (1625), da un'invenzione di Alessandro Tiarini (se ne conosce anche una copia in controparte); un buon ritratto di Fortunio Liceto (1639); per non dire di altre xilografie - un foglio forse ad uso réclame o insegna commerciale, dei finalini con stemmi gentilizi, e altre - che non gli si possono attribuire con certezza.
La produzione a bulino e ad acquaforte, per certo verso vicina alle incisioni del Villamena, e influenzata dai Carracci e in genere dalla grande pittura del tempo, comprende alcuni soggetti religiosi d'ispirazione carraccesca, fra i quali sono da menzionare il Cristo coronato di spine (B. XIX. 1), acquaforte incisa secondo un'invenzione di Ludovico, e la S. Vergine del Rosario (B. XIX. 2), tratta, pare, da un disegno di Agostino. Su disegni del Guercino, invece, relativi alla Leggenda di s. Lorenzo, il C.incise a bulino una serie di sei stampe da servire per il frontespizio e i cinque canti di un poemetto sulla vita del santo (B. XIX.5-10: i rami sono conservati nella Calcografia nazionale di Roma).È ricordata, fra altri dal Gori Gandellini (1808), un'immagine a bulino, non citata dal Bartsch, della Beata Vergine dipinta da s. Luca, da disegno di Guido Reni. Il C. si avvalse spesso anche di disegni propri.
Del C. furono particolarmente apprezzati i ritratti, che egli incise per lo più a bulino e su proprio disegno, dietro commissione di alti dignitari e di uomini di cultura.
Il Bartsch menziona quelli del piacentino Vincenzo Sgualdi, abate di Montecassino (B. XIX.67), del cardinale Giovan Battista Zeccadori (B. XIX.68), del patrizio Giovanni Cottunio (B. XIX-71), dei papi Gregorio XV (1621; B. XIX.70) e Urbano VIII (1639; B. XIX.69), oltre a quello del Liceto già ricordato. Ma se ne conoscono ancora altri, quali quelli del matematico patavino Giovanni Antonio Magini (1617: Gaeta Bertelà, 1973, n. 418), del giurista Giacomo Gallo (Nagler, 1858-79, n. 492, 7), di un Personaggio di casa Pepoli (Gaeta Bertelà, n. 413), di Egidio Albornoz (Gaeta Bertelà, n. 414), questi due ultimi ritratti equestri.
Notevole successo riscossero altresì i suoi rami per tesi, che gli furono commissionati nell'ordine del centinaio. Molti i suoi lavori per inviti, dediche, imprese araldiche. Cospicua, anche, la sua produzione di illustrazioni per libri e frontespizi.
Se ne ricordano alcuni esempi. Da un'invenzione del Valesio, suo maestro, incise ad acquaforte il frontespizio per la Cleopatra, tragedia di Giov. Capponi (Malvasia, 1678, II, pp. 152 s.; Gaeta Bertelà, n. 442). Altri frontespizi eseguì per opere di Ulisse Aldrovandi (Gaeta Bertelà, nn. 471-474). Collaborò all'ornamentazione della relazione, in folio, delle Esequie di papa Gregorio XV, celebrate nella cattedrale di Bologna, fornendo i rami (incisi in collaborazione col Valesio, che fu ideatore del disegno, con O. Gatti e con G. Lodi: Malvasia, II, p. 149). Incise una serie di quattordici stampe ad acquaforte per una rappresentazione teatrale il cui titolo fu forse quello che si ricava da un foglio sciolto da lui inciso probabilmente per la stessa serie: La liberazione d'Amor tentata da Venere (Gaeta Bertelà, nn. 381-395), e illustrò con centodiciassette tavole a bulino, precedute dal frontespizio di sua mano, il Torneo di Bonaventura Pistofilo, marchese di Morcone, opera stampata in Bologna per il Ferrone nel 1627 (B. XIX.107-223) e recante a sinistra in basso del frontespizio la dicitura "Coriolanus pict. et the[atri] Pall[adis] Prof. F.". Incise ventisette delle ottantadue stampe a bulino per l'opera di Paolo Macio Emblemata, stampata in Bologna nel 1628, con incisioni anche del Gatti e di Agostino Parisini (B. XIX.80-106); e apprestò, infine, una serie di fogli per Porte d'architettura rustica, pubblicate in Reggio Emilia nel 1634 (Nagler, 1858-79, n. 492, 12; Campori, 18555 p. 498).
Della sua produzione di stampe il Bartsch ricorda ancora, fra l'altro, una Morte di Seneca, firmata "Il Coriolano f." (B.XIX.72), e, con la stessa firma, l'Amore che scrive su una banderuola (B.XIX.73); un'allegoria con La Fama e il Tempo (B.XIX.75); un arco di trionfo in gloria della casa Savoia (B.XIX-76) e un secondo in gloria di Luigi XIII, re di Francia (B.XIX.77); un mausoleo per un cardinale Marescotti (B.XIX.79); Il cardinale Borghese e un domenicano inginocchiati dinanzi all'immagine della Vergine, con la firma "Jo. Bapt. a Coriolanus Incid." (B.XIX-78); I santi e le sante dell'Ordine di s. Agostino invocanti la s. Vergine (B.XIX.4); il Caduceo di Mercurio (B.XIX.74).
In sì vasta produzione calcografica, alla varietà non sempre corrisponde la validità; grande fu in ogni caso la popolarità del C., il quale fece anche opera di volgarizzatore, mediante l'intervento figurativo, di tematiche culturali in voga al suo tempo (per i soggetti emblematici e allegorici, ad esempio, si collegò ai più diffusi repertori contemporanei, come la popolare Iconologia di Cesare Ripa e altri [Sopher]). Non sembra che il C. sia stato autore di chiaroscuri, dal momento che quelli che gli sono stati attribuiti nel passato (come L'Amore dormiente, dal Reni) sono più verosimilmente da assegnare al fratello Bartolomeo.
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