MONTESECCO, Giovanni Battista da
MONTESECCO, Giovanni Battista da. – Nacque verosimilmente nella prima metà del XV secolo a Montesecco, un piccolo castello della valle del Cesano (attualmente in provincia di Pesaro-Urbino). Non sono noti i nomi dei genitori né la famiglia di provenienza.
La prima notizia certa che lo riguarda risale al 1469 quando, ormai affermato uomo d’armi, entrò agli stipendi della Chiesa e combatté nella guerra di Rimini contro Roberto Malatesta. Rimasto ferito nella battaglia di Mulazzano, per i suoi meriti gli fu conferito il comando del presidio di fanteria di Castel Sant’Angelo. Cinque anni dopo, nel 1474, insieme al fratello Leone, militò agli ordini di Pino Ordelaffi a Città di Castello, dove con una squadra di uomini d’arme e a fianco di Girolamo Riario combattè Niccolò Vitelli.
Sempre come condottiero ecclesiastico, si pose al servizio del conte Girolamo Riario, nipote di papa Sisto IV e signore di Imola. Nel novembre 1477 prese parte all’impresa di Galeotto Manfredi contro il fratello Carlo, signore di Faenza. Al seguito di Galeotto Manfredi, di Giovanni Francesco da Bagno, di Pino Ordelaffi e di Giovanni Bentivoglio, il 9 dicembre 1477 entrò a Faenza con tre squadre di cavalieri, costringendo Carlo Manfredi, bloccato nella rocca, a capitolare e a rinunciare per sé e per i suoi eredi al dominio della città e a trovare rifugio a Napoli.
L’ingresso a Faenza era stato preceduto da un’intensa attività diplomatica, voluta dall’arcivescovo di Pisa, Francesco Salviati, e da Francesco de’ Pazzi, nel corso della quale, su incarico di Girolamo Riario, Montesecco si era recato segretamente a Roma (maggio-giugno 1477), per porre le basi della congiura ordita dai Pazzi ai danni dei fratelli Giuliano e Lorenzo de’ Medici.
Fonte privilegiata per conoscere le fasi preparatorie alla congiura de’ Pazzi (26 aprile 1478) è la Confessione dello stesso Montesecco, scritta a Firenze il 4 maggio 1478 poco prima di essere condannato a morte.
La Confessione è contenuta nella difesa della Repubblica fiorentina redatta dal suo cancelliere Bartolomeo Scala in data 11 agosto 1478 e fu pubblicata per la prima volta da Giovanni Adimari, in appendice all’edizione del Commentarium Pactianae coniurationis di Angelo Poliziano. Delle successive edizioni, quella di Gino Capponi risulta la più corretta, perché il testo della Confessione è stato nuovamente rivisto dal manoscritto originale.
Si apriva per i Pazzi la stagione della vendetta: il primo a meditarla fu Francesco, stretto amico di Girolamo Riario, con cui già in precedenza aveva condiviso l’avversione per Lorenzo e Giuliano de’ Medici. Fiduciosi di ricevere l’approvazione di papa Sisto IV, Riario e Pazzi cercarono il coinvolgimento di Francesco Salviati, il quale accettò di prendere parte al progetto. I due individuarono poi in Montesecco l’uomo giusto per condurre a termine l’impresa. Questi, inizialmente restio, opponeva il fatto di essere soldato del papa e del conte Riario e si chiedeva preoccupato se Sisto IV avesse approvato quanto si stava pianificando. Salviati e Pazzi riuscirono però infine a convincerlo, adducendo come motivazioni che allo stesso conte Riario la morte di Lorenzo e di Giuliano avrebbe arrecato vantaggio e assicurando l’accordo del pontefice.
A Firenze Montesecco aveva incontrato più volte Lorenzo e da lui, in maniera pretestuosa, si faceva consigliare su quale fosse il modo migliore per governare in Romagna; la cortesia e la saggezza di Lorenzo furono tali da farlo quasi vacillare dal proposito. In città, soprattutto all’osteria della Campana, ebbe modo di incontrare anche Iacopo de’ Pazzi, inizialmente del tutto restio a entrare nella congiura architettata a Roma dal nipote e dall’arcivescovo Salviati, ma che poi diede la sua approvazione, con ogni probabilità dopo essere venuto a conoscenza dell’appoggio dato dal pontefice all’intera vicenda. In un incontro tenuto nella villa di Montughi, i congiurati insieme a Francesco de’ Pazzi progettarono l’idea di agire solo quando Lorenzo de’ Medici si fosse recato a Roma, fatto che sembrava ormai imminente.
Pazzi e Montesecco partirono allora per Roma (marzo 1478), per definire con Riario e il papa ogni dettaglio: in questa sede si stabilì che i condottieri Giovanfrancesco da Tolentino e Lorenzo Giustini da Castello si sarebbero fatti trovare pronti con i loro eserciti, predisposti in Romagna e ad Arezzo in attesa di ricevere gli ordini di Salviati e di Pazzi. Costoro li avrebbero richiamati, insieme a Montesecco, a Firenze per mandare a esecuzione il piano che si stava perfezionando e che aveva ricevuto anche l’appoggio di Ferdinando I, re di Napoli. In questa occasione Montesecco sembrò avere ancora qualche esitazione nel prendere parte alla congiura, salvo poi tornare sui propri passi grazie anche alle insistenze di Riario.
Qui si conclude la narrazione contenuta nella Confessione di Montesecco, con la sola aggiunta della notizia che anche Carlo di Bourbon, vescovo di Lione, era venuto a conoscenza della congiura. Le restanti vicende riguardanti Montesecco sono pertanto ricostruibili dalle Istorie fiorentine di Niccolò Machiavelli e dal Commentarium Pactianae coniurationis di Angelo Poliziano.
I congiurati furono costretti a modificare i loro piani; dapprima infatti avevano previsto di attuare la congiura a Fiesole in occasione di un pranzo dato da Lorenzo de’ Medici in onore del cardinale Raffaele Riario Sansoni, nipote di Girolamo Riario. Al pranzo, però, all’ultimo momento non partecipò Giuliano de’ Medici. Per tale motivo i congiurati stabilirono allora di uccidere i due Medici in Santa Maria del Fiore. A Montesecco, giunto da Imola a Firenze con 30 balestrieri a cavallo e 50 fanti sotto pretesto di prestare scorta al cardinale Riario Sansoni, fu assegnato il compito di assassinare Lorenzo durante la messa. Montesecco rifiutò, non si sa se per la familiarità intercorsa tra lui e Lorenzo de’ Medici o per il sacrilegio che avrebbe comportato l’omicidio in un luogo sacro. Questo diniego fu, probabilmente, una delle cause del parziale insuccesso della congiura: nell’urgenza di trovare un sostituto, si scelsero infatti il vicario apostolico Antonio Maffei di Volterra e il prete Stefano da Bagnone entrambi assolutamente inadatti a un’impresa di questo genere. I cospiratori assalirono Lorenzo che, ferito, riuscì a scampare; suo fratello Giuliano invece, su cui si scagliarono Bernardo Baroncelli, Francesco de’ Pazzi e altri, fu ucciso in breve tempo (26 aprile 1478). Le ultime fasi della vita di Montesecco furono concitate: insieme a numerosi balestrieri e a Iacopo de’ Pazzi occupò la porta di Santa Croce per mantenere libera una via di fuga, ma non riuscì a far sollevare il popolo; inoltre le truppe, che dovevano giungere dalla Romagna e da Arezzo, tardarono a portargli il loro aiuto. Al contrario la situazione fu immediatamente ripresa in mano da Lorenzo de’ Medici e dai suoi partigiani e molti dei cospiratori furono linciati e messi a morte. Anche Montesecco venne catturato e torturato. Dopo aver confermato per iscritto il complotto – di qui la sua Confessione – fu decapitato la sera del 4 maggio 1478 dinanzi alla porta del palazzo del podestà di Firenze e la sua testa venne collocata sulla porta stessa.
Fonti e Bibl.: B. Azzurini, Cronica, in Rer. Ital. Script, II ed., XXVIII, Bologna 1921, p. 246 e n. 1; Angeli Politiani v. cl. Coniurationis Pactianae anni 1478 ..., Napoli 1769, pp. 171-196; G. Capponi, Storia della Repubblica di Firenze, II, Firenze 1875, pp. 509-520; N. Machiavelli, Istorie fiorentine, a cura di F. Gaeta, Milano 1962, pp. 512-517, 524; C. Cipolla, Storia delle signorie italiane dal 1313 al 1530, Milano 1881, pp. 582-586; C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, in Enciclopedia biografica e bibliografica italiana, I, s. XIX, Milano 1937, p. 76; A. Turchini, La signoria di Roberto Malatesta detto il Magnifico (1468-1482), Rimini 2001, pp. 52, 344, 354.