DONÀ (Donato), Giovanni Battista
Nacque a Venezia, figlio illegittimo del nobile Alvise Donà, patrizio veneto, e di una Orsa probabilmente originaria di Treviso. Quanto alla data non si sa con certezza se risalga al 1530, come ipotizza lo loppi o, più probabilmente, al 1536, come è possibile dedurre da un riferimento interno presente in una poesia maccheronica scritta nel 1576 in cui di sé egli dice "Cum sim quarantinus / et iam timplaria sblanchizzant".
Non si sa nulla degli anni della fanciullezza; ma con tutta probabilità egli dovette ricevere una discreta educazione e apprendere oltre l'italiano anche il latino. Morto il padre, si ritirò - non si sa se solo o con la madre - in un podere ricevuto in eredità a Gruaro, piccolo centro vicino a Portogruaro in una fascia di territorio sul confine linguistico tra l'area friulana vera e propria e quella veneta vicina agli influssi della Serenissima. Qui abbandonò gli studi e intraprese il lavoro dei campi, pur mantenendo viva una costante vena poetica che lo accompagnerà fino alla morte.
L'occasione di scrivere in lingua friulana gli venne offerta dalla carestia del 1559-60, quando era già ventiquattrenne. Nel 1565 ottenne l'impiego di doganiere al fondaco di Portogruaro, dove rimase fino al '67; nel 1568 si sposò o si uni a una donna di cui non dirà mai il nome ma che descrive come "povera, altiera, vil, forse pudica" (c. 28a). I due anni trascorsi a Portogruaro rappresentano una delle poche parentesi di serenità economica in tutta la sua esistenza: probabilmente terminò, perché il D. contrasse una seria malattia di cui portò a lungo le conseguenze.
Dal 1568 al '71 la sua musa tacque, per riprendere proprio alla notizia della grande vittoria navale sui Turchi a Lepanto: durante questo intervallo il D. diventò maestro, certo per migliorare le proprie condizioni economiche. Lasciò la scuola forse nel 1572 (dopo la nascita del primo figlio maschio, che morì poco dopo), e fino al '76 fece l'oste a Bagnara, dove continuò a poetare, trovando ispirazione anche in circostanze drammatiche come la pestilenza del 1574. Con il giubileo dell'anno successivo riprese la vita dei campi a Gruaro. Dal 1579, anno in cui ricominciò a scrivere dopo un breve intervallo, al 1585, ci fu un periodo di buoni raccolti, di relativa serenità e ottimismo tanto che progettò di ampliare le sue esperienze lavorative, già variegate, mettendosi a fare il fornaio. Ma poco dopo ebbe di nuovo guai: liti giudiziarie con i fratelli legittimi per questioni di eredità, cattivi raccolti, usurai assillanti. I componimenti tornano a farsi più rari: in una canzone del 1589 parla della morte di tre suoi figli; mentre è proprio pensando di migliorare la condizione dei due maschi e dell'unica femmina rimastigli che il D. chiede, nel 1590, il riconoscimento della cittadinanza veneziana che otterrà solo nel '93, grazie ai buoni uffici della sorella Cornelia Zane.
Nel 1594-95 era cameraro a Sesto, e a cinquantanove anni, al termine del mandato, si rivolse al vescovo di Caorle chiedendo di esservi ammesso come maestro di scuola. In questo centro della costa veneta si trattenne almeno fino al 1597, non ricavando grosse soddisfazioni dal suo lavoro, ma essendovi costretto dalla mancanza di sicurezza economica che qualunque altra attività poteva offrirgli. Da un'ode, probabilmente dei primi mesi del 1598, sappiamo che aveva lasciato Caorle e il suo incarico di maestro ed era rientrato a Gruaro, da dove abbiamo sue notizie fino al 2 nov. 1599, data di un suo breve componimento in siciliano. Ed è l'ultima cosa che abbiamo di lui: la morte - non sappiamo con esattezza quando - dovette intervenire poco dopo a mettere fine a un'esistenza certo non facile, spesso travagliata da stenti e preoccupazioni.
Tutta l'opera del D. è raccolta in un codice che fa parte del Fondo Cernazai, n. 7466, nella Biblioteca del Seminario arcivescovile di Udine (Giovanni Battista Donato. Scritti vari in versi e in prosa. 1559-1599): dopo il recentissimo restauro, terminato nel luglio 1984, il manoscritto risulta notevolmente alterato rispetto al formato originale menzionato nei repertori ottocenteschi. Altri suoi frammenti si trovano in due manoscritti cartacei della Biblioteca comunale di Udine, inseriti nel Fondo Ioppi: il n. 374 e il 390.
Fu Vincenzo Ioppi a fare conoscere per primo il nome del D. e a pubblicarne due componimenti in Pagine friulane del 1887; il giudizio, peraltro, è severo: poeta modesto per lo stile "duro e rozzo", conseguenza dell'"innata povertà fantastica dell'autore". Ancora alla fine degli anni Venti di questo secolo il Chiurlo restava sostanzialmente dello stesso parere: trattandosi di "sfoghi personali..., le sue rime non hanno in generale importanza che per lo studio della vita privata e del linguaggio della bassa". Solo in anni più recenti una critica - forse più attenta alla produzione, certo minore in termini assoluti, ma non meno significativa testimonianza di vitalità creativa in aree linguistiche e geografiche così marginali - ha voluto rivalutare l'opera del D., autore in friulano, veneto, italiano e latino, arrivando ad affermare (Virgili, p. 92) che egli "dà alla nostra friulana letteratura i primi testi di prosa narrativa". Indubbiamente è autore che - anche a prima lettura - dà impressione di potenza, forza corale, coscienza linguistica originale, espressività a volte intensa: e nel piatto panorama del Cinquecento friulano non è poco.
Bibl.: V. Ioppi, Documenti di lingua friulana. G. B. Donato, in Pagine friulane, I (1887), pp. 106, 189; G. Vale, G. B. Donato, in Riv. della Soc. filol. friulana, V (1924), pp. 9-16, 137-150, 227-242; VI (1925), pp. 25-40, 105-115; B. Chiurlo, Antologia della letter. friulana, Udine 1927, pp. 151 ss.; G. D'Aronco, Nuova antologia della letter. friulana, Udine-Tolmezzo 1960, pp. 100-106; D. Virgili, La Flôr, letter. ladina del Friuti, Udine 1968, I, pp. 72, 92-105; G. Marchetti, Il Friuli uomini e tempi, Udine 1979, II, ad Indicem; G. Mazzatinti, Inv. dei manoscritti delle biblioteche d'Italia, LXXVIII, Firenze 1952, pp. 117, 120.