FACCHETTI, Giovanni Battista
Si ignora la precisa data di nascita di questo organaro. La prima notizia che possediamo di lui è la sua partecipazione nel 1501-1503 alla gara per la costruzione dell'organo della chiesa dell'Incoronata a Lodi; ciò significa che egli doveva allora aver già raggiunto la maggiore età, a quell'epoca stabilita a 25 anni. La data della sua nascita va perciò fissata intorno al 1475, se non qualche anno prima. Egli nacque certamente a Brescia, dato che tutti i documenti concordano nell'indicarlo originario di quella città. Dal primo documento che conosciamo (il contratto appunto per Lodi: cfr. L. Giordano, doc. VI) apprendiamo che nel 1501 abitava a Brescia, "apud ecclesiam S. Marie fratrum carmelitarum a capite bechariarum"; il padre Bartolomeo (ma anche Bartolino in alcuni documenti: ad es. cfr. C. Giovannini, 1980, docc. VIII e IX) risultava ancora vivo il 24 ag. 1516e già morto il 1ºmarzo 1518; a tale ultima data il F. figura "habitator in presentiarum Mantue". Non conosciamo il motivo del trasferimento; certo è che il 29 luglio dell'anno successivo egli otteneva la cittadinanza mantovana con amplissimo decreto del marchese Federico II Gonzaga (in conformità all'unica condizione formulata nel documento stesso, già in quell'anno e a più riprese fino al 1532 il F. effettuò acquisti di case e terreni nella città e nel contado mantovani).
La qualifica di magister, che accompagna il nome di suo padre, fa pensare all'esercizio di un mestiere; quello del falegname sarebbe stato condizione preliminare favorevole all'indirizzo del figlio verso l'arte organaria: ma si tratta di pura ipotesi. Né molto di più si può dire sulla sua formazione. Il fatto che nella ricordata gara a Lodi egli fosse in concorrenza con Bartolomeo Antegnati e associato invece con Giovanni Antonio Marliani di Pavia nel 1501 e con Giovanni Antonio Vignati di Lodi nel 1503 sta evidentemente ad indicare che la sua preparazione avvenne fuori della bottega antegnatiana (e anche in seguito la sua attività sarà in concorrenza con gli Antegnati, come a Cremona e a Salò).
Dopo l'episodio lodigiano - che si concluse sfavorevolemente per il F. dato che il suo strumento fu ricusato - egli è ricordato il 9 giugno 1510 quando si impegnò per la costruzione di un organo nella chiesa domenicana di S. Stefano a Bergamo; il 4 dicembre successivo, poi, assumeva l'impegno di ultimare senza indugio quello di S. Francesco a Vigevano. Nell'estate del 1511 costruì quello della cappella dell'Incoronata nel duomo di Mantova su commissione del marchese Francesco II Gonzaga. Tre anni più tardi - il 20 apr. 1514 - egli assumeva l'incarico per quello di S. Maria in Vado a Ferrara (collaudato favorevolmente il 21 giugno 1516 da una giuria della quale faceva parte Marc'Antonio [Cavazzoni] da Bologna); in quello stesso 1514 si era impegnato anche per la fornitura di nuovi organi per S. Domenico (2 gennaio) e per la cattedrale (19 ottobre) a Reggio Emilia; la concomitanza con lo strumento ferrarese non permise forse al F. di soddisfare tempestivamente tutti gli obblighi, sicché il 2 ag. 1516 avveniva la rescissione del contratto con il capitolo della cattedrale reggiana.
Nel frattempo - gennaio 1515 - il F. redigeva per incarico del cardinale Ippolito d'Este un progetto da riferire piuttosto al duomo di Milano anziché alla chiesa ferrarese di S. Maria in Vado. Nel 1516 era la volta degli organi del duomo di Asola e della chiesa di S. Barnaba a Brescia (il primo veniva collaudato il 27 maggio 1518, ma il saldo doveva ancora avvenire il 16 luglio 199, mentre per il secondo l'atto di quietanza tardava fino al 30 ag. 1522). Tra il 1516 e il 1517 ebbe luogo anche la costruzione di un altro strumento bresciano, quello della chiesa di S. Giovanni Evangelista "de foris".
Con il 1518 iniziava la sua presenza a Modena: dapprima con l'organo della chiesa di S. Agostino, pattuito il 1° marzo 1518 e saldato il 19 apr. 1519; il 9 apr. 1519 stipulava il contratto per quello di S. Pietro (benedettini), rinnovato il 25 ag. 1523 e ultimato nel 1524; in quello stesso aprile 1519 completava anche un restauro a quello della cattedrale. In quel medesimo anno 1519 realizzava un organo destinato all'isola di Cipro per voto del gentiluomo veneziano Giustiniano Contarini e iniziava la costruzione di quello del duomo di Crema, ultimato soltanto nel 1523 dopo un energico intervento del podestà veneziano di quella città presso il marchese di Mantova. Ma l'anno non si chiudeva senza che, il 4 ott. 1519, egli stipulasse il contratto per quello della cattedrale di Bergamo.
I ripetuti ritardi dipendevano evidentemente dal moltiplicarsi degli impegni: nel gennaio 1520 era intento alla fornitura di due organi per la corte mantovana, mentre l'anno successivo accudiva a quella di Novellara; nel frattempo aveva intrapreso un restauro agli organi di S. Marco a Venezia, lavoro cui egli attendeva nel marzo del 1521.
Nel 1522 era la volta dell'organo della chiesa agostiniana di S. Giacomo Maggiore a Bologna e contemporaneamente stava ultimando - con tutta probabilità - anche quelli della cattedrale di Chioggia e di S. Maria dell'Orto a Venezia; entrambi dovevano comunque essere finiti nel 1523, quando assumeva l'incarico per la costruzione di quello della chiesa veneziana di S. Michele in Isola dei camaldolesi con la condizione che fosse migliore dei precedenti.
Il 18 sett. 1524 veniva steso a Padova l'accordo per l'organo della chiesa di S. Michele in Bosco a Bologna, l'ultimazione del quale si avrà solo nel 1526; è probabile che i benedettini olivetani, evidentemente soddisfatti del lavoro, abbiano suggerito o raccomandato l'organaro bresciano ai loro confratelli di S. Benedetto Novello a Padova, verso i quali egli si impegnava il 13 sett. 1526 (le quietanze di pagamento sono diluite negli anni: 24 ott. 1527, 5 sett. 1531 e 11 giugno 1535); ma in quello stesso settembre 1526 egli era intento a restaurare l'organo "tutto in fasso e gusto" (A. Sartori, p. 67; O. Mischiati, 1984, p. 29) della chiesa padovana degli Eremitani, lavoro retribuito in ottobre con 30 ducati. Fatta salva l'ipotesi di un possibile caso d'omonimia con il coevo membro della famiglia Antegnati, egli potrebbe identificarsi con quel "mo Gio. Battista da Brescia maestro d'orghani" che dal 29 maggio al 14 giugno dello stesso 1526 era a Firenze a "temperare" l'organo, da pochi anni ultimato, di Domenico di Lorenzo da Lucca nella chiesa della Ss. Annunziata (O. Mischiati, 1984, p. 29).
Nell'anno seguente, il 4 marzo 1527, pattuiva un restauro dell'organo della cattedrale di Treviso, che tuttavia non ebbe esecuzione. Più numerosi gli impegni assunti nel 1528: l'11 luglio per il restauro dell'organo della basilica di S. Petronio a Bologna, il 31 ottobre per un nuovo organo nella chiesa del Carmine a Padova e molto probabilmente in quello stesso torno di tempo per la costruzione di quello della chiesa di S. Maria di Campagna a Piacenza. Mentre il lavoro bolognese fu rinviato fino al 1531, quello piacentino dovette concludersi abbastanza sollecitamente, se tra il 1529 e il 1530 il pittore cremonese Camillo Boccacci (Boccaccino) ne, dipingeva le portelle; nulla invece si sa sull'esecuzione di quello padovano.
Tra il 1529 e il 1530 cadono le trattative per la costruzione di un nuovo organo nella basilica di S. Pietro in Vaticano a Roma; la cosa non ebbe seguito per ragioni che non sappiamo, anche se - per favorire il desiderio espresso da papa Clemente VII - il marchese di Mantova non esitò a liberare sollecitamente il F. dalle noie giudiziarie derivantigli da un trasferimento clandestino di una partita di tavole da Mantova a Piacenza "di comissione degli frati di Santo Sebastiano" (O. Mischiati, 1984, p. 9); non sappiamo se per tali "frati" (più esattamente i canonici regolari agostiniani della Congregazione renana del Ss. Salvatore) egli avesse fornito un organo nella loro chiesa mantovana; apparteneva tuttavia alla stessa Congregazione la chiesa piacentina di S. Eufemia, il cui organo risulta appunto in costruzione durante quel periodo. Durante il 1530, comunque, ripassava da Bologna per riparare lo strumento di S. Michele in Bosco danneggiato dalle truppe del duca di Borbone. Nella città petroniana ritornava l'anno dopo per il cospicuo lavoro di restauro dell'organo di Lorenzo da Prato (come si è visto), la cui esecuzione si protrasse da febbraio ad ottobre. E intanto gli venivano affidati nuovi lavori: il restauro dell'organo della cattedrale (S. Pietro) di Bologna, stipulato il 13 febbr. 1531 e ampliato il 7 giugno 1532, e la costruzione di uno nuovo a S. Domenico di Modena il 24 apr. 1531, sollecitamente ultimato se l'8 ag. 1532 veniva effettuato il saldo del pagamento. Contemporaneamente, tra il 1531 e il 1532, con tutta probabilità dovette realizzare anche due nuovi organi per le monache bolognesi di S. Mattia e di S. Maria Nuova; il capitolo bolognese era ancora aperto l'anno seguente, quando nel marzo 1533 riparava all'organo di S. Petronio i danni inferti da truppe straniere di passaggio.
Il 1° maggio 1535 sottoscriveva gli accordi per un nuovo organo nel duomo di Monza, le cui quietanze rateali si scaglionano fino negli anni successivi (28 ottobre e 24 dic. 1535, 19 febbraio e 4 apr. 1536 e 20 maggio 1538). Molto probabilmente già in quello stesso anno o al più tardi in quello successivo egli doveva stipulare i contratti per la costruzione di ben tre organi nell'area milanese: per il monastero benedettino olivetano di S. Vittore (al Corpo) e per la chiesa collegiata di S. Lorenzo Maggiore in Milano stessa e per la prepositurale di Abbiategrasso; i ritardi frapposti dai committenti ai relativi pagamenti indussero il F. ad appellarsi direttamente al papa - allora Paolo III, residente in quel periodo a Piacenza - per ottenerne l'8 maggio 1538 favorevole rescritto esecutivo.
Nel frattempo aveva assunto pressoché contemporaneamente gli obblighi per la costruzione di un nuovo organo a S. Eufemia a Brescia (12 nov. 1537) e per il restauro di quello della parrocchiale di Manerbio (20 nov. 1537); l'ultimazione di quello eufemiano dette luogo ad alcune riserve da parte del collaudatore Vincenzo Parabosco, espresse il 23 maggio 1539 in un documento (O. Mischiati, 1984, pp. 92-94, doc. IV:8) di notevole interesse tecnico (gli atti di quietanza seguirono il 26 sett. 1539 e il 5 genn. 1542).
Circa nello stesso periodo il F. installava un nuovo strumento nella parrocchiale di Gavardo, che veniva accettato dal committente il 9 genn. 1539; ma già il 27 apr. 1538 egli aveva sottoscritto un primo impegno con la cattedrale di Piacenza per un organo di 12 (ovvero 16) piedi, cui doveva seguire una nuova stipulazione l'11 luglio 1539 per uno strumento più grande dotato di principale di 24 piedi; la laboriosa impresa, rallentata da dissensi relativi all'allestimento della cassa, veniva collaudata il 6 nov. 1542 (ma l'atto di quietanza finale tardava fino al 21 febbr. 1544). Contemporaneamente, tuttavia, egli realizzava due altri strumenti: uno nella parrocchiale di Verolanuova (il pagamento del quale era motivo di contenzioso nell'aprile del 1540) e uno per le monache di S. Maria della Neve a Piacenza, ultimato il 2 nov. 1540, ma il cui pagamento si protrarrà fino all'11 marzo 1545.
Poco prima di sottoscrivere il primo accordo per la cattedrale piacentina, in quello stesso mese di aprile del 1538 il F. aveva lavorato "in adaptando organa" nella cattedrale di Cremona; a questo intervento, di modesta entità a giudicare dal compenso di 9 scudi, doveva far seguito una ben più cospicua impresa, la costruzione cioè di un nuovo strumento di 16 piedi secondo i patti stipulati con i fabbriceri della cattedrale cremonese l'11 ag. 1542; senonché, una volta ultimato lo strumento, i committenti pensarono che esso non fosse adeguato alla mole della loro chiesa e con nuovi accordi stesi il 5 settembre e il 22 dic. 1544 impegnarono il F. nel rifacimento sulla base di 24 piedi. Il colossale lavoro, eccezionalmente documentato, venne finalmente collaudato il 31 ag. 1546 da Vincenzo Parabosco e saldato il 4 dicembre seguente, nonostante un giudizio sfavorevole non disinteressato di Giovanni Giacomo Antegnati, vigorosamente rimbeccato dallo stesso Parabosco.
Mentre erano in corso i lavori nella cattedrale cremonese, il F. prometteva, il 24 apr. 1543, alle monache di S. Cristina di Bologna la fornitura di un organo quale corrispettivo della dote (L. 500) della nipote Giulia in procinto di entrare in quel monastero.
Pressoché contemporaneamente alla stipulazione del secondo accordo per l'organo cremonese il F. sottoscriveva il 24 sett. 1544 quello per un nuovo organo nella chiesa benedettina di S. Sisto a Piacenza (i relativi atti di quietanza furono redatti il 14 apr. 1545 e il 14 giugno 1548). Ma circa nello stesso periodo egli dovette costruire o perlomeno aver già ultimato nella stessa città anche quello della chiesa olivetana del S. Sepolcro, se esso veniva assunto a modello il 14 febbr. 1545 per quello della parrocchiale di S. Colombano al Lambro. Non ebbe invece concreta attuazione il progetto di restauro dell'organo del duomo di Salò, nonostante la lettera di raccomandazione indirizzata il 16 ott. 1545 da Vincenzo Parabosco ai consoli di quella Comunità.
Per gli ultimi anni dell'ormai settuagenario artefice la documentazione sembra rarefarsi in ragione forse dì un'attività un poco rallentata: dopo il contratto per l'organo della chiesa abbaziale di Bobbio stilato il 19 marzo 1547 ritroviamo infatti il F. a Bologna l'anno successivo, ma con un ruolo in qualche modo secondario: era infatti l'allievo Taddeo Cestoni che il 24 luglio 1548 s'impegnava in prima persona con le monache dei Ss. Vitale e Agricola per la costruzione di un organo in tutto simile a quello - risalente al 1532 - di S. Maria Nuova della stessa città; il Cestoni, però, non poteva operare senza "consilio, opera et auxilio" del Facchetti.
Il 6 ott. 1550 il F. veniva invitato a Lodi per esprimere un parere sui lavori di Giov. Batt. Antegnati all'organo dell'Incoronata; in caso di impossibilità o di assenza, l'invito era esteso a Giovanni Giacomo da Piacenza, identificabile con il suo allievo G. G. Calvi, che vedremo emergere di lì a poco.
Alcuni anni dopo era la volta dell'organo per la chiesa abbaziale di S. Benedetto Po: ad un primo accordo del 20 maggio 1551 fece seguito il contratto del 24 marzo 1552; l'esecuzione dei lavori dovette essere rapida, se non affrettata, dato che essi venivano collaudati con qualche riserva il 14 dic. 1552 dal Parabosco; all'effettuazione delle migliorie da questo suggerite doveva accudire l'allievo del F., Calvi.
Ma in quello stesso anno il F. assumeva anche l'incarico per la costruzione di un nuovo organo nella cattedrale di Genova con contratto stipulato il 17 maggio; nonostante il largo termine di consegna, fissato al Natale del 1553, alla fine dell'anno seguente il lavoro non era ancora ultimato; il 16 nov. 1554, infatti, il già ricordato G. G. Calvi sollecitava i deputati del Comune a far concludere la costruzione della cassa dell'organo. Il ritardo, sottolineava il Calvi, lo danneggiava anche perché gli impediva di tener fede all'obbligo relativo alla costruzione di un organo a Codogno (probabilmente nella collegiata di S. Biagio; resta da appurare se il Calvi agisse in prima persona o quale collaboratore, come e probabile, del Facchetti).
A quello stesso anno 1554 risale l'ultima testimonianza dell'attività del F.: sempre a Genova, il 10 ottobre, egli s'impegnava a fornire un organo di tre piedi a Nicolò Del Promontorio. Un anno più tardi, il 4 nov. 1555, egli nominava il figlio Giovanni Maria quale suo procuratore per la riscossione dell'ultima rata di pagamento dell'organo di S. Benedetto Po. È questa l'ultima notizia che possediamo di lui: è perciò probabile che egli sia morto qualche tempo dopo.
Nessun organo integro del F. è giunto sino ai nostri giorni; quello che di lui ci rimane è allo stato frammentario, nel senso che si conservano elementi sparsi in diversi organi: così la sola cassa ad Asola, Cremona e Genova, la cassa e le canne di facciata a Modena (S. Pietro), la cassa (modificata) e parte delle canne interne a Bologna (S. Michele in Bosco), parte delle canne a Ferrara (S. Maria in Vado), Modena (S. Agostino), Piacenza (S. Sisto e forse il flauto in XII a S. Maria di Campagna), infine il somiere, la catenacciatura e canne interne a Bologna (S. Petronio).
Dalla ricca messe di dettagli tecnici offerta dai documenti si vede bene come il F. abbia contribuito in maniera determinante a fissare il tipo classico dell'organo rinascimentale dell'Italia settentrionale: impianto di 12 piedi, tastiera di 50 tasti (fa-1 - la4 senza i primi due e l'ultimo cromatici), pedaliera di 20 tasti (fa-1 - re2), ripieno articolato nelle singole file (principale, ottava, quintadecima, decimanona, vigesimaseconda, vigesimasesta, vigesimanona), due registri di flauto (in VIII e in XII), somiere "a vento", "riduzione" con catenacci di ferro.
Le eccezioni a questo impianto sono attestate da un lato dal primo e dall'ultimo documento relativi alla sua attività, che contemplano rispettivamente strumenti di 6 piedi (Lodi, Incoronata) o di 3 piedi (Genova, 1554), dall'altro dal monumentale organo della cattedrale di Cremona, realizzato in prima istanza di 16 e poi rifatto di 24 piedi; la presenza di un principale di 24 piedi, tuttavia collocato all'interno della cassa, è attestata nel progetto per il card. Ippolito (1515) e a Piacenza (cattedrale, 1539). In alcuni altri casi è contemplato un secondo principale, unisono al primo, denominato duplicazione e collocato sul fondo della cassa, alimentato da un portavento derivato dal somiere maestro: così a Padova (S. Benedetto Novello, 1526), Manerbio (1537), Piacenza (cattedrale, 1538), Cremona (cattedrale, 1542) e Genova (cattedrale, 1552). Largamente praticata è pure la duplicazione, talora anche la triplicazione, del principale nei soprani e - fatto significativo per gli ideali rinascimentali di eufonia - dei soli armonici di ottava: VIII e XV a Reggio Emilia (cattedrale, 154), VIII, XV e XXII a Piacenza (cattedrale, 1538), XXII a Cremona (cattedrale, 1542); il punto d'inizio di tali raddoppi non è specificato, limitandosi i documenti ad espressioni generiche riferite all'ambito dei soprani.
Accanto al ripieno, incontriamo o un solo flauto in VIII oppure la coppia in VIII e in XV e infine, a partire dal 1537, la coppia in VIII e in XII; la presenza di quest'ultimo va anche posta in relazione all'adozione dell'estensione di 50 tasti; in effetti, se si considera l'ambito richiesto dalla musica organistica italiana coeva, che superava abitualmente il limite acuto del fa4 (punto d'arrivo delle tradizionali tastiere di 47 tasti in un organo di 12 piedi), l'unica possibilità offerta in simili casi era quella di eseguire le composizioni all'ottava sotto, con il risultato - nell'eventuale presenza di un flauto in XII - di un effetto in base 16 piedi, non propriamente il più confacente con lo stile spigliato delle pagine dedicate a tale tipo di sonorità, le canzoni alla francese.
Per quanto riguarda la tastiera, oltre a segnare il passaggio dall'ambito di 47 tasti (Lodi, Incoronata; Piacenza, S. Sisto; Cremona, cattedrale, 1544; Genova, 1554) a quello di 50, con una occasionale incursione in un ambito impostato in do per la prima versione di Cremona (cattedrale), è da ricordare la presenza di tasti cromatici "spezzati" in almeno tre casi: a Bologna (S. Petronio e cattedrale) e a Cremona (in quest'ultimo tali tasti erano ben sette: re bemolle1, 2, 3 e4 ela bemolle 1, 2 e 3).
Da ricordare anche che la pedaliera di S. Benedetto Po (1552) era dotata - unico caso documentato nel F. - di registro proprio, unisono del principale.
Aspetto peculiare dei prospetti d'organo superstiti del F. è quello di una facciata concepita come un arco trionfale, dove il vano arcuato destinato alle canne presenta l'imbotte ornato da intagli o ritmato a lacunari con rosette ed è inserito in una solida struttura architettonica formata da paraste o colonne laterali reggenti un'imponente trabeazione; le paraste che ritmano la suddivisione in più campate delle canne non attingono quindi il fastigio del prospetto ma formano - insieme coi profili orizzontali costituiti dai festoni di legatura e dalle cornici su cui poggiano le canne degli "organetti morti" - una sorta di "griglia" inserita nella luce dell'arco senza condizionare il ritmo architettonico della struttura principale. Così è nel prospetto dell'organo di Bologna (S. Michele in Bosco) e così era in quello di Cremona e così doveva essere in quello di Asola (in entrambi gli strumenti il rifacimento ottocentesco ha comportato l'eliminazione della "griglia"); manca l'elemento arcuato in quelli di Modena (S. Pietro) e Genova (cattedrale), ma non sfuggiranno i molti tratti in comune, in particolare tra lo strumento genovese e quello bolognese. Giova ricordare che tale tipo di prospetto sarà praticato anche da Giovanni Cipri (come si può vedere nei casi superstiti di Bologna: S. Martino, Carpi: cattedrale, Ferrara: Suffragio), è attestato a Parma (cattedrale, 1557-62, G. G. Antegnati) ed è riconoscibile a Bosco Marengo (S. Croce, 1591, Paolo e Bernardino Molinino di Piacenza).
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