FIGARI, Giovanni Battista
Nacque a Genova il 15 febbr. 1840, primogenito dei tre figli di Francesco, fabbricante e mercante di tessuti di cotone, e di Luigia Ferro. Adolescente, fu inviato nel collegio delle Scuole pie di Carcare per gli studi superiori, che però lasciò prima di diplomarsi. Alla conclusione del servizio militare, prestato regolarmente all'età di 18 anni, tornò a Genova, ove riprese le attività imprenditoriali del padre, nel frattempo deceduto.
Il padre Francesco era impegnato, insieme con suo fratello, fin dagli anni immediatamente successivi al congresso di Vienna (1815),nella produzione e nel commercio dei panni di cotone: nel 1816 risultavano proprietari di una "fabbrica" che coordinava il lavoro di 30 telai a mano e di poco più di un centinaio di addetti. Nei decenni seguenti espansero progressivamente il volume di affari. Nel 1840 venivano annoverati dalla Camera di commercio tra i più potenti "bambagiari" operanti a Genova; a questa data gestivano oltre 200 telai. Nonostante la cospicua consistenza dell'apparato di trasformazione, la struttura della loro azienda rimase, analogamente alle altre imprese tessili liguri di questo periodo, improntata al modello dei "bambagiari", articolate figure di mediatori-imprenditori-commercianti che operavano sulla base del Verlagssystem.
Le prime esperienze imprenditoriali del F. si indirizzarono, coerentemente agli orientamenti paterni, nel settore della tessitura del cotone. Negli anni pressappoco corrispondenti all'unificazione egli impiantò, con l'impiego di un modestissimo capitale, alcuni telai a mano nel territorio di Cicagna in Valle Fontanabuona. In quest'area era dislocata, nel quadro degli arretrati metodi di produzione vigenti cui il F., almeno inizialmente, si conformò, una parte considerevole della lavorazione tessile a domicilio del genovesato. Durante i due decenni successivi la consistenza delle attività del F. si mantenne su livelli piuttosto contenuti, ma comunque sufficienti a consentirgli discreti profitti. Nel 1872 risultava interessato, insieme con G. De Ferrari, in un grande opificio di filatura a San Quirico, in Val Polcevera.
Con l'inizio degli anni Ottanta veniva a manifestarsi una fase di generale espansione dell'apparato industriale ligure incentivata dalla diminuzione del tasso di sconto e soprattutto dall'approvazione delle prime tariffe protezioniste del 1878.L'orientamento protezionista della politica doganale, ribadito e rafforzato nel 1887,determinò un rilevante afflusso di capitali nel comparto cotoniero, che traeva i maggiori benefici dal nuovo apparato tariffario. Si verificò inoltre, con l'affermazione del sistema di fabbrica, un rinnovamento radicale delle forme e delle tecniche di produzione che comportò il definitivo superamento dell'industria tessile a domicilio.
All'alba del nono decennio del secolo il F., in società con A. Bixio, iniziò a porre le basi di quello che in tempi rapidissimi sarebbe diventato il più vasto e moderno complesso aziendale dell'industria cotoniera ligure. Acquistati alcuni appezzamenti di terreno a Rivarolo Ligure in Val Polcevera, la società in accomandita Figari e Bixio costruì uno dei primi stabilimenti per la tessitura meccanica del cotone. Nel 1882 essi disponevano già di altre due tessiture, localizzate a Teglia e Masone: nei tre impianti erano in attività 1.650 telai. Nel 1883 venne aperta un'altra tessitura a Varazze con 800 telai e 750 addetti. Nella seconda metà degli anni Ottanta alle fabbriche liguri si aggiunse un cotonificio posto nella Valle dell'Olona, nel circondario di Varese. L'espansione oltre i confini regionali delle unità di trasformazione di proprietà del F. si inquadrava in una tendenza che caratterizzava il capitale cotoniero genovese fino dagli anni Settanta, motivata dalla possibilità di usufruire di più costanti disponibilità di energia idraulica nonché dalla maggiore vicinanza con gli sbocchi commerciali dell'Italia settentrionale.
Con l'acquisizione, agli inizi del 1889, della filatura di Massa, ove erano installati 25.000 fusi, la società tessile del F. si garantì in proprio parte delle forniture di filato, realizzando così una delle prime e sicuramente la più importante struttura genovese di produzione cotoniera ad integrazione verticale. Nel settembre dello stesso anno la Figari e Bixio si scioglieva, e i due titolari fondarono, insieme con la ditta Fratelli Poma di Torino, imprenditori tessili del Biellese fin dagli anni preunitari, il Cotonificio italiano. Il capitale sociale di 16 milioni venne sottoscritto al 50% tra i due gruppi; tre degli otto stabilimenti, Rivarolo, Varazze e Massa, per un valore complessivo di oltre 2 milioni, appartenevano alla ex accomandita genovese. La nuova società si espanse immediatamente: nel 1891 il capitale sociale fu portato a 20 milioni e il F. ne arricchì l'apparato produttivo con l'acquisto della filatura di Vignole Borbera, della filatura e tessitura riunite di Rossiglione e di un deposito di cotoni a Genova.
La grave crisi che travagliò l'economia italiana fino alla metà degli anni Novanta rallentò notevolmente il ritmo degli investimenti cotonieri genovesi ed ebbe pertanto pesanti riflessi anche sugli interessi imprenditoriali del Figari. Nel 1895 il Cotonificio italiano ridusse il capitale sociale da 20 a 10 milioni e scorporò tutte le attività che erano state apportate dal gruppo Figari e Bixio. I due imprenditori diedero vita, nello stesso anno, ad una nuova società in accomandita, il Cotonificio ligure, con un capitale di 4 milioni. Al ridimensionamento delle attività in ambito nazionale - in relazione alle difficoltà dovute alla saturazione del mercato interno - corrispose un'importante iniziativa del F. volta a stabilire, secondo un orientamento comune in quel periodo al capitale tessile ligure, la propria presenza in paesi che presentavano maggiori potenzialità espansive. Nel 1893, ancora insieme col Bixio e con altri industriali tessili genovesi, aveva sottoscritto il pacchetto di maggioranza di una società che, con il capitale di un milione, impiantò uno stabilimento di filatura e tessitura del cotone in Brasile, a Rio Grande do Sul. Alla società partecipava anche, con una quota del 20%, l'imprenditore tedesco G. Hensenberger. Nel 1896 l'impresa assunse la denominazione di Società per la tessitura italo-brasiliana e il gruppo genovese acquisì la proprietà dell'intero capitale sociale.
Nel corso degli anni Ottanta-Novanta le scelte imprenditoriali del F. si compendiavano dunque pressoché interamente nell'ambito della produzione cotoniera.
A partire dai primi anni del Novecento, in corrispondenza con l'inizio di un ciclo di generale espansione economica, mentre il suo impegno nel settore tessile diventava sempre più marginale prese ad estendere consistentemente i propri investimenti ad altri comparti, quali quello alimentare (in particolare saccarifero e molitorio) e metalmeccanico. La progressiva diversificazione degli interessi del F. iniziò a manifestarsi nel 1899 con la sottoscrizione di una quota del capitale della S. an. Cantiere navale di Muggiano. All'impresa partecipò anche la Banca commerciale italiana impegnata in quegli anni, insieme col Credito italiano, in un massiccio piano di investimenti nell'economia industriale genovese. L'anno successivo egli venne nominato consigliere di amministrazione dell'Eridania, società saccarifera costituita, con 2,5 milioni di capitale, nel settembre 1899 ad opera di un gruppo di azionisti genovesi.
La nascita dell'Eridania si collocava in un momento di grande attenzione degli imprenditori liguri per l'industria saccarifera che, limitatamente alle operazioni di raffinazione di zucchero greggio importato, aveva cominciato a svilupparsi a Genova fino dai primi anni Settanta del sec. XIX. La principale raffineria di zucchero genovese era la Ligure-lombarda, fondata nel 1872, che annoverava tra i suoi azionisti i più noti esponenti, come ad esempio G. Bombrini e D. Balduino, del mondo industriale-finanziario della città. Fu proprio grazie alle pressioni dei raffinatori genovesi, impegnati dal 1882 anche nella coltivazione di barbabietola e nella produzione dello zucchero direttamente dalla materia prima, che al settore furono concessi margini elevatissimi di protezione, che poterono però essere compiutamente sfruttati solo una volta conclusosi il ciclo negativo degli anni Novanta. Tra il 1898 e il 1900 si manifestò così un rapidissimo e rilevante convergere nel settore di capitali soprattutto di provenienza genovese. In questo biennio si formarono infatti a Genova ben otto società per la produzione dello zucchero, tra cui appunto l'Eridania, che rappresentavano oltre il 60% degli investimenti nazionali complessivi in imprese che si dedicavano a questo genere di attività. Negli stessi anni la produzione nazionale di zucchero greggio passò da meno di 6.000 a oltre 74.000 tonnellate, sufficienti a coprire i 2/3 del consumo interno.
Nel 1900, a causa dei cattivi esiti del primo anno di attività della fabbrica sociale di Codigoro, in Romagna, si era deciso di procedere a un graduale rinnovamento del Consiglio di amministrazione della società, ed in quella occasione il F. era stato eletto consigliere della società. La sua presenza nel Consiglio impresse immediati effetti sulla conduzione dell'impresa. Nel 1900 infatti l'Eridania, per garantirsi la raffinazione del proprio prodotto, costituì una nuova società, la Raffineria ferrarese ligure con un capitale di 1,2 milioni, e il F. ne assunse la presidenza. L'anno successivo si completò l'estromissione dal gruppo dirigente dei soci fondatori; il F. fu nominato presidente della stessa Eridania, carica che mantenne fino al 1914, anno della morte.
L'impetuosa e disordinata espansione del settore saccarifero nei primi anni del Novecento sfociò, nel 1903, a causa di un eccezionale raccolto bieticolo, in una grave crisi di sovrapproduzione. Le imprese del settore, per riequilibrare la produzione al consumo che cresceva con molta lentezza a causa dell'elevato prezzo dello zucchero, stabilirono, nella primavera del 1904, di associarsi in un cartello che prese il nome di Unione zuccheri. L'Unione, espressione diretta degli interessi dei gruppi saccariferi genovesi che controllavano 16 delle 22 società partecipanti, si prefiggeva di sostenere il prezzo dello zucchero al limite massimo consentito dalla protezione doganale, facendo, se necessario, ricorso alla riduzione della produzione.
Le difficoltà del mercato non avevano però impedito all'Eridania di accumulare una forte liquidità che, priva di diretti riferimenti con la produzione dello zucchero, era dovuta esclusivamente alle brillanti operazioni speculative del Figari. Egli infatti, tra il 1902 e il 1904, era riuscito, approfittando di un momento di eccezionale e continua ascesa del mercato finanziario che si protrasse fino alla metà del 1907, ad effettuare due successivi aumenti di capitale, che venne portato a 11 milioni, collocando il titolo a prezzi 6-7 volte superiori al valore nominale. Questa operazione portò nelle casse della società oltre 20 milioni derivanti unicamente dal sovrapprezzo delle azioni. L'eliminazione, attraverso l'Unione zuccheri, di ogni rischio imprenditoriale connesso all'andamento del mercato saccarifero e la disponibilità di rilevanti risorse finanziarie, costituirono le premesse per consentire, nel triennio 1905-1907, all'impresa guidata dal F. non solo di dilatare le attività nell'ambito della produzione dello zucchero ma anche, e soprattutto, di estendere gli interessi aziendali ai settori più diversificati. La società assunse così la connotazione di grande holding, la cui sconcertante eterogeneità delle ramificazioni si giustificava soltanto sulla base delle attitudini speculative del suo presidente. Operazione preliminare al programma di potenziamento e diversificazione impostato dal F. fu la creazione nel 1905, con la collaborazione del Banco di Roma, di un proprio organismo finanziario, il Banco della Liguria. Quasi il 70% del capitale sociale di 20 milioni del nuovo istituto di credito, di cui il F. divenne presidente, era detenuto dall'Eridania e dai suoi amministratori.
Nel gennaio del 1906 un'assemblea straordinaria dell'Eridania sancì l'accoglimento degli orientamenti del presidente, deliberando di modificare la denominazione originaria da semplice "fabbrica di zucchero" a "società industriale", il cui oggetto sarebbe stato la formazione e/o la compravendita di interessenze o azioni di società industriali e commerciali di qualunque natura. Da questa data l'espansione dell'impresa procedette a ritmi rapidissimi. Vennero da un lato consolidate le posizioni nell'ambito saccarifero, secondo un processo di forte concentrazione produttiva e finanziaria comune a tutte le più importanti aziende zuccheriere genovesi nel periodo immediatamente seguente alla costituzione dell'Unione zuccheri. Negli anni 1905-1907 l'Eridania acquisì infatti il pacchetto di maggioranza, o comunque forti cointeressenze, in altre otto società saccarifere che avevano un capitale complessivo di 17 milioni ed una struttura produttiva decentrata in 9 stabilimenti. L'assorbimento delle aziende di minori dimensioni procedette di pari passo con una progressiva integrazione tra le imprese più potenti, quali l'Eridania appunto, la Ligure-lombarda e la Società italiana per l'industria degli zuccheri, il cui principale esponente era E. Piaggio. Alla vigilia della Grande Guerra questi tre gruppi arrivarono, attraverso una complicatissima trama di partecipazioni azionarie incrociate, a controllare praticamente l'intero apparato produttivo del settore.
Ratificata la facoltà di impiegare la liquidità sociale in ogni possibile tipo di speculazione, l'Eridania, in stretta connessione con il Banco, si impegnò poi nella costituzione di 7 nuove società. Si trattava di una società per la fabbricazione della birra (S. a. Cervisia), di due imprese produttrici di materiali edili (S. a. Eternit, Soc. Plinthos), di una società mineraria (Soc. miniere di rame di Ollomont), di una impresa siderurgica (Acciaierie e ferriere di Prà), di due società tessili. Queste ultime erano rispettivamente il Cotonificio ligure, la vecchia accomandita fondata dal F. alla metà degli anni Novanta con 4 milioni di capitale e trasformata nel 1906 in anonima con 12 milioni di capitale, e dello Jutificio di La Spezia, con 1,8 milioni di capitale.
Il controllo del Banco della Liguria significava per il F. disporre di uno strumento operativo di decisiva importanza per realizzare le sue spericolate operazioni finanziarie. Sotto la sua guida il Banco in tempi brevissimi venne a configurarsi come la "quinta grande" (dopo Commerciale, Credito italiano, Banco di Roma e Società bancaria italiana) tra le banche private del paese. Tramite l'istituto di credito, che già nel 1906, con un capitale di 35 milioni, portava a bilancio titoli e partecipazioni industriali per oltre 5 milioni e che operava quasi esclusivamente in riporti di titoli delle imprese promosse dal F., egli fu infatti in grado di tenere le fila di un vastissimo complesso industriale-finanziario i cui intrecci si articolavano praticamente in tutti i settori di attività, non solo industriali ma anche immobiliari.
Nel 1905 infatti il Banco aveva contribuito alla costituzione della Aedes, S. a. ligure per imprese e costruzioni, che nello stesso anno conferiva il 30% del capitale della Nuova Borsa, impresa sorta per realizzare la costruzione della borsa valori di Genova. Nel 1906 l'Aedes aveva affiancato l'Eridania nella formazione della Eternit e della Plinthos. La società, che godette di sostanziose sovvenzioni da parte della Società bancaria italiana, divenne negli anni successivi la più potente immobiliare genovese; si aggiudicò importanti appalti di opere pubbliche e, con l'aperto favore della giunta municipale, riuscì a condurre a termine lucrosissime lottizzazioni nelle più esclusive aree residenziali della città.
Strettissimi e complessi legami sussistevano inoltre tra il gruppo saccarifero-creditizio Eridania-Banco della Liguria e l'industria molitoria, settore fortemente protetto in cui si andavano concentrando gli investimenti industriali genovesi. Lo stesso F. nel 1903 aveva fondato la Società molini liguri con un capitale di 135 milioni e uno stabilimento a Sampierdarena. Nel 1904 la Molini liguri si integrò con la Molini Alta Italia, altra grande impresa a maggioranza genovese, e le due società diedero vita l'anno seguente alla Società meridionale di macinazione. Nel 1906 il Banco della Liguria aveva acquisito una forte partecipazione alla Molini Alta Italia che collaborò con l'Eridania nella costituzione dello Jutificio di La Spezia.
Di notevole consistenza erano poi gli interessi sviluppati dal F., sempre tramite il Banco, nel comparto siderurgico e metalmeccanico, assi portanti dello sviluppo economico genovese in età giolittiana. In verità le sue attenzioni per questi settori si rivolsero inizialmente all'ambito della produzione di automobili, per nulla tipico delle scelte produttive del capitale genovese. Nel 1903 egli fu uno dei principali finanziatori dell'Itala, fabbrica di automobili, di cui divenne consigliere di amministrazione. La partecipazione del F., corrispondente al pacchetto di maggioranza, all'impresa torinese venne successivamente trasferita al Banco della Liguria, che acquistò anche alcune azioni della FIAT. Nel marzo del 1906 il Banco, pochi giorni dopo che il Consiglio di amministrazione della FIAT, di cui l'Itala era la più pericolosa concorrente, aveva stabilito lo scioglimento e ricostituzione della società con più consistenti basi finanziarie, impugnò tale decisione e si offrì di acquistare tutte le attività della casa automobilistica di G. Agnelli. Il tentativo di giungere ad una transazione, che prevedeva di fatto la fusione tra l'Itala e la FIAT, fallì a causa del diffondersi del sospetto che dietro tutta l'operazione ci fosse il tentativo di mascherare interessi personali del F. e dello stesso Agnelli. Questa vertenza ebbe tormentati e pesanti strascichi giudiziari: Agnelli e altri membri del consiglio di amministrazione della FIAT vennero posti sotto accusa per aggiotaggio e speculazione di borsa.
Altrettanta spregiudicatezza il F. dimostrò nella conduzione delle sue attività siderurgico-metalmeccaniche in ambito genovese.
Nel 1906 il Banco della Liguria versò oltre la metà del capitale di 6 milioni della Società acciaierie e ferriere di Prà mentre l'anno precedente aveva partecipato alla costituzione della società Cantieri Savoia Plamer's che si dedicava alla costruzione di navi mercantili e militari. Entrambe queste imprese furono caratterizzate da una gestione estremamente irresponsabile che contribuì non poco ad appannare l'immagine imprenditoriale del F., mettendone in luce tutta la componente speculativo-affaristica. Nel caso dei Cantieri Savoia, il cui presidente era A. Bianco, consigliere di amministrazione anche dell'Eridania, si trattò di una vera e propria truffa; il Banco venne infatti accusato di non aver corrisposto alle casse della società il sovrapprezzo ricavato nel corso della vendita delle azioni per un aumento di capitale in un momento, tra il dicembre 1905 e il febbraio 1906, di forte rialzo dei corsi. Altrettanto pesante fu il coinvolgimento del Banco nella vicenda delle Acciaierie di Prà, la cui gravissima situazione di indebitamento venne attribuita alle speculazioni dell'istituto creditizio sui prestiti a breve concessi alla società e sull'emissione di obbligazioni.Il verificarsi della gravissima crisi borsistica della seconda metà del 1907, che coinvolse tutta l'organizzazione bancario-industriale nazionale e che ebbe a Genova il suo epicentro, rivelò pienamente il ruolo di primo piano avuto dal F. nel determinare l'ascesa dei corsi negli anni precedenti. Accusato di aver drogato a fini esclusivamente speculativi il mercato mobiliare genovese e di aver approfittato della caduta delle quotazioni per giocare al ribasso, il F. venne progressivamente emarginato dagli ambienti industriali e finanziari italiani. Il multiforme complesso delle società da lui create rimase però in piedi fino alla sua scomparsa, anche se il suo artefice, negli ultimi anni di vita, aveva rinunciato a controllare il Banco della Liguria che, nel 1911, venne assorbito dal Banco di Roma.
Alla sua morte, avvenuta a Genova l'8 nov. 1914 e sicuramente affrettata dall'incidente automobilistico dell'ottobre precedente che era costato la vita a Cesare, uno dei quattro figli (gli altri erano Adolfo, Gemma e Beatrice), la sua fortuna personale venne valutata nella rilevantissima cifra di 80 milioni.
La struttura del suo impero finanziario-industriale era però tutt'altro che solida; già nel 1915 infatti il capitale sociale del Cotonificio ligure era svalutato da 12 a 3 milioni e, appena terminato il conflitto mondiale, l'Eridania liquidava tutte le sue partecipazioni industriali tornando a dedicarsi esclusivamente alla produzione dello zucchero e dei suoi derivati.
Fonti e Bibl.: Per la composizione della famiglia Figari cfr. Genova, Archivio storico del Comune, Registri di leva, 1840, p. 442; Ibid., Censimento della popolazione di Genova, 1871, nn. 144-755, 2-5. In merito alle attività tessili del padre e del di lui fratello cfr. L. Bulferetti-C. Costantini, Industria e commercio in Liguria nell'età del Risorgimento (1700-1861), Milano 1966, pp. 440-444. Per una ricostruzione complessiva, per quanto viziata da toni fortemente agiografici, delle sue attività imprenditoriali, cfr. i necrol. sui quotidiani genovesi Corriere mercantile, Il Caffaro e Il Lavoro, alla data 9 nov. 1914. Cfr. inoltre: Eridania zuccherifici nazionali, Storia di cinquant'anni (1899-1949), Genova 1949, pp. 171-174. Relativamente allo sviluppo del suo impegno produttivo nell'ambito cotoniero prima della fine dell'Ottocento, Notizie sulle condizioni industriali della provincia di Genova, in Annali di statistica, 1892, 40, pp. 38-141; G. Strafforello, La Patria. Geografia dell'Italia, provincia di Genova e Porto Maurizio, Torino 1892, p. 362; V. Castronovo, L'industria cotoniera in Piemonte nel secolo XIX, Torino 1969, pp. 61-96, 185, 218 s.; Id., Economia e società in Piemonte dall'Unità al 1914, Torino 1969, p. 202; G. Doria, Investimenti e sviluppo economico a Genova alla vigilia della prima guerramondiale, II,Milano 1973, pp. 20, 22 s., 120, 130 s. Si veda anche Corriere mercantile, 11 dic.1883 e 16 sett. 1889. La complessa articolazione delle sue attività imprenditoriali nei settori saccarifero-molitorio, bancario, edilizio e metalmeccanico è stata ricostruita avvalendosi delle informazioni contenute in G. Doria, Investimenti..., pp. 218, 220, 239 s., 255, 312, 34, 346, 361, 369, 675-681; Eridania zuccherifici nazionali, Storia..., passim; F. Bonelli, La crisi del 1907. Una tappa dello sviluppo industriale in Italia, Torino 1971, pp. 18, 24, 62, 67, 73, 78 s., 101, 106, 117, 130, 146, 159, 215, 225; V. Zamagni, Industrializzazione e squilibri regionali in Italia, Bologna 1978, pp. 84 s., 181; A. Confalonieri, Banca e industria in Italia (1894-1906), II, Ilsistema bancario tra due crisi, Bologna 1980, pp. 273, 281, 285, 291 s., 360; M. E. Bianchi Tonizzi, L'industria dello zucchero in Italia dal blocco continentale alla vigilia della grande guerra (1807-1914), in Annali di storia dell'impresa, 1988, 4, pp. 211-278. Tutta la vicenda relativa ai rapporti tra la FIAT e l'Itala è puntualmente ricostruita in V. Castronovo, Giovanni Agnelli, Torino 1971, pp. 13, 21, 23, 26-43.