GENTILINI, Giovanni Battista
Nacque a Vesio di Tremosine, nel Bresciano, il 26 nov. 1745 da Antonio. Fu mandato a Venezia e studiò presso i gesuiti. Il 12 ott. 1765 entrò nella Compagnia di Gesù, forse nel collegio di Piacenza, dove era presente nel 1767 fra gli scholastici rethorici del primo anno (nella ratio studiorum della Compagnia, l'insegnamento della retorica rappresenta il secondo grado della formazione, successivo allo studio della grammatica).
Alla fine del 1767 fu trasferito nella casa bolognese di S. Ignazio, dove studiò filosofia; l'anno successivo passò nella casa di Novellara, nei pressi di Reggio Emilia, nella quale iniziò l'insegnamento ai novizi con il titolo di magister. Nel 1769 si trasferì nel collegio di Modena, in cui rimase fino alla soppressione della Compagnia nel 1773. A Modena, sempre con il titolo di magister, insegnò grammatica, belle lettere, retorica e svolse il ministero di catechista. La soppressione intervenne prima che raggiungesse l'ultimo grado accademico e ricevesse l'ordinazione sacerdotale; quest'ultima gli fu conferita a Venezia, dove si era nel frattempo trasferito. Divenuto sacerdote secolare, tornò nella diocesi bresciana, dedicandosi agli studi di teologia morale e filosofia, alla predicazione e all'insegnamento catechistico finché non ottenne l'incarico di parroco di Portese. Nel 1790 il suo ex confratello G.A. Avogadro, divenuto vescovo di Verona, lo chiamò prima come rettore e prefetto degli studi nel seminario, poi, nel 1793, lo mandò come arciprete a Lonato, dove ricoprì anche la carica di vicario foraneo.
Mentre svolgeva il suo ministero a Lonato, l'invasione delle truppe francesi e la conseguente democratizzazione della Repubblica veneta gli fornirono l'occasione per dare libero sfogo a una vis polemica, che egli esercitò sia in occasione di panegirici e omelie, sia in vari opuscoli che pubblicò a partire dal 1797, sia nella sua attività di teologo morale. Dopo un'iniziale partecipazione alle riunioni della sala patriottica di Lonato, durante le quali intervenne in difesa della religione e del clero, assunse posizioni sempre più ostili nei confronti della politica religiosa della Repubblica Cisalpina. I contrasti con le autorità si accentuarono dopo la proibizione del culto pubblico esterno alle chiese, imposta dalle autorità repubblicane. Fu accusato di fomentare la rivolta sia perché non si sarebbe attenuto a tale divieto, sia perché avrebbe ispirato nel popolo, con le sue omelie, sentimenti di ribellione. Egli negò tale circostanza, affermando di aver invece sollecitato sentimenti di fedeltà e obbedienza al potere costituito, anche se ribadì di aver difeso il culto cattolico e le prerogative dei suoi ministri (Processo fatto da G.B. Gentilini arciprete e vicario foraneo di Lonato sopra la sua stessa persona, Brescia 1798).
Preoccupato che queste posizioni potessero causargli problemi, abbandonò la Cisalpina - da cui fu poi di fatto bandito - e si rifugiò nei territori veneti passati all'Austria dopo Campoformio, dove predicò in varie città. Quando le truppe imperiali presero possesso del Bresciano, rientrò nella sua parrocchia (per l'occasione pronunciò un'omelia di esaltazione dell'imperatore Francesco II). Tornati nuovamente i Francesi ed entrato ancora in conflitto con le autorità, fu brevemente rinchiuso nelle carceri di Brescia; subì poi una condanna che scontò nel convento carmelitano di S. Pietro a Castello, finché non fu definitivamente prosciolto e poté tornare a Lonato.
Di questo periodo è la polemica con G. Labus che lo aveva attaccato dalle pagine della Gazzetta bresciana (1799, suppl. n. 47) a proposito delle posizioni che egli aveva assunto in materia di potestà civile nelle cause matrimoniali, posizioni giudicate antidemocratiche per aver il G. attaccato le tesi di un altro ecclesiastico favorevole alla legislazione repubblicana. Grande scalpore suscitò la polemica con l'ex confratello G.V. Bolgeni a proposito della liceità del giuramento costituzionale previsto dalla Repubblica romana. Dopo aver già pubblicato contro le opinioni del Bolgeni un opuscolo contro la liceità del giuramento civico e dell'alienazione dei beni ecclesiastici (Riflessioni teologiche sopra il giuramento civico e sopra la vendita dei beni ecclesiastici… contro il parere di un teologo romano, Verona 1798), il G. accusò il Bolgeni di follia per aver difeso tale giuramento (La pazzia di chi difende il giuramento civico, Brescia 1799), dal momento che riteneva illecito giurare fedeltà a un potere politico che aveva come fine ultimo la distruzione della religione e della Chiesa. La sua posizione nei confronti della Rivoluzione può essere ricondotta alla tesi - tutt'altro che isolata fra i cattolici più intransigenti - che democratici e giacobini fossero l'ultimo anello della catena di scismatici, eretici, atei ecc. (tra i quali andavano compresi anche i giansenisti) che miravano alla scristianizzazione della società. Non circoscrivibili solo alla polemica antibolgeniana sono le posizioni assunte dal G. su alcune questioni di teologia morale relative al sacramento della penitenza (Sopra il dolore di attrizione e sopra la virtù della carità. Dissertazioni due, Brescia 1802), che lo videro schierato sul versante di un attrizionismo moderato.
Nel 1804 il G. si trasferì a Napoli, dove era stata ricostituita la Compagnia di Gesù. Qui lo troviamo in un catalogo di gesuiti delle province di Napoli e Sicilia, insieme con un centinaio di patres veteres e un certo numero di novizi. Da Napoli si spostò poi a Roma, nella casa professa del Gesù, dove continuò lo studio e la predicazione. Nonostante il decreto di espulsione per gli ex religiosi non nativi del Dipartimento di Roma, emanato nell'aprile 1810 dal governo napoleonico da un anno insediato a Roma, il G. riuscì a rimanere al Gesù, insieme con altri sette ex confratelli, in qualità di professore di teologia, attività che egli proseguì anche dopo il ritorno di Pio VII, nel maggio 1814, e il ristabilimento definitivo della Compagnia. Nell'ottobre ottenne il gradus accademico e il 21 dicembre divenne admonitor e socius del provinciale, cariche che lo ponevano ai vertici della provincia romana. Visse gli ultimi anni nella casa romana con l'incarico di confessore, interprete delle sacre scritture e consultore del provinciale.
Il G. morì a Roma il 16 dic. 1816.
Fonti e Bibl.: Fonti inedite sulla vita del G. sono a Roma nell'Archivio della Curia gen. della Compagnia di Gesù. Un elenco degli scritti del G. in Ch. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, III, Paris-Bruxelles 1892, coll. 1327-1330 (gli inediti qui citati sono conservati nella Bibl. nazionale di Roma nel Fondo Gesuitico), IX, ibid., 1900, col. 406. Cenni biografici ed elenchi parziali delle opere del G. sono in V. Peroni, Biblioteca bresciana, II, Brescia 1823, pp. 115-117; G. Vedova, Biografia degli scrittori padovani, I, Padova 1832, pp. 461 s.; G. Brunati, Dizionarietto degli uomini illustri della riviera di Salò, Milano 1837, p. 74; G. Pietrogrande, Biografie estensi, Padova 1881, pp. 202 s.; Storia di Brescia, Brescia 1964, III, pp. 195, 282; IV, p. 707; A. Fappani, Enciclopedia bresciana, X, Brescia 1982, pp. 212 s. Per alcune posizioni ideologiche del G. cfr. Le dolci catene. Testi della controrivoluzione cattolica in Italia, a cura di V.E. Giuntella, Roma 1988, pp. XXXI, 82 s., 478; C. Canonici, Il dibattito sul giuramento civico (1798-1799), in Ricerche di storia religiosa di Roma, IX (1992), pp. 213-244; Id., Il dibattito sul giuramento civico, in La rivoluzione nello Stato della Chiesa, 1789-1799, a cura di L. Fiorani, Pisa-Roma 1997, pp. 299-328.