GISLENI, Giovanni Battista
Figlio di Paolo, nacque a Roma nel 1600. Il luogo e la data di nascita, riportati da Pascoli (1730-36: ed. critica, 1992, p. 998), primo e unico biografo del G., possono considerarsi corretti, in quanto corrispondono con quanto si evince dall'atto di morte (1672), in cui il G. è detto "romano di anni 71 […] figlio del q. sig. Paolo romano" (ibid., p. 1003 n. 1).
Sulla famiglia, forse di origine lombarda, si ha solo scarsa documentazione relativa ad altri suoi membri, tra cui un Giuseppe possessore di luoghi di Monte e uno Scipione beneficiario di una primogenitura Renzi (ibid.), una Anna Maria morta nel 1684 (V. Forcella, Iscrizioni delle chiese di Roma, X, Roma 1877, p. 171 n. 277) e un Leonardo, decano del Collegio dei medici (Roma, Arch. stor. capitolino, Camera Capitolina, credenzone 3, tomo II, c. 214, n. 634).
Il padre, di cui si ignora la professione ma che probabilmente doveva godere di una buona posizione economico-sociale, "l'educò secondo il suo stato assai bene ne costumi non meno, che nelle lettere": dopo i primi studi di grammatica, retorica, filosofia, geometria, il G. apprese i primi elementi d'architettura da "un architetto suo amico", studiando quindi pittura "sotto la direzione di un bravo pittore" e scultura "con un eccellente scultore" (Pascoli, p. 998). Non è possibile precisare insieme con quali personalità ricevesse la sua prima educazione artistica, che dovette anche includere una buona preparazione musicale; in campo architettonico l'apprendistato poté forse avvenire all'interno di uno dei grandi cantieri della Roma di Paolo V e Urbano VIII.
Non riuscendo a ottenere "niuna servitù, benché proccurata, […] col pontefice" (ibid.), il G. dovette decidere di intraprendere un lungo viaggio Oltralpe; dopo aver visitato le principali città italiane, si fermò a Vienna - dove viene ricordato un tentativo di impiegarsi presso la corte imperiale - e si stabilì infine in Polonia, dove entrò al servizio della corte e dove soggiornò, con alcune interruzioni, fino al 1658. In Polonia è documentato come architetto, cantante, compositore e regista di teatro, scenografo e ideatore di apparati effimeri. L'arrivo del G. in Polonia, paese tradizionalmente ricettivo nei confronti dell'arte e della cultura italiane, e dove erano attivi numerosi architetti e capomastri di origine soprattutto lombarda e ticinese, va posto alcuni anni prima del 1632, data della morte di Sigismondo III Vasa, per il quale preparò progetti rimasti poi non eseguiti.
All'elezione di Ladislao IV Vasa (1632-48) il G. venne confermato nella sua carica di architetto regio. In occasione dei festeggiamenti per l'ascesa al trono curò a Varsavia l'organizzazione delle feste, aumentando, secondo quanto riferisce Pascoli, "il concetto già acquistato colla novità delle sue bizzarre invenzioni" (p. 999). Sempre al G. venne affidato l'incarico dell'organizzazione dei festeggiamenti per le nozze del re con Cecilia Renata d'Austria; i disegni vennero raccolti dallo stesso G. in un volume dedicato al re.
Nel 1640-43 curò la decorazione del salone di marmo del castello reale di Varsavia (modificato nel tardo Settecento e quasi interamente distrutto durante l'ultima guerra, ora fedelmente ricostruito).
La decorazione dell'ambiente, nota attraverso numerosi disegni autografi (Dresda, Kupferstichkabinett), interamente in marmi policromi, era costituita da un semplice ordine di lesene doriche binate caratterizzate lungo il fusto da un motivo decorativo a drappo e, sulle pareti, specchiature a regolari motivi geometrici, secondo un'impostazione generale essenzialmente nordica e tardomanierista. Sopra la trabeazione era un attico con inseriti ventidue ritratti di re e regine, opera di Peter Dankers de Rij. La decorazione pittorica era completata con grandi tele di soggetto storico, esaltanti le vittorie dei re polacchi contro Russi e Turchi.
Dopo un probabile rientro a Roma nel 1643, nel 1647 curò, su commissione di Ladislao IV, le esequie del figlio Sigismondo Ladislao, per le quali "inventò un catafalco non più in quel regno veduto" e facendo "apparare secondo il gusto Romano di neri, e lugubri drappi, e veli la chiesa" (Pascoli, p. 1000). Nel 1648, alla morte del re, ne curò le esequie "dove veramente parve, che il suo sublime, e pellegrino ingegno facesse ogni sforzo" (ibid.).
Il catafalco per le esequie di Ladislao IV è documentato da un disegno autografo (Londra, Soane's Museum; altro disegno, forse idea progettuale, a Dresda, Kupferstichkabinett). Esso era strutturato come grande arcata aperta su di un portico con memorie funebri e teschi accatastati, a sua volta aperto su un grandioso piazzale con obelischi. Al di sopra dell'architrave era esposta la salma regale, soprastata da una struttura piramidale di teschi coronata dalla croce. La grandiosa composizione riprendeva motivi tipici del castrum doloris manierista e di primo Seicento, pur nell'originale soluzione della piramide formata da teschi.
All'elezione al trono di Giovanni Casimiro (1648-68), fratello di Ladislao IV, già residente a Roma, gesuita e cardinale, il G. vide ulteriormente rafforzata la sua posizione a corte. Come architetto regio si occupò dei festeggiamenti per le nozze del re con Lodovica Maria Gonzaga Nevers. Anche in quest'occasione il G. raccolse i suoi disegni in un volume dedicato al re, il quale, sempre secondo Pascoli, scrisse "a Lipsia, in Olanda, ed in Francia per due eccellenti intagliatori per farne i rami, e stamparli" (ibid.).
Nel 1650 è documentato il suo ritorno a Roma in occasione dell'anno santo (Dict. of art). Il ritorno in patria dovette costituire un'esperienza di grande rilevanza per la maturazione artistica del G., che colse spunti e ispirazione, più che dalle opere di Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini, da Pietro Berrettini da Cortona e quei maestri più intimamente legati allo sviluppo di un linguaggio ancorato al classicismo del primo Seicento. Tornato a Roma in veste ufficiale di architetto della Corona polacca, dovette allacciare maturi rapporti professionali con gli ambienti artistici della città, venendo in seguito eletto accademico di S. Luca (1656) e virtuoso al Pantheon.
Tornato in Polonia, intensificò la propria attività con commissioni provenienti, oltre che dalla corte, da importanti funzionari e grandi famiglie aristocratiche, nonché da numerosi ordini religiosi. In epoca imprecisata progettò la chiesa dei carmelitani scalzi di Varsavia, tradizionalmente attribuita a Costante Tencalla, dove è stata rilevata, nella planimetria come nell'alzato, un'inedita articolazione basata sulla conoscenza diretta della coeva produzione romana (disegni autografi con pianta, sezione e prospetto a Milano, Civiche Raccolte del Castello Sforzesco, Collezione Martinelli).
La pianta della chiesa rispetta alcune caratteristiche essenziali delle fondazioni carmelitane, tra cui l'impianto a navata unica e l'assenza di cupola. La facciata progettata dal G. prevedeva un impianto tipicamente romano, con prospetto a due ordini collegati con volute. L'ordine inferiore si sarebbe articolato in un avancorpo centrale caratterizzato da semicolonne ioniche binate plasticamente sporgenti ai lati del basso portale centrale, sormontato da edicole e cartelle di gusto ancora manierista.
Tra il 1650 e il 1654 venne costruito fuori Varsavia, su suoi progetti, il palazzo con ampio parco di Boguslav Leszczynski, tesoriere della Corona, più volte riedificato e inglobato in fabbriche di epoca posteriore. Il progetto originario è stato riconosciuto in due disegni autografi (Milano, Civiche Raccolte del Castello Sforzesco, Collezione Martinelli), che mostrano la planimetria generale e l'alzato di una torretta, probabilmente posta sopra l'ingresso.
La costruzione era organizzata secondo uno schema di chiara derivazione francese, con grande corte a separazione di un corpo d'ingresso verso strada, con stalle, rimessa, cucine e altri ambienti di servizio, e il palazzo vero e proprio, articolato in un corpo centrale principale e due padiglioni laterali con camere, bagno e guardaroba. Sul retro era il vasto giardino. Il disegno col prospetto della torre con orologio riprende, nel semplice partito a serliana, tipologie cinquecentesche, tra cui il disegno di O. Mascherino per l'altana del palazzo del Quirinale, pur accogliendo caratteristiche costruttive locali nel coronamento a bulbo cuspidato.
Nel luglio 1655 curò l'esecuzione degli apparati per le esequie di Carlo Ferdinando Vasa vescovo di Plock e Wroclaw, fratello del re, nella chiesa dei gesuiti di Varsavia. L'apparato è noto attraverso i disegni autografi (Milano, Civiche Raccolte del Castello Sforzesco, Collezione Martinelli; Londra, Soane's Museum) e una dettagliata relazione latina pubblicata dal G. stesso (Descriptio theatri in exequiis Varsaviae solenniter celebratis erecti quum sepulturae daretur corpus ser.mi d.ni d.mi Caroli Ferdinandi…, Danzig 1655).
L'allestimento presentava, lungo le pareti del coro della chiesa, una teoria di colonne ioniche binate architravate, sormontate da statue e candelabri; in fondo all'abside si elevava una gigantesca piramide affiancata da slanciati obelischi. L'insieme del grandioso theatrum, particolarmente complesso nel colto dispiegamento di rimandi antiquari, appare ispirato da esempi romani, tra cui i teatri per le quarantore di Pietro da Cortona in S. Lorenzo in Damaso (1633), di Carlo Rainaldi al Gesù (1650), quelli berniniani per la canonizzazione di Elisabetta del Portogallo in S. Pietro (1625).
Tra gli ultimi interventi del G. in Polonia va ricordato il grandioso progetto di galleria nella villa regia di Varsavia, residenza suburbana della regina Lodovica Maria Gonzaga, eseguito tra 1665 e 1667 (disegno con pianta e prospetti della decorazione parietale a Milano, Civiche Raccolte del Castello Sforzesco, Collezione Martinelli). L'ambiente presentava una decorazione a simulazione di loggiato aperto sul paesaggio, con nicchie con celebri statue antiche tra le quali la Roma Cesi, l'Ercole Farnese e figure allegoriche.
Tra le altre opere del G., eseguite o anche solo progettate, vanno ricordate le chiese della Trinità a Varsavia (1652-55) e dei benedettini a Plock (distrutte), e di S. Pietro a Cracovia; l'altare maggiore della cattedrale di Chelmza; una cospicua serie di monumenti funebri spesso eseguiti in collaborazione con lo scultore romano Giovanni Francesco Rossi, già collaboratore di Alessandro Algardi e Bernini. Pascoli (p. 1003) ricorda infine progetti "inviati ad alcuni sovrani in Germania, e in Inghilterra, dove mandò pur molti disegni, e ne inventò uno superbo pel palazzo del Pubblico, che già meditavano di far fabbricare in Amsterdam gli Olandesi".
Tornato a Roma nel 1656, dal 1659 risiedette in via della Croce con la moglie Mattia De Sanctis e il figliastro Giovanni Bonaventura (Roma, Arch. del Vicariato, S. Lorenzo in Lucina, Stati delle anime, ad annos). In città non è nota alcuna sua attività, a esclusione del disegno del proprio monumento funebre in S. Maria del Popolo, concepito come emblema moraleggiante.
Morì a Roma il 4 maggio 1672.
La vicenda professionale del G. si svolge, nella Polonia tra gli anni Trenta e Cinquanta del Seicento, in un clima poco favorevole per le continue guerre e devastazioni. In questo difficile contesto il G. svolse un importante ruolo di mediatore culturale: pur adattandosi, soprattutto nei progetti per la nobiltà di corte, a tipologie e tecniche locali, contribuì, attraverso le sue realizzazioni per la casa regnante e i principali ordini religiosi, alla diffusione del linguaggio architettonico del tardo manierismo romano, da F. Ponzio a C. Maderno, per passare poi a una più diretta adesione alle espressioni barocche rainaldiane e cortonesche, aggiungendo una personale vivacità nella ricca decorazione scultorea, particolarmente evidente nei disegni per monumenti funebri, con dirette derivazioni da analoghe composizioni berniniane. Oltre alle opere eseguite, di cui oggi ben poco rimane, il G. si dedicò a un'intensa attività progettuale, documentata essenzialmente in tre nuclei di disegni (Londra, Soane's Museum, cui è unita la breve pubblicazione Varietà de prospetti veduti nella chiesa cattedrale del regio castello di Cracovia, Cracovia 1649; Dresda, Kupferstichkabinett; Milano, Civiche Raccolte del Castello Sforzesco, Collezione Martinelli). Benché la fortuna critica del G. inizi già nel Settecento, con la lunga e circostanziata Vita dedicatagli da Pascoli, con tutta evidenza basata su dati raccolti a Roma e in Polonia, è solo in anni recenti che si è arrivati a una più corretta valutazione della sua attività, con estese ricerche documentarie e l'individuazione del copioso corpus grafico.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. stor. dell'Ac-cademia di S. Luca, 26.3 e 25.4.1656; L. Pascoli, Vite de' pittori, scultori, ed architetti moderni (1730-36), ed. critica dedicata a V. Martinelli, Perugia 1992, pp. 998-1004 (a cura di M. Bevilacqua); N. Miks, Zbiór rysunków i projektów G.B. Gisleniego, architekta XVII wieku, w Sir John Soane's Museum w Londynie (La collezione di disegni e progetti di G.B. G., architetto del XVII secolo, nel Soane's Museum di Londra), in Biuletyn historii sztuki (Bollettino di storia dell'arte), XXIII (1961), pp. 328-339; Id., Theatrum in exequiis Karola Ferdynanda Wazy: Z badan nad twórczoscia G.B. Gisleniego (Il Theatrum in exequiis di Carlo Ferdinando Vasa: uno studio sull'opera di G.B. G.), ibid., XXX (1968), pp. 419-444; W. Kret, Theatrum in exequiis Karola Ferdynanda Wazy na tle twórczosci G.B. Gisleniego (Il Theatrum in exequiis di Carlo Ferdinando Vasa opera di G.B. G.), in Rocznik Warszawski (Annuario di Varsavia), XIII (1975), pp. 41-66; J. Lilejko, Wladyslawowski Pokój Marmurowy na Zamku Królewskim w Warszawie i jego twórcy. G.B. G. i Peter Dankers de Rij (Il salone di marmo di Ladislao nel castello reale di Varsavia e i suoi artefici G.B. G. e Peter Dankers de Rij), in Biuletyn historii sztuki, XXXVII (1975), pp. 13-31; A. Milobedzki, Architektura polska XVII wieku (L'architettura in Polonia nel XVII secolo), I, Warszawie 1980, pp. 183-187, 257 s., 340; N. Miks-Rudkowska, Palac Boguslawa Leszczynskiego w Warszawie i jego twórka G.B. G. (Il palazzo di Boguslaw Leszczynski a Varsavia e il suo artefice G.B. G.), in Biuletyn historii sztuki, XLVI (1984), pp. 187-202; G. Arbore Popescu, Bernini e la stilistica della morte, in Gian Lorenzo Bernini e le arti visive, a cura di M. Fagiolo, Roma 1987, p. 181; M. Karpowicz, G.B. G. i Francesco de Rosii: Z dziejów wspólpracy archityekta i rzezbiarza (G.B. G. e Francesco Rossi: sulle vicende storiche della collaborazione tra architetto e scultore), in Kwartalnik architektury i urbanistyki (Rivista di architettura e urbanistica), XXXVI (1991), pp. 3-21; S. Mossakowski, Galeria przy Villa Regia w Warszawie projektu G.B. Gisleniego (Il progetto di G.B. G. della galleria nella villa regia di Varsavia), in Biuletyn historii sztuki, LVII (1995), pp. 35-52; Id., Projekt Kosciola Karmelitow bosych w Warszawie autorstwa G.B. Gisleniego (Il progetto della chiesa dei carmelitani scalzi a Varsavia opera di G.B. G.), ibid., LIX (1997), pp. 92-103; Id., Projekt "teatro di Quarantore" autorstwa Giovanniego Battisty Gisleniego (Un progetto per teatro di Quarantore di G.B. G.), ibid., LXII (2000), pp. 51-86; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, pp. 198 s.; Diz. encicl. di architettura e urbanistica, II, p. 484;The Dictionary of art, XII, pp. 745 s.