GRASSI, Giovanni Battista
Figlio di Raffaele, nacque a Udine intorno al 1525 (Bergamini, 1973, p. 108).
Il G. giunse alla maturità in anni in cui poté giovarsi dei modelli pittorici presenti in Friuli di mano di Pellegrino da San Daniele (Martino da Udine) e del Pordenone (Giovanni Antonio de' Sacchis). La sua famiglia doveva godere di un certo agio poiché il padre, di cui alla Galleria degli Uffizi si conserva un ritratto attribuito a Sebastiano Florigerio, dovette detenere alcune cariche pubbliche, come quella di decano alla molitura del territorio di Cervignano.
In date imprecisate, il G. si sposò prima con Antonia di Leonardo Virco di Udine, poi, rimasto vedovo, con Corona Vallaressa di Gemona.
La sua versatilità sia in pittura sia in architettura, testimoniata da G. Vasari, si arricchì in breve tempo dell'esperienza della "maniera" italiana e, soprattutto, della sua componente michelangiolesca, che divenne una linea guida per tutta l'opera del G., miscelata spesso con ingenuità ai tratti più palesi della sua formazione di stampo pordenoniano. Inoltre, la sensibilità del G. ai fatti d'arte dell'Italia centrale dovette essere incentivata dal ruolo che egli ricevette, tramite Cosimo Bartoli - agente veneziano di Cosimo I de' Medici - di collaboratore di Vasari per quanto atteneva alla stesura delle vite del Pordenone e degli altri artisti friulani, tanto che lo stesso biografo aretino ebbe calorose parole di lode per il suo operato, definendolo "pittore ed architettore eccellente". Gli esordi del G. dovettero concretarsi in numerose decorazioni di facciate udinesi, di cui ci resta solamente il frammento con Giove sulla fronte di casa Sabatini in via Mercatovecchio (1554), nel quale traspare con evidenza l'adesione sentita ai modi pordenoniani per l'incisività del segno e l'imponenza delle forme virili del dio, squadrato con tratti decisi, atti a metterne in luce la gravità della massa corporea. Secondo Di Maniago (p. 78), nell'affresco compariva un vasto repertorio decorativo di stampo classicista come "vasi, patere, busti d'imperatori e di guerrieri, che conservano il carattere antico, ed oltre a questi alcune divinità tratteggiate con gusto e vigore ammirabile nelle tinte". Degli affreschi sulla facciata adiacente di casa Simonetti non resta traccia. Bergamini (1983) ha ipotizzato che il G. possa avere progettato anche l'architettura delle due case, ricucendo con la pittura le due facciate in un unico insieme.
Prima ancora, al 1547, risale invece la prima commissione al G. per una pala d'altare per la chiesa di S. Cristoforo a Udine, stimata da Giovanni da Udine e oggi perduta (Bergamini, 1973, p. 108). Due anni dopo, per la medesima chiesa compì altre due pale, una con S. Giovanni e l'altra con S. Anna, ugualmente disperse.
Nel 1551 prese parte al concorso per l'incarico di una pala per la chiesa di S. Lucia, poi assegnato a Bernardino Blaceo. Tra il 1552 e il 1554 fu impegnato in un vasto ciclo di affreschi nel coro della chiesa di S. Pietro a Maiano, oggi non più esistenti (la chiesa fu demolita e ricostruita tra il 1768 e il 1780: ibid., p. 109).
Nel 1556, insieme con Francesco Floreani, dipinse le formelle per la cantoria dell'organo del duomo di Udine, in cui sono rappresentate la Natività, la Circoncisione, l'Annunciazione, le Nozze di Cana, Cristo risana lo storpio.
Il G. aveva desiderato fortemente questa commissione, come testimonia una sua supplica rivolta al capitolo del duomo il 27 marzo 1556, in cui esortava i fabbricieri a favorire gli artisti locali nell'assegnazione dell'incarico, ottenendo infine il lavoro a patto che il compenso richiesto non fosse superiore a quello pagato a suo tempo al Pordenone per i dipinti dell'altra cantoria. Mentre le prime tre scene si trovano ancora in situ, le altre sono conservate nella sacrestia del duomo: soprattutto nelle prime si nota una ricerca di nuovi effetti tonali orientati verso la pittura bassanesca, probabilmente considerata modello obbligato per far notare ai committenti l'abilità del G. e di Floreani nel padroneggiare anche tecniche pittoriche estranee alla tradizione friulana.
In anni compresi tra il 1557 e il 1567 il G. dovette essere impegnato nella decorazione a fresco della facciata dell'ospedale (ex oratorio) di S. Lucia in via Mantica, oggi quasi completamente scomparsa, di cui restano alcuni appunti grafici nel taccuino di Giovanni Battista Cavalcaselle (Bergamini, 1973, p. 112, fig. 1). I soggetti che vi erano rappresentati erano tutti legati alle storie della santa (Di Maniago, p. 179), con l'aggiunta, al centro, di S. Agata e, in alto, della Madonna col Bambino circondata dagli angeli. Nel 1876, in uno degli ambienti interni dell'ospedale, fu recuperato un brano ad affresco con la Crocifissione e i ss. Agostino e Lucia, generalmente ritenuto del Grassi.
Il G. entrò a far parte del Consiglio comunale nel 1557; all'anno successivo risale il monumentale altare ligneo per la chiesa di S. Lorenzo a Buia, ideato dal G. in forma di trittico, la cui struttura è andata perduta nel XIX secolo. Nelle tre tele superstiti sono rappresentati il Martirio di s. Lorenzo, che era posto al centro, l'Elemosina di s. Lorenzo e S. Lorenzo davanti al prefetto di Roma. Danneggiate dal sisma del 1976, le tele non sono ancora state ricollocate in attesa che il restauro della chiesa sia completato. I dipinti erano quindi inseriti all'interno di una struttura lignea, avente come modello la cornice dorata della pala di Varmo del Pordenone.
Con palesi rimandi alla pittura di quest'ultimo e a una grandiosità d'impianto di ascendenza michelangiolesca, le tre scene sono emblematiche della vicinanza del G. a una "maniera" in grado di coniugare in una scorrevolezza narrativa stimoli formali diversi tra loro, ma fusi in una coerente e dignitosa sintesi personale che sembra avvalersi, per il Martirio, anche della risonanza del dipinto di Tiziano di analogo soggetto nella chiesa dei gesuiti a Venezia.
Allo stesso periodo dovrebbe risalire una pala per la chiesa di S. Eufemia a Segnacco, raffigurante S. Valentino, s. Sebastiano e un vescovo, per la quale il G. sollecitò il compenso nel 1559, anche se il cattivo stato di conservazione del dipinto impedisce di valutare l'effettiva liceità dell'attribuzione indicata da Bergamini (1973, p. 149 n. 10).
Al 1563 risale un altro ciclo di affreschi per la chiesa di Savorgnano del Torre, anch'essi perduti (ibid., p. 110).
Sebbene con più incertezze rilevabili nella goffaggine di alcuni dettagli, come nell'episodio di Marco Curzio che si getta nella voragine, la capacità dell'artista di controllare ritmi narrativi di maggiore complessità si riscontra anche negli affreschi con le Scene di storia romana (1568) nel salone del castello di Udine, uno dei luoghi di maggiore spicco della vita pubblica della città.
Nello stesso anno il G. compì la pala con la Sacra Famiglia tra i ss. Biagio e Valentino per la parrocchiale di Latisana, in cui la distribuzione equilibrata delle figure sigla il carattere consuetudinario del soggetto senza guizzi di originalità.
Impostato in senso normativo anche se con viva attenzione per un certo dinamismo di modi è anche il S. Donato per la chiesa di S. Martino ad Artegna.
Del 1574 è la pala firmata e datata con la Madonna in gloria e santi della chiesa di Turriaco, nella quale, al contrario, si nota uno sforzo indubbio volto a stringere in un solo contesto visuale la Vergine in alto e i santi in basso, con il conseguente conferimento all'opera di una drammatica espressività.
Infine, un ulteriore tentativo di rinnovare schemi abituali, a chiusura della sua carriera, si ritrova ancor più accentuato nelle tele per le portelle dell'organo del duomo di Gemona con l'Assunzione della Vergine, la Visione di Ezechiele ed Elia rapito in cielo, oggi staccate dal supporto originario. In tali opere, pagate agli eredi del G. solo nel 1584, Di Maniago (p. 78) riconobbe "un misto […] di varii stili", apprezzando anche l'Elia in particolare "per l'invenzione immaginosa e per quei bellissimi destrieri che lo trasportano in cielo".
Il G. morì a Udine nella sua casa di Borgo Poscolle il 18 giugno 1578, un mese dopo aver fatto testamento.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, V, Firenze 1880, pp. 109 s.; F. Di Maniago, Storia delle belle arti friulane (1819), a cura di C. Furlan, Udine 1999, I, pp. 78 s., 178 s.; II, pp. 95 s.; G.B. Cavalcaselle, La pitturafriulana del Rinascimento (1876), a cura di G. Bergamini, Vicenza 1973, ad indicem; G. Bergamini, Il pittore G.B. G. informatore del Vasari, in Memorie storiche forogiuliesi, LIII (1973), pp. 99-116; Id. - L. Sereni, Tra case e palazzi, in Raccontare Udine. Vicende di case e palazzi, Udine 1983, p. 178; G.C. Menis, Contributo a Gian Battista G., in Studi forogiuliesi in onore di C.G. Mor, Udine 1983, pp. 171-183; G. Bergamini, Il pordenonismo, in Il Pordenone (catal., Passariano), a cura di C. Furlan, Milano 1984, p. 157; Id., ibid., pp. 172 s.; C. Furlan, La pittura in Friuli e in Venezia Giulia nel Cinquecento, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, Milano 1988, I, pp. 226 s.; P. Casadio, ibid., II, p. 737; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, pp. 536 s.