GUARCO, Giovanni Battista
Nacque verso il 1440 da Nicolò; si ignora il nome della madre.
Il padre era figlio di Isnardo di Nicolò (doge per pochi giorni nella primavera del 1436), a fianco del quale si era battuto a lungo per cercare di restituire alla famiglia Guarco il ruolo che aveva avuto, nella vita politica genovese, tra XIV e XV secolo. Alla morte di Isnardo (ante 1458) Nicolò aveva ereditato il castello di Bistagno, presso Acqui, concesso a suo tempo dal marchese di Monferrato a garanzia di un prestito, nonché, nell'Alessandrino, i feudi di Quattordio e Roccasparavera, donati a Isnardo da Filippo Maria Visconti, ma il cui il possesso fu oggetto di una lunga controversia con i precedenti proprietari, gli astigiani Guttuari e Scarampi. La contesa per i due feudi comportò notevoli spese e costrinse Nicolò, nel 1458, a vendere Bistagno al vescovo di Acqui, ma alla fine, grazie al favore di Francesco Sforza, egli ottenne il riconoscimento dei suoi diritti su Quattordio, dove andò a stabilirsi. Per diversi anni le battaglie combattute da Nicolò furono pertanto più legali che militari, allontanandolo dalle questioni genovesi, dove dominavano ormai da tempo le fazioni degli Adorno e dei Fregoso.
La rivolta di Genova alla breve dominazione francese (1458-61) offrì ai Guarco la possibilità di tornare nella loro patria e in questa occasione il G. fece la sua prima comparsa sulla scena politica genovese. Di lui, anteriormente a tale data, sappiamo ben poco; è certo comunque che, quando alla metà di luglio del 1461 fece il suo ingresso a Genova, egli era assai giovane e da poco sposato con Violantina Giustiniani, figlia di quel Battista che, per alcuni anni, era stato posto dal doge Pietro Fregoso a presiedere la corte pretoria cittadina. Nicolò e il G. entrarono in Genova con un piccolo seguito di armati, nei giorni in cui la città (da pochi mesi sotto il governo del doge Prospero Adorno) era minacciata da un esercito e da una flotta francesi, guidati da Renato d'Angiò, conte di Provenza e pretendente al trono di Napoli.
La vittoria riportata dai Genovesi il 17 luglio 1461 fece insorgere immediatamente discordie tra il doge e la fazione dei Fregoso, rompendo gli accordi del marzo precedente, quando le due parti, unite, avevano costretto i Francesi a sgomberare la città e a rinchiudersi nella fortezza cittadina di Castelletto. Prospero Adorno fu deposto e venne eletto doge Spinetta Fregoso il quale però, pochi giorni dopo - tra incredibili intrighi - fu costretto a cedere la carica al cugino Ludovico, che aveva già retto il dogato undici anni prima. In questi convulsi avvenimenti i Guarco tentarono di guadagnare qualcosa schierandosi con i Fregoso, ma senza successo, tanto che Nicolò, deluso, preferì ritornare nel suo castello di Quattordio, lasciando il solo G. a Genova. Egli si legò al gruppo di fautori dell'arcivescovo Paolo Fregoso che, appoggiato segretamente dal duca di Milano, mirava a scalzare Ludovico, accusato di volere riconsegnare la città ai Francesi.
Nei due anni successivi Genova fu insanguinata da una vera e propria guerra civile all'interno della fazione fregosa, nel corso della quale il G. si distinse per il coraggio e la fedeltà verso l'arcivescovo che, nel maggio 1462, lo pose a guardia della fortezza urbana di Castellazzo, assegnatagli a titolo di garanzia secondo uno dei tanti precari accordi con il doge. Nel gennaio 1463 Paolo Fregoso riuscì finalmente a cacciare il cugino e a insediarsi al dogato (riunendo così in sé le due massime cariche civili ed ecclesiastiche della città) e il G. fu quindi annoverato tra i suoi più stretti collaboratori, ma - contrariamente alle sue aspettative - non sembra sia riuscito a ottenere da lui altro che una modesta pensione. Nonostante tutto, gli restò fedele fin quasi all'ultimo, anche dopo che, conosciutasi in Genova l'intenzione di Francesco Sforza di impadronirsi della città con la forza, cominciarono le prime defezioni tra gli stessi membri della famiglia Fregoso. Ancora alla fine del marzo 1464, a pochi giorni dall'ingresso in città delle truppe sforzesche e dei loro alleati, il G. si trovava imbarcato con il doge su una delle navi da questo requisite e si decise ad abbandonarlo solo su insistenza del padre e di Alessandro Spinola, vecchio amico dei Guarco e importante partigiano dello Sforza.
Per il suo tradimento il G. fu ricompensato dal duca di Milano con la nomina a capitano di Chiavari, nonché con una sentenza che poneva termine alla lunga controversia per Quattordio, definitivamente assegnata al padre. Tali riconoscimenti erano abbastanza sproporzionati rispetto alla reale forza della fazione dei Guarco e, in realtà, la decisione di nominarlo capitano a Chiavari, fortemente voluta da Alessandro Spinola, fu un'abile mossa per togliere quel territorio all'influenza dei Fieschi che ne avevano avuto il governo da parecchi anni. L'ostilità di questi ultimi, spossessati del controllo di una zona tradizionalmente sotto la loro influenza, procurò al G. notevoli difficoltà. Nella primavera del 1465 insorsero i partigiani dei Fieschi (i cosiddetti gatteschi) della Valle Sturla, alle spalle di Chiavari, senza che egli riuscisse ad averne ragione; inoltre, si fecero sempre più numerose, contro di lui, le accuse di malversazioni e cattiva amministrazione, mosse non solo localmente dai suoi avversari ma dagli stessi rappresentanti del duca a Genova. La protezione degli Spinola lo salvò, già nel 1465, dalla destituzione, ma quando egli cercò di contestare l'autorità del commissario inviato da Milano a sovrintendere alla Riviera di Levante, venne una prima volta richiamato a corte e quindi, nel gennaio 1466, sollevato dall'incarico. Il nuovo duca Galeazzo Maria, che non lo aveva in simpatia, gli concesse una modesta pensione quale "cameriere ducale", promettendogli in futuro maggiori incarichi.
Di fatto però cominciarono da allora le disgrazie dei Guarco perché, costretti da una sentenza del Consiglio di giustizia del Ducato di Milano a cedere ai Guttuari parte dei loro diritti su Quattordio (luglio 1466), nel 1473, non si sa a seguito di quali avvenimenti, essi si videro confiscare le loro pensioni e i loro beni. Per il G., gravato da numerosa famiglia (ben tredici figli), e per il padre Nicolò furono anni di ristrettezze economiche, cui cercarono di porre rimedio offrendosi, a più riprese, di andare a raggiungere i numerosi esuli genovesi rifugiati a Roma, per scoprire i loro disegni, senza però ottenere il permesso dal duca. Così, nel dicembre 1476, il G. decise di portarsi a Milano, nella speranza di rientrare nelle sue grazie. Pochi giorni prima di Natale fu ricevuto a corte, in un'udienza assai burrascosa; alla fine il duca lo congedò in malo modo, annunciandogli che in futuro mai avrebbe avuto da lui alcun aiuto.
Il 26 dicembre, nella chiesa di S. Stefano in Milano, Galeazzo Maria fu ucciso. È assai improbabile che il G. fosse al corrente del complotto, ma è certo che egli seppe approfittare immediatamente della situazione, partendo a spron battuto verso le montagne dietro Genova, dove sapeva di avere ancora amici e partigiani. In pochi giorni riuscì a radunare alcune centinaia di uomini, con i quali bloccò i valichi dei Giovi e della Bocchetta, mettendo in fuga una colonna di truppe sforzesche dirette a rinforzo della guarnigione di Genova.
Quali fossero realmente le sue intenzioni è difficile dire; di sicuro egli non aveva né il denaro né un seguito tale da poter sperare di suscitare una rivolta all'interno di Genova, né sembra sia stato in collegamento con i Fieschi e i Fregoso che, quasi contemporaneamente, si erano sollevati nella Riviera di Levante. È facile invece che, approfittando del disordine seguito alla morte del duca, egli pensasse di ricattare il governo di Milano con la minaccia di bloccare le comunicazioni tra Genova e la Lombardia, per ottenere un consistente compenso. Le milizie del G. occuparono quasi tutta la Val Polcevera, accampandosi a Coronata; di lì egli indirizzò ripetute minacce ai rappresentanti ducali in Genova, chiedendo a riparazione dei torti subiti una pensione di 400 ducati annui, la carica di vicario di Porto Maurizio e, per il padre, un ufficio in Lombardia. Le sue richieste furono inizialmente respinte ma alla fine, nel timore che i Guarco andassero a rinforzare i Fieschi, ormai padroni di parte della Riviera di Levante, il governo di Milano venne a patti.
Il 22 genn. 1477, in cambio del perdono e della promessa di una pensione di 250 ducati l'anno, il G. accettò di deporre le armi e di ritirarsi a Serravalle Scrivia, dove si trovavano già la moglie e i figli, ospiti di Franco Assereto, suo parente. Qui egli rimase un paio di mesi, in semiprigionia e senza avere ricevuto un solo ducato di quanto promessogli; così, quando alla metà di marzo i Fieschi riuscirono a penetrare in Genova, proclamando la restaurazione della libertà cittadina, il G. subito andò a unirsi a loro. Nelle settimane seguenti egli si batté senza grande fortuna contro le milizie ducali e adornesche inviate da Milano per soffocare la rivolta e, dopo che Prospero Adorno (designato nuovo governatore dalla reggente Bona di Savoia) ebbe fatto il suo ingresso in Genova, si ritirò con i suoi uomini nell'immediato retroterra della città, riprendendo le azioni di disturbo alle comunicazioni con la Lombardia. Unitosi alle truppe di Ibleto e Matteo Fieschi presso Montoggio, il 27 aprile, dopo un breve combattimento, fu fatto prigioniero da Agostino Adorno e condotto in catene a Milano.
Qui trascorse vari mesi nella più completa incertezza sulla propria sorte, finché, agli inizi del 1478, venne giustiziato con l'accusa di tradimento.
Con la sua morte (e quella quasi contemporanea del padre) la fazione dei Guarco cessò praticamente di esistere, nonostante che ancora per qualche tempo il fratello Isnardino si battesse - questa volta a fianco degli Adorno - contro la dominazione sforzesca. Anche la famiglia scomparve nel giro di pochi decenni: un Gerolamo Guarco fu degli Anziani del Comune nel 1494, ma dopo tale data nessun altro personaggio viene ricordato nelle memorie cittadine, tanto che già alla fine del XVI secolo la casata era considerata da tempo estinta.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Archivio segreto, 608, cc. 6v, 9v-10; Arch. di Stato di Milano, Famiglie, 88; Registri missive, 70, cc. 178v, 340rv; 76, cc. 2, 110; Sforzesco, 414 (16 luglio 1461), 415 (15 maggio 1462), 416 (3 maggio 1463), 418 (16, 31 marzo 1464, 16 maggio 1464), 423 (10 luglio 1465, 7 ag. 1465), 425 (27 marzo 1466), 965 (30 dic. 1476), 966 (2, 4, 9, 12, 15, 21, 23 genn. 1477), 967 (24 febbr. 1477), 968 (4, 18 marzo 1477), 969 (1°, 11, 27 apr. 1477), 984 (26 ag. 1478); Genova, Biblioteca civica Berio, m.r. IX.2.23: F. Federici, Scrutinio della nobiltà ligustica, s.v. Guarco; A. Gallo, Commentarius rerum Genuensium, a cura di E. Pandiani, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXIII, I, pp. 37, 45, 49; A. Giustiniani, Castigatissimi annali…, Genova 1537, cc. CCXXXv, CCXXXIII, CCXXXIIII; U. Foglietta, Dell'istorie di Genova, Genova 1597, pp. 526, 532; R. Musso, "Viva el duca et lo sancto padre". Savona al tempo degli Sforza e di Sisto IV, in Atti e memorie della Soc. savonese di storia patria, n.s., XXXVII (2001), pp. 118 s.