LADERCHI, Giovanni Battista
Nacque nel 1538 a Laderchio; non si conoscono i nomi dei genitori; il capostipite della famiglia paterna fu probabilmente Erro da Malpiglio, console a Bologna nel 1173 e feudatario del castello di Laderchio presso Imola, di cui il L. ebbe la cittadinanza nel 1572, per cui fu detto l'Imola.
Nel 1587 il L. sposò Lucrezia Pistoia, figlia di Severo e di Vittoria Brusantini, dalla quale ebbe numerosi figli: Alfonso, nato nel 1590 a Ferrara, studiò diritto nello Studio di Pisa e poi a Bologna, fu cameriere segreto di Alfonso II d'Este, morì a Modena nel 1609; Francesco, nato a Modena nel 1598, dove morì nel 1599; Laura, che nel 1604 sposò il conte Ippolito Bellencini; Barbara, che nel 1605 sposò il conte Guido Foschieri; Sigismonda, che sposò nel 1618 il conte Francesco Montecuccoli; Clelia Vittoria e Camilla, monache nel convento del Corpus Domini di Ferrara; Anna, monaca nel monastero di S. Eufemia di Modena.
Il L. si addottorò in diritto civile nello Studio di Ferrara, dove fu tra i lettori di diritto civile dal 1561 al 1588 almeno. Il 1° giugno 1576 iniziò la sua carriera alla corte di Alfonso II d'Este, duca di Ferrara, Modena e Reggio, in funzione di avvocato della Camera, con incarichi che lo portarono a Roma, dove strinse buoni rapporti con il cardinale Luigi d'Este, e a Bologna. Nel maggio 1582 fu nominato consigliere di giustizia, entrando così a far parte di uno dei due supremi organi collegiali dello Stato. Nel 1583 fu nominato segretario del duca, e in quella veste si occupò di questioni giuridiche in politica interna ed estera. Nel 1586, in segno di apprezzamento per i suoi servigi, Alfonso gli concesse alcuni beni allodiali nel Modenese e nel 1591 lo investì dei feudi di Montalto e Albinea nel Reggiano con il titolo comitale.
Il L. ebbe un ruolo di primo piano nella crisi di successione nel Ducato, aperta dalla mancanza di discendenti diretti di Alfonso II, che portò nel 1598 alla devoluzione di Ferrara alla S. Sede. Accompagnò Alfonso II a Roma per l'ultimo tentativo di trovare un accordo con il papa, ma Gregorio XIV non trovò la disponibilità dei cardinali, riuniti in concistoro il 13 sett. 1591, e morì lasciando all'ostile Clemente VIII la soluzione del problema.
Nel 1594 l'imperatore, Rodolfo II, concesse ad Alfonso II - dopo il pagamento dell'enorme somma di 400.000 scudi - la facoltà di nominare un successore (sarebbe stato Cesare d'Este, figlio del marchese Alfonso d'Este di Montecchio) per Modena e Reggio, ma da Clemente VIII non ottenne mai l'estensione di tale facoltà per Ferrara. Contrario a un intervento armato, e sperando nell'aiuto dell'imperatore, il L. scelse la strada della diplomazia, compiendo forse alcuni errori di valutazione. Il più grave fu quello di affidare alla duchessa di Urbino Lucrezia d'Este - sorella di Alfonso II, morto il 27 ott. 1597 - le trattative con il cardinale nipote Pietro Aldobrandini, che si tennero a Faenza: costei aveva motivi d'astio verso Cesare d'Este e il marchese di Montecchio, da lei ritenuto responsabile dell'assassinio del suo amante, Ercolino Contrari, fatto uccidere da Alfonso II.
Il L. ebbe sul nuovo duca Cesare - succeduto ad Alfonso per Modena, Reggio e Carpi ma poco avvezzo agli affari di governo - un ascendente fortissimo, ne divenne l'unico consigliere e lo spinse ad accettare le capitolazioni faentine, come unico compromesso possibile, attirandosi critiche e sospetti di tradimento.
Perduta Ferrara, il L. seguì Cesare nella nuova capitale, Modena, il 30 genn. 1598, e andò a vivere nel palazzo dei conti Rossi di San Secondo, dove ospitò buona parte della residua biblioteca ducale. Il L. godeva della cittadinanza modenese già dal 17 maggio 1593, e nel 1599 fu ammesso nel locale Collegio dei dottori. Continuò nel suo incarico di segretario, consolidando il suo potere personale, fino a divenire un vero e proprio primo ministro. Altrettanto chiara apparve la sua posizione ai Modenesi e ai consiglieri comunali: "è lui ch'ha tutti li negocii della città nelle mani", scriveva Giovan Battista Spaccini il 1° ag. 1598 nella sua Cronaca di Modena. In effetti il L. cercò di controllare importanti istituti comunali, come l'Impresa frumentaria, e di ostacolare la creazione di magistrature concorrenti con quelle ducali. Cercò anche di limitare l'autonomia del Consiglio comunale, al quale avrebbe voluto imporre una figura con funzioni analoghe a quelle del giudice dei Savi ferrarese. Non vi riuscì, ma resta il fatto che divenne pressoché l'unico referente del Consiglio riducendone al minimo i rapporti diretti con il duca, come aveva già fatto con i governatori dello Stato. Già dall'epoca di Ferrara il L. aveva il compito di approvare le liste dei conservatori, e portò spesso attacchi allo statuto, che escludeva i nobili dalla partecipazione al Consiglio comunale, giungendo infine a imporne una revisione nel 1612, dopo aver riformato altri capitoli degli statuti, come si evince da una edizione del 1605.
Nel 1610 il duca Cesare commissionò al L., coadiuvato da un gruppo di giurisperiti, uno studio sui supremi organi collegiali dello Stato, il Consiglio di segnatura e il Consiglio di giustizia, le cui funzioni avevano finito con il confondersi, soprattutto dopo il trasferimento della corte a Modena, dove entrarono in collisione con le prerogative dei giusdicenti comunali. Il L. era del parere che una riforma dei Consigli comportasse una riorganizzazione della struttura del governo mirata a creare un corpo di funzionari responsabili solo verso il sovrano, riducendo il numero dei governatori e degli enti intermedi. Il L. propose di ripartire il territorio in tre "partimenti" amministrativi, affidandone ciascuno a uno dei tre segretari che componevano il Consiglio di segnatura e, unitamente a personaggi di estrazione nobiliare, anche il Consiglio di Stato. La riforma fu realizzata nel 1619. Il L. si era preoccupato anche di porre rimedio al carattere frammentario della legislazione sovrana e al particolarismo statutario e giuridico soggettivo e territoriale, raccogliendo e riordinando la produzione normativa ducale sull'ordine pubblico.
Il L. morì a Modena il 5 febbr. 1618. Fu sepolto a Ferrara nella chiesa dei gesuiti.
Lasciò un notevole patrimonio, di 150.000 scudi. Eredi dei feudi e del titolo comitale furono i figli maschi delle figlie, che in ottemperanza al legato portarono il cognome Laderchi. In caso di estinzione della linea maschile, il L. previde il mantenimento allo Studio di Bologna di quattro studenti di Imola, quattro di Ferrara e quattro di Modena. La sua biblioteca - ricca di opere di diritto, teologia, filosofia, lettere e storia e negata in punto di morte ai gesuiti che gliene avevano fatto richiesta -, fu in parte restituita al duca Cesare, in parte donata al cardinale Alessandro d'Este e per il resto venduta al libraio bolognese Sebastiano Bonomo.
Il L. fu autore di tre opere di diritto: Consiliorum sive Responsorum, Ferrara 1600; Eruditum responsum in materia monetarum, Modena 1611; Adsit Deus optimum, Modena 1607.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Modena, Particolari, bb. 701-703; Camera ducale, Bolletta dei salariati, bb. 91-92; Registri dei feudi, 137; Cancelleria ducale, Carteggio ambasciatori, Roma, bb. 78, 113, 150; Bologna, b. 5; Carteggi dei rettori dello Stato, Modena, bb. 97-98; Reggio e Reggiano, Albinea, b. 3; Carteggio dei referendari, cancellieri, consiglieri e segretari, bb. 15A, 21A, 22-23, 25A, 26B, 27, 31; Casa e Stato, b. 514; Consigli, giunte, consulte e reggenze, b. 14; Notai, Modena, b. 2889; Modena, Arch. stor. del Comune, Libro dei morti, 1614-1630, 8, c. 454r; Registri degli atti del Consiglio, 1593, cc. 75r, 76r, 97v; 1598, cc. 96r, 115v; 1602, c. 269v; 1624, c. 18r; Registro dei privilegi, 5, c. 28v; Ibid., Biblioteca estense universitaria, Autografoteca Campori, s.v.; Imola, Biblioteca comunale, Famiglie illustri imolesi, s.v.; A. Solerti, Documenti riguardanti lo Studio di Ferrara, in Atti della Deputazione ferrarese di storia patria, IV (1892), 2, pp. 26, 30 s., 33, 40, 43, 46, 49, 51; G.B. Spaccini, Cronaca di Modena, a cura di A. Biondi - R. Bussi - C. Giovannini, I, Modena 1993; II, ibid. 1999; III, ibid. 2002; IV, ibid. 2002, ad indices; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese…, III, Modena 1783, pp. 58 s.; L. Balduzzi, L'instrumento finale della transazione di Faenza, in Atti della Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, X (1890), p. 84; E. Callegari, La devoluzione di Ferrara alla S. Sede, in Riv. stor. italiana, XII (1895), pp. 37-44; D. Fava, La Biblioteca Estense nel suo sviluppo storico, Modena 1925, p. 167; F. Valenti, I consigli di governo presso gli Estensi dalle origini alla devoluzione di Ferrara, in Studi in onore di Riccardo Filangieri, II, Napoli 1959, pp. 33-35, 39; A. Gasparini, Cesare d'Este e Clemente VIII, Modena 1960, p. 29; R. Montagnani, G.B. L. nel governo estense (1572-1618), in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 10, XII (1977), pp. 101-153; T. Ascari, Cesare d'Este, in Diz. biogr. degli Italiani, XXIV, Roma 1980, p. 139; G. Bedoni, L'ufficio del governatore nei Ducati estensi, quale organo periferico con competenza generale (1527-1780), in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 11, XV (1993), pp. 157-172; D. Grana, Gli organi centrali del governo estense nel periodo modenese, in Rass. degli Archivi di Stato, LV (1995), pp. 304-313, 315, 318; G. Biondi, Comunità e corte a Modena nel periodo di formazione della Capitale, in Lo Stato di Modena, a cura di A. Spaggiari - G. Trenti, Roma 2001, I, pp. 484 s.; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare italiana, IV, p. 19.