LAMPUGNANI, Giovanni Battista
Non si hanno documenti circa la nascita, correntemente datata 1708 a Milano, né notizie certe sulla famiglia; forse il padre Virgilio fu compositore. La prima notizia biografica documentata sul L. risale al dicembre 1732, quando fu eseguita al teatro Ducale di Milano la sua prima opera, La Candace, su libretto di F. Silvani e D. Lalli. Per lo stesso teatro scrisse l'Antigono (Carnevale 1737); seguì l'Arianna e Teseo (P. Pariati, Alessandria, Solerio, autunno 1737). In seguito scrisse per i teatri di Venezia (Ezio, da P. Metastasio, S. Angelo, autunno 1737; Angelica, S. Samuele, maggio 1738), sfruttando poi una lunga serie di libretti metastasiani più o meno rimaneggiati: Demofoonte (Piacenza, Ducale, Carnevale 1738), La Didone abbandonata (Padova, Obizzi, giugno 1739), Adriano in Siria (Vicenza, Grazie, maggio 1740), Semiramide riconosciuta (Roma, Dame, Carnevale 1741), L'Arsace (libretto di A. Salvi, in collaborazione con Chr.W. Gluck, Crema, settembre 1741). L'ultima opera scritta in Italia risale al Carnevale 1743, per il teatro Falcone di Genova: Farasmene re di Tracia. Pur mancando documenti certi, pare probabile che il L. partecipasse personalmente, come consuetudine, alla maggior parte di queste esecuzioni.
Dal 1738 è testimoniata anche la sua attività come compositore di musica sacra, per soddisfare a una commissione da parte dell'ospedale della Pietà di Venezia. Nello stesso anno compose una Serenata in onore di Maria Amalia di Sassonia, sposa di Carlo di Borbone re di Napoli, di passaggio a Ferrara (G. Melani, teatro Scroffa, 5 giugno).
Nel 1743 fu nominato compositore "residente" del King's theatre di Londra, come successore di B. Galuppi. Il suo primo impegno fu l'allestimento il 15 novembre del pasticcio Rossane, comprendente musiche di Galuppi, del L. stesso (già pubblicate nel 1741 a Londra) e di G.F. Händel. L'anno successivo completò Alfonso, la sua prima opera per Londra (gennaio 1744), e Alceste (aprile 1744), su libretti di P.A. Rolli. Nel 1745 interruppe la collaborazione con il King's, dove gli successe Gluck, e tornò in Italia: qui curò l'esecuzione della sua nuova Semiramide (Padova, Obizzi, giugno 1745), e compose Il gran Tamerlano (A. Piovene, Milano, Ducale, 20 genn. 1746).
Seguì un periodo di viaggi attraverso la penisola per allestire nuove opere, perlopiù su drammi di Metastasio o comunque di provenienza arcadica: Tigrane (C. Goldoni, Venezia, S. Angelo, maggio 1747), L'Olimpiade (Firenze, Pergola, Carnevale 1748), Andromaca (Salvi, Torino, Regio, Carnevale 1749), Artaserse (Milano, Ducale, Carnevale 1750), Alessandro sotto le tende di Dario (G. Riviera, Piacenza, Ducale, primavera 1751), Vologeso re de' Parti (A. Zeno, Genova, Falcone, Carnevale 1752). Quest'ultima venne adattata nel 1753 per Barcellona, dove L. andò personalmente a curare la messinscena, avviando un nuovo periodo di viaggi internazionali. Risale al maggio 1748 l'esecuzione al teatro Regio di Parma di una Serenata composta dal L. per il compleanno di Maria Teresa d'Austria.
Dal 1754 al 1758 scarseggiano le notizie biografiche sul L., e potrebbero essere quindi situate in questi anni le permanenze in Germania segnalate da Torrefranca (p. 295); nel 1755 probabilmente era a Londra per la sua nuova Siroe, re di Persia (Metastasio, King's theatre, 14 gennaio).
Nella primavera 1758 fu nominato maestro al cembalo (carica che in questi anni riuniva funzioni di concertatore della parte vocale e di direzione delle esecuzioni) del teatro Ducale di Milano, in seguito a una fortunata produzione de Il re pastore, sempre del prediletto Metastasio. D'ora innanzi la città natale sarebbe diventata sua dimora stabile; nello stesso anno scrisse Le cantatrici, la sua prima opera comica, andata in scena nella stagione autunnale del Ducale, tradizionalmente riservata alle opere più leggere. Grazie al successo di questo primo dramma giocoso, seguirono Il conte Chicchera e La contessina (Goldoni, ibid., autunno 1759); ma il maggior successo comico fu L'Amor contadino, scritta per Venezia ancora su libretto goldoniano (S. Angelo, autunno 1760), poi ripresa a Milano (1761), Monaco (1761), Copenaghen (1763), Praga (1763), Lisbona (1764).
Nel periodo 1758-60 va situata la conoscenza di J.Chr. Bach e di padre G.B. Martini, testimoniata da una lettera del primo al grande teorico bolognese. Da questo momento il L. ridusse l'attività compositiva per dedicarsi sempre più assiduamente alla professione di maestro di canto. I suoi ultimi lavori teatrali conosciuti sono l'opera seria Enea in Italia (da G. Bussani, Palermo 1763), e il dramma semiserio L'illustre villanella (G.M. D'Orengo, Torino, Carignano, primavera 1769).
Quando, nel 1770, i Mozart furono a Milano per l'allestimento al teatro Ducale del Mitridate re di Ponto di Wolfgang Amadeus, il L. partecipò alla concertazione vocale con la cantante Antonia Bernasconi, suonò poi il secondo cembalo per le prime tre recite, e nelle successive sostituì Wolfgang al primo con Mel.
Il padre Leopold scriveva: "Wenn man mir vor ungefehr 15 oder 18 Jahren, da Lampugnani in Engelland und Melchior Chiesa in Italien so vieles geschrieben, […] damals gesagt hätte, diese Männer werden der Musik deines Sohnes dienen und wenn er vom Clavier weggehet, hinsitzen und seine Musik accompagnieren müssen, so würde ich einen solchen als einen Narren ins Narrenspittal verwiesen haben" (Mozart, p. 414), parole che lasciano intendere la reputazione che il L. da tempo aveva raggiunto su raggio europeo.
Ancora come maestro al cembalo, partecipò nel 1778 all'inaugurazione del nuovo teatro alla Scala, e l'anno seguente del teatro della Canobbiana, sempre a Milano. Tenne l'incarico almeno fino al 1786, come attesta il libretto dell'opera di D. Cimarosa Il marito disperato, rappresentata alla Scala l'autunno di quell'anno.
Il L. morì a Milano il 2 giugno 1788.
I giudizi dei contemporanei sul L. sono piuttosto discordi: nonostante gli universali apprezzamenti ai suoi drammi, in generale gli fu mossa la critica di sovraccaricare gli accompagnamenti orchestrali, fenomeno che non sorprende, dato il continuo interesse suo e dell'intero ambiente milanese per la composizione strumentale.
Arteaga, per esempio, scriveva: "Il numero e i tipi di strumenti sono aumentati, poco a poco gli accompagnamenti sono divenuti più ricchi, l'orchestra ha acquistato maggior vigore e forza, in particolare nelle mani del Buranello, Hasse e Jommelli. […]. Quest'abitudine fu ulteriormente sviluppata dal compositore milanese Lampugnani, che concentrò tutta la sua attenzione a questo scopo. Da Lampugnani in poi questa componente dell'opera si è incredibilmente espansa. Il numero dei violini s'è accresciuto oltre tutte le proporzioni; s'è fatto spazio nell'orchestra agli strumenti più rumorosi. Percussioni, timbali, fagotti, corni da caccia; ogni cosa è intesa a creare frastuono" (pp. 256 s.). Quella dell'Arteaga è una considerazione frequente in quegli anni: per esempio, nel 1770 Ch. Burney scriveva che "in Inghilterra si protesta universalmente contro gli accompagnamenti troppo rumorosi; [in Italia] non si sente altro fuorché gli strumenti" (Burney, 1979, p. 98). Altrove Burney offre un giudizio più argomentato sul L., ricordando le esecuzioni londinesi dell'Alfonso nel 1744: "He was thought slight and flimsy when he was here; as all musical people were then imbued with the solidity of Corelli, Geminiani, and Handel […]. Lampugnani's is not a grand style, but there is a graceful gaiety in the melody of his quick songs, and an elegant tenderness in the slow, that resemble no other composer's works of that time. If any defect is more prominent than another in his productions, it is want of dignity and richness of harmony" (Burney, 1957, p. 842).
Una delle particolarità della scrittura vocale del G. consiste nel miscelare stilemi e formule di diversa provenienza seria e comica: la combinazione di linee con ampi salti melodici (per esempio l'aria "Superbo di me stesso" dall'Olimpiade) e ricche di ornamentazioni complesse a volte annullanti il tracciato melodico, tipiche dell'opera seria, con un melodizzare piano e leggero, più consono all'opera comica. Questa fusione di stili si riscontra tanto nella produzione seria, come appunto l'Alfonso, quanto nei drammi giocosi come L'amor contadino.
In quest'ultima opera il L. mette quasi in secondo piano il lato più esplicitamente comico per lasciar spazio alla melodia ampia e orecchiabile. Nell'opera seria impiega con larga prevalenza la forma dell'aria con "da capo"; al contrario nell'Amor contadino si incontrano molte forme alternative, spesso assai sintetiche, a volte con riprese parziali, e neppure una sola aria risulta completamente riconducibile all'archetipo del "da capo". Come esempi delle sperimentazioni formali del L. si possono indicate la doppia aria di Erminia ("Pastorelle felici voi siete / Ma che tu feci, ingrato", atto I, scena 11), o la doppia aria notturna con recitativo accompagnato di Lena ("Dove vada io non lo so / Ohimè, che cosa ho fatto! / Ah, mi pare di sentire", atto II, scena 11). I finali d'atto e i concertati dell'Amor contadino si rifanno ai coevi esempi di Galuppi, né poteva essere diversamente in un'opera composta per Venezia su libretto goldoniano: la forma è quella cosiddetta "a catena", con episodi successivi e chiusi, che rimase una costante da Galuppi al Paisiello comico. Si può fare l'esempio del finale terzo, un duetto fra Lena e Ciappo ("Dammi, o cara, un dolce amplesso") che Goldoni divide in due sezioni di ottonari e decasillabi, ma il L. suddivide ulteriormente in quattro segmenti, ognuno con metro e agogica diversi. Questa scena contiene l'agnizione, il riconoscimento della coppia principale, ossia il vero finale dell'opera, cui seguiranno le riconciliazioni delle coppie parallele: quella "alta" Clorideo-Erminia, e quella "bassa" Ghitta-Fignolo.
Nella musica strumentale del L. si ravvisa l'influenza corelliana nel linguaggio armonico, sia pur meno ricco di modulazioni e con un ridottissimo impiego di progressioni. Le sinfonie testimoniano lo stile della scuola milanese, in quegli anni rappresentata soprattutto da G.B. Sammartini. L'uso dello schema a tre movimenti con adagio centrale, l'impiego di oboi e corni nell'organico orchestrale in aggiunta agli archi, la scelta di temi modellati sull'accordo tonale, l'impianto a due temi e la bipartizione formale secondo lo schema armonico tonica-dominante e ritorno, tipico della sonata del periodo galante, sono i tratti più evidenti del suo stile. I tempi lenti sembrano i più deboli, mentre i finali, solitamente in tempo di minuetto, contengono spesso le idee più felici e i particolari più ricercati e sorprendenti. Per l'elenco in dettaglio delle composizioni si rimanda a The New Grove Dictionary.
Fonti e Bibl.: Ch. Burney, Viaggio musicale in Italia (1773), Torino 1979, pp. 96-98; J.-B. de La Borde, Essai sur la musique ancienne et moderne, Paris 1780, III, pp. 195 s.; S. Arteaga, Le rivoluzioni del teatro musicale italiano, Venezia 1785, pp. 256 s.; Ch. Burney, A general history of music (1776-89), II, a cura di F. Mercier, New York 1957, p. 842; C. Gervasoni, Nuova teoria di musica, Parma 1812, ad ind.; L. Mozart, Briefe und Aufzeichnungen, a cura di W.A. Bauer - O.E. Deutsch, Basel-London-New York 1962, I, 1722-1776, p. 414; A. Paglicci Brozzi, Il Regio Ducal teatro di Milano nel secolo XVIII, Milano 1894 (cronologia); P. Cambiasi, La Scala 1778-1906. Note storiche e statistiche, Milano 1906 (cronologia); F. Piovano, Un opéra inconnu de Gluck, in Sammelbände der Internationalen Musik-Gesellschaft, IX (1907-08), pp. 248, 270; F. Torrefranca, Le origini della sinfonia, in Riv. musicale italiana, XX (1913), pp. 295, 323; G. Barblan, Il teatro musicale in Milano nei secoli XVII e XVIII, in Storia di Milano, XII, Milano 1959, pp. 976-993; Id., La musica strumentale e cameristica a Milano nel '700, ibid., XVI, ibid. 1962, pp. 626-660; C. Sartori, G.B. Sammartini e la sua corte, in Musica d'oggi, III (1960), pp. 106-121; B.S. Brook, La symphonie française dans la seconde moitié du XVIIIe siècle, Paris 1962, II, p. 94; K. Hortschansky, Gluck und L. in Italien. Zum pasticcio Arsace, in Analecta musicologica, III (1966), pp. 49-64; M. Donà, Dagli archivi milanesi: lettera di Ranieri de' Calzabigi e di Antonia Bernasconi, ibid., XIV (1974), pp. 268-300; C. Vitali, Un fondo di musiche operistiche settecentesche presso l'Archivio di Stato di Bologna (Fondo Malvezzi - Campeggi), in Nuova Riv. musicale italiana, VI (1979), pp. 371-384; M. Talbot, A Vivaldi discovery at the conservatorio Benedetto Marcello, in Informazioni e studi vivaldiani, III (1982), pp. 3-12; E. Weimer, prefazione a G.B. Lampugnani, L'amor contadino, New York-London 1982; C. Vitali, Introduction, in The symphony 1720-1840, s. A, IV, New York 1983, pp. XXIX-XXXVI: G.B. Lampugnani, 5 Sinfonie; F. Maffei, G.B. L. (c. 1708-1788). Notizie biografiche e un catalogo ragionato della musica, tesi di laurea, Università di Pisa, a.a. 1987-88; R. Garibbo, Il re pastore. Storia e analisi del libretto metastasiano e della partitura di G.B. L., tesi di laurea, Università di Pisa, a.a. 1995-96; M. Brusa - A. Rossi, Sammartini e il suo tempo. Fonti manoscritte della musica a Milano nel Settecento, in Fonti musicali italiane, I (1996), suppl., pp. 66-80; R. Eitner, Quellen-Lexikon der Musiker, VI, pp. 31 s.; Répertoire international des sources musicales, s. B, II, pp. 177-179; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, VIII, coll. 154-158; Enc. dello spettacolo, VI, coll. 1187 s.; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, IV, pp. 261 s.; The New Grove Dict. of music and musicians (ed. 2001), XIV, pp. 203-205.