FONTANA, Giovanni Battista Lorenzo (in religione Gregorio)
Nacque a Nogaredo nella Val d'Adige, presso Rovereto, il 19 dic. 1735, quarto dei nove figli di Pietro, notaio, e di Elena Caterina Tenetti (secondo storici locali) o Ienetti (secondo C. Adami e P.K. Knoefel, in base ad atti anagrafici). Dei fratelli del F. i più noti furono il naturalista e fisico Felice e Giuseppe (1729-1788, medico rinomato e accademico agiato a Rovereto). Appartenenti alla piccola nobiltà, i Fontana, originari di Saone (presso Tione), si erano trasferiti a Rovereto nel secolo XV; il ramo cui apparteneva il F. era a Pomarolo dal sec. XVI.
Il F. compì i primi studi ad Arco con il religioso F. Santoni. Probabilmente seguì anche studi letterari a Rovereto con l'abate G.B. Graser (maestro del fratello Felice). E solo un'ipotesi che studiasse con G. Tartarotti, con il quale tuttavia il F. ebbe presto familiarità. Proseguì poi gli studi a Roma dal 1752 o 1753, probabilmente in uno dei due collegi tenuti dagli scolopi, il "Nazareno" o il "Calasanzio". In ogni caso, il 25 luglio 1754 fu ammesso in S. Lorenzo in Piscibus, noviziato scolopio di Roma. In quest'occasione mutò il suo nome in Gregorio del beato Giuseppe (Calasanzio), che, nel 1757, quando questi fu santificato, divenne Gregorio di S. Giuseppe. L'8 sett. 1755 pronunciò i voti minori (Roma, Arch. gen. delle Scuole pie, Reg. Rel., Professioni, n. 81, p. 5).
Il corso dei suoi studi successivi è determinabile solo con approssimazione; poiché dal 1757 insegnava nel "Nazareno" (Ibid., Reg. prov. Romanae, 3), in quell'anno doveva aver già terminato i due prescritti trienni di filosofia e teologia. La data dell'ordinazione sacerdotale deve essere collocata intorno al 1758.
In lui l'interesse religioso si configurò subito molto più in termini etico-filosofici che devozionali o pastorali. Già in lettere degli anni Sessanta egli criticava alcuni aspetti della cultura ecclesiastica, l'autocrazia pontificia, il mondo curiale e gli ordini religiosi come organici alla gerarchia e allo scolasticismo. È difficile dire se il F. avesse assorbiti questi orientamenti all'interno della Congregazione (qualche estraneità ad aspetti della religiosità tridentina e tensioni con la Compagnia di Gesù caratterizzarono l'Ordine calasanziano dalle origini), o se essi provenissero da influenze esterne. Va comunque osservato che almeno in alcune estati egli tornò presso la famiglia: nel 1759, quando fu ammesso tra gli Agiati di Rovereto col nome arcadico di Eudamio, nel 1760 (Ibid., Reg. gen. 28, sub anno 1760) e nel 1761, quando lesse una memoria nell'accademia. Durante quei soggiorni consolidò i rapporti con personalità rilevanti tra gli Agiati, quali il Tartarotti (che lo raccomandò al conte C. di Firmian) e il Graser, che probabilmente lo influenzarono in senso antiscolastico e anticuriale (nelle lettere del F. al Graser degli anni 1765-69 era già netto il suo orientamento antigesuitico).
Al "Nazareno", insieme con la filosofia, dovette insegnare anche la matematica, perché non risulta in quegli anni un docente specifico della disciplina. Ma non è agevole individuare come si sviluppasse in lui l'interesse profondo per tale materia. Tra il giugno e l'agosto del 1760 il F. visitò Pisa e Firenze (ibid.), e dovette conoscere P. Frisi, professore nell'ateneo pisano, col quale iniziò un carteggio dal settembre successivo. Nella stessa estate, tornando da Rovereto, fu destinato al collegio di Senigallia, dove rimase almeno fino al 1762 (Ibid., Reg. prov. Romanae, 3), insegnando filosofia e matematica.
Qui frequentò G. C. Fagnano, uno dei maggiori matematici italiani della prima metà del Settecento, ma non fu questi a legarlo a tali studi, perché già dal 1757 il F. era in contatto epistolare con matematici quali S. Canterzani, P. Fantoni e Frisi e nel 1761 la sua preparazione era già tale da farlo aspirare a una cattedra universitaria. Occorre perciò far risalire l'inizio degli studi specialistici del F. agli anni romani, quando il "Nazareno" non aveva docenti di vaglia nella materia. Un rapporto del F. con R.G. Boscovich, futuro collega a Pavia, non è documentato; nel 1761 egli poté vantare la stima dei padri minimi F. Jacquier e F. Le Seur, commentatori dei principia newtoniani a lungo residenti in Roma, ma i dati disponibili non consentono di considerare il suo rapporto con loro come un discepolato, cosicché tutto lascia pensare che la sua fosse una preparazione da autodidatta. Anche la conoscenza con il naturalista ed erudito riminese G. Bianchi, con il quale manterrà i contatti da Pavia, non ebbe grande influenza su di lui.
Nell'estate del 1762 il F. fu a Bologna, incontrando gli Zanotti, Canterzani, V. Riccati, G. Saladini e F. Algarotti; nel maggio 1763, insieme con il fratello Felice, fu ascritto all'Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna. Fu questa la sua prima associazione a un'accademia scientifica, seguita da quelle alle accademie dei Fisiocratici di Siena, delle scienze di Torino (1785), di scienze, lettere ed arti di Padova, delle scienze di Gottinga, di scienze e belle lettere di Mantova, alla Società patriottica di Milano ed alla Royal Society (1795). Indicativo della stima presto riscossa dal F. è il fatto che nel 1781 A.M. Lorgna lo includesse, con Felice, nel primo nucleo della Società italiana delle scienze (l'ultima sua nomina accademica è del 1802, quando il governo triumvirale della Toscana lo associò alla rinata accademia del Cimento).
A Senigallia seguitò a ricercare una cattedra universitaria che lo sottraesse all'isolamento e, forse, ai vincoli della vita religiosa. Nel 1761 pensò alla cattedra padovana di matematica, poi a quelle di Pavia, Pisa e Torino. Ma la sua produzione non era tale da farlo anteporre ad altri candidati, anche perché la prima pubblicazione matematica del F., gli Analyseos sublimiores opuscula, comparve solo nel 1763 a Venezia.
Lasciata Senigallia, forse alla fine del 1763, il F. fu inviato ad insegnare nel collegio milanese degli scolopi, il "Calchi". La sua permanenza qui fu in ogni caso brevissima, perché una raccomandazione del Frisi al Firmian gli ottenne nel marzo 1764 la lettura di logica e metafisica nell'università di Pavia, essendogli preclusa quella di matematica dal Boscovich.
Il F. rimase a Pavia per più di trent'anni. Mancando nella città una casa degli scolopi, visse privatamente in modo sobrio e ritiratissimo, maturando un distacco crescente dal ruolo religioso e dalle forme storiche del cattolicesimo, se non dal suo nucleo di fede. Con l'eccezione dei cataloghi della sede di Milano, che fino alla morte ne segnalano il distacco a Pavia, il suo nome scompare nei documenti scolopi dal 1765. Da almeno il 1783 si adoperò per ottenere la secolarizzazione, come premessa all'abbandono della cattedra pavese e al ritorno in patria; ma l'insuccesso del tentativo (fu secolarizzato solo nel giugno 1797) e l'alleggerimento dei suoi compiti di bibliotecario, nel 1784, lo indussero a rimanere a Pavia.
Non vi è traccia delle lezioni filosofiche pavesi (il programma del corso del 1764-65 è nell'Archivio di Stato di Pavia, Università di Pavia. Rettorato, cart. 211, fasc. 8). Tuttavia le lezioni tenute nel "Nazareno" (ms. Palatino 1197), anche se a Roma aveva dovuto attenersi a vincoli disciplinari e a forme didattiche tradizionali, presentano già connotati significativi, che poterono accentuarsi in seguito. Il F. partecipa all'evoluzione dell'insegnamento della logica da casistica dell'inferenza e delle categorie metafisiche del discorso, com'era fino al primo Settecento, in epistemologia e metodologia; parallelamente è coinvolto neli'evoluzione - propria del medio e tardo Settecento italiano - della metafisica in una dottrina delle categorie del pensiero ancorata ad un numero ristretto di postulazioni ontologiche e cosmologiche, non necessariamente tradizionali. Le lezioni però non mostrano che nel giovane F. gli influssi empiristici, sensistici e materialistici avessero eroso, oltre a certe forme storiche della disciplina, il ruolo fondante dell'ontologia, né è certo che questo avvenisse in seguito (poco prima della morte egli lesse la Metafisica di A. Genovesi). Manca dunque una prova che le sue successive aperture ideologiche, anche radicali, e l'adesione a tesi scientifiche audaci (nel 1770 difese il dibattuto discorso di P. Moscati, Delle corporee differenze essenziali che passano tra la struttura dei bruti e la umana, un manifesto del materialismo biologico che fece emergere divisioni nell'intellettualità italiana) denotino adesione al materialismo in ontologia o al sensismo in gnoseologia. Si può aggiungere che negli anni Settanta il F. aderì al progetto di enciclopedia italiana dell'ex gesuita A. Zorzi, nel quale la metafisica conservava il ruolo di ordinatrice delle forme e livelli dei sapere. Questo non implica che egli attribuisse all'ontologia un ruolo diretto nelle discipline positive: nella nona annotazione al Saggio sulla storia della matematica di C. Bossut, di poco precedente la morte, scrisse che "tutte le cognizioni, a cui l'uomo può aspirare, si riducono unicamente ad intendere il magistero, e l'economia delle forze mondane" e che tutto lo scibile umano si concentra "in questo solo problema: data la legge, e l'economia delle forze ... spiegare i fenomeni dell'universo". In questo egli concordava con quanto sostenuto quasi mezzo secolo prima dal Boscovich.
A Pavia il F. si fece subito apprezzare. Dal 1766 al 1771 fu membro del collegio rettorale dell'ateneo (in seguito si pensò a lui come rettore, ma il suo stato di religioso dissuase dall'eleggerlo). Nel 1768, con la riforma teresiana delle scuole lombarde e dopo il trasferimento del Boscovich alle Scuole palatine di Milano, il F. gli successe nella lettura di matematiche elementari e meccanica. A Pavia iniziò allora un processo di articolazione dell'antica lettura di matematica in letture distinte, che unì al F. una nuova leva di docenti (F. Luino, C. Gianella, P. Paoli, L. Mascheroni, M. Fontana e altri minori); ciò gli permise di dedicarsi ai corsi avanzati: nel 1778 passò a leggere matematica sublime e meccanica, e nel 1793 la sola matematica sublime, cioè l'analisi. Oltre a potenziare l'insegnamento matematico, le riforme teresiane svilupparono nell'ateneo pavese le aree sperimentale e medico-naturalistica, spinsero l'insegnamento filosofico e giuridico in direzione antiscolastica e anticuriale, costituirono strutture (di laboratorio, museali e bibliotecarie) al migliore livello europeo. Nell'ottobre del 1768 il Firmian, dando assetto ammmistrativo alla biblioteca del collegio "Ghislieri", i cui convittori frequentavano l'università, ne nominò direttore il F., che da allora vi alloggiò. Nel 1771 un provvedimento che istituiva una biblioteca universitaria, cui veniva unita quella del "Ghislieri", rese il F. direttore di entrambe. La carente situazione di partenza gli impose compiti gravosi (stesura di cataloghi per le due biblioteche; potenziamento delle dotazioni librarie; relazioni annue sulla situazione amministrativa). Poté liberarsene in parte solo nel maggio del 1784, quando fu nominato prefetto, lasciando la direzione al collega A. de' Giorgi Bertola.
Due cataloghi da lui redatti nel 1771 o poco dopo (ora nell'Archivio di Stato di Milano) documentano i primi esiti del suo lavoro; un catalogo alfabetico generale del 1780-83 (conservato nella biblioteca), in ben 41 volumi, mostra il progresso nei dieci anni successivi. Nel 1783 il F. realizzò anche un indice degli atti accademici posseduti (pure conservato nella biblioteca), mentre non risulta che realizzasse il catalogo per soggetto e quello delle dissertazioni, che aveva previsto. Ma gli aspetti più caratterizzanti della sua direzione riguardano la scelta dei libri da acquisire e la loro classificazione. Quanto al primo, dirigendo un comitato del quale fecero parte anche i colleghi G.B. Borsieri e G.A. Scopoli, egli determinò il carattere di base delle dotazioni della biblioteca in senso nettamente moderno: rinunciò alla costituzione di fondi organici di volumi antichi, e tra le pubblicazioni contemporanee privilegiò quelle scientifiche o di contenuto comunque "positivo", riducendo al massimo quelle di tradizione scolastica o devozionali. Acquisì molto selettivamente i fondi, anche manoscritti, delle biblioteche di istituti religiosi pavesi soppressi, come quelle dei gesuiti o di S. Pietro in Ciel d'Oro, e le seconde copie di opere esistenti nelle biblioteche milanesi, che il governo aveva destinato a Pavia. Agli acquisti, pur deplorando la fatica ed il tempo sottratto ai propri lavori, il F. dedicò molte cure, ricorrendo ampiamente a corrispondenti stranieri. Durante la sua direzione la biblioteca assorbì parte rilevante di quelle di A. von Haller e del Firmian (solo da quest'ultima più di 5.000 volumi).
Com'è ben noto, anche in settori non matematici le riforme teresiane e la validità del reclutamento e della gestione fecero dell'università di Pavia quella italiana di maggiore livello scientifico, con la chiamata di docenti come L. Spallanzani, Borsieri, Scopoli, A. Volta, Scarpa, C. Barletti, G.V. Brugnatelli. Il F. contribuì significativamente al movimento intellettuale avviato da questi uomini e dai matematici già nominati, seguendo le loro ricerche (fu anche presente a dimostrazioni del Volta sui fenomeni galvanici). Tuttavia le sue relazioni con alcuni colleghi, che una generica modernità di indirizzo potrebbe fare accostare a lui, videro tensioni o anche ostilità aperta, senza che sia chiaro il peso di rivalità, contingenze o dissensi ideologico-culturali, o se il F. vi avesse prevalentemente parte attiva o passiva. La vicenda più documentata - anche perché sfociata in una procedura amministrativa - è quella dell'urto con lo Spallanzani. Anche i suoi rapporti con il Volta, formalmente cordiali, mostrano una incomprensione di fondo.
Le vicende accademiche non distolsero il F. dalla ricerca, sfociata in un insieme di pubblicazioni che, anche in senso semplicemente quantitativo, ha scarsi paragoni nell'Italia di quegli anni. Il lavoro scientifico del F. fu solo matematico, nel senso in cui lo fu quello di molte delle grandi figure del periodo: non si dedicò a esperimenti, a misure o alla teoria degli strumenti, ma oltre a tematiche pure toccò questioni applicative e aspetti algoritmici di discipline sperimentali (dinamica, ottica, idraulica, biomeccanica, teoria degli errori sperimentali, statistica). Il suo orizzonte concettuale fu quello tracciato da L. Euler e D'Alembert a metà secolo. Non fu quindi una figura scientifica creativa né fornì risultati paragonabili a quelli di alcuni autori italiani di formazione parallela, come un G.F. Malfatti. I suoi contributi denotano conoscenza estesa e sicura dell'analisi del medio Settecento, ma sono segnati da frammentarietà, consistendo in scritti per lo più brevi e su questioni circoscritte, raramente connesse in un programma.
Agli inizi della sua attività il F. pensò a monografie (nel 1762 lavorò a due trattati di calcolo differenziale ed integrale; nel 1764 ad un "trattato sopra la percossa de' fluidi contra i corpi solidi"), ma questi progetti non furono realizzati. Anche gli scritti non scientifici sono saggi, oppure introduzioni o aggiunte a testi altrui. Questo fu rilevato dai contemporanei: allievi come il Savioli e S. Ticozzi indicarono come cause l'irrequietezza o la volubilità. Tuttavia, se non produsse opere di sintesi, il F. fu forse il matematico italiano del Settecento che più favorì la diffusione di lavori francesi, tedeschi e inglesi con traduzioni, in parte sue (studiò quelle lingue tardi e da autodidatta), in parte di allievi, cui aggiunse note o appendici, spesso importanti.
Dopo gli Opuscula del 1763 la sua prima pubblicazione matematica fu un articolo sulle misure barometriche per la edizione livornese (1770-75) dell'Encyclopédie, sviluppato nell'opuscolo Delle altezze barometriche, e di alcuni insigni paradossi relativi alle medesime. Saggio analitico con alcune riflessioni preliminari intorno all'applicazione delle matematiche alla fisica (Pavia 1771) - Seguirono dieci "schediasmi", pubblicati negli Atti dell'Accademia delle scienze di Siena, V (1774), pp. 55-128, su questioni analitiche, trigonometriche, meccaniche, ottiche e barometriche. Nello stesso volume degli Atti seguì (pp. 129-139) un Saggio sopra i progressi matematici di Girolamo Cardano e Bonaventura Cavalieri dopo il ristabilimento delle lettere in Occidente, prova di un interesse per la storia della matematica che affiora nel F., più volte (come nel Discorso sopra i pretesi ottici strumenti di Tolomeo Evergete, in Giornale fisico-medico, III [1792], p. 95, e nelle aggiunte al Saggio sulla storia della matematica di C. Bossut), senza però essere sistematico come in un P. Cossali. I suoi giudizi storici furono talora astratti (nel 1778, su richiesta governativa, esaminò e giudicò negativamente il contenuto meccanico dei manoscritti di Leonardo conservati nella Biblioteca Ambrosiana di Milano). Nel 1774 il F. vinse il concorso annuo dell'Accademia di Mantova, bandito su un problema idraulico (il suo testo fu poi edito: Dissertazione idrodinamica sopra il quesito: Cercar la cagione, per la quale l'acqua salendo ne' getti quasi verticali de' vasi, se le luci di questi getti siano assai tenui, non giunga mai al livello dell'acqua del Conservatorio..., Mantova 1775; una riedizione con titolo identico si ebbe nello stesso anno a Pavia). Il lavoro degli anni Settanta culminò nelle quindici Disquisitiones physico-mathematicae nuncptimum editae, relative ad astronomia, meccanica, calorimetria e fisiologia quantitativa, pubblicate a Pavia nel 1780, con l'aiuto di un allievo, l'olivetano F. Messia. Se fino ad allora la tendenza a produrre lavori brevi aveva costretto il F. a riunirli in volumi miscellanei, dopo il 1780 l'associazione ad accademie scientifiche che pubblicavano atti, la comparsa a Pavia di periodici scientifici e l'inserimento di aggiunte nelle opere tradotte o scritte dagli allievi gli offrirono altre possibilità. Con l'eccezione delle Ricerche sopra diversi punti concernenti l'analisi infinitesimale e la sua applicazione alla fisica, derivate da lezioni di analisi pura, ottica, meccanica, barometria e geodesia, i molti lavori successivi del F. sono dispersi in un buon numero di periodici, anche di non facile reperimento. Diciassette articoli (dalla filosofia del calcolo all'ottica, meccanica e idraulica) furono stampatì nel tomi I, II, III, VIII e IX (1782, 1784, 1786, 1799, 1802) delle Memorie della Società italiana delle scienze. Nella Biblioteca fisica d'Europa del Brugnatelli il F. pubblico dal 1789 sei articoli (due apparsi anche come Opuscoli matematici sopra il teorema della composizione delle forze, e sopra il calcolo integrale delle differenze finite, Pavia 1789); quattro articoli apparvero nel 1792 nel Giornale fisico-medico dello stesso Brugnatelli; altri quattro furono stampati nel 1796, col titolo di Memorie matematiche e con dedica al Bonaparte, negli Avanzamenti della medicina e fisica editi pure dal Brugnatelli. Nelle Memorie dell'Accademia delle Scienze di Torino del 1803 apparvero infine altri suoi cinque lavori. A questi scritti vanno affiancati note e aggiunte a traduzioni sue o di allievi; interventi in lavori di discepoli; risultati pubblicati in opere di amici o corrispondenti; prolusioni o discorsi accademici.
Tra le traduzioni va ricordata soprattutto quella della Dottrina degli azzardi applicata ai problemi della probabilità della vita di A. Moivre (Milano 1776), affidata al cisterciense R. Gaeta ma arricchita dal F., che ebbe notevole influenza nel consolidamento disciplinare in Italia di statistica e demografia. Traduzioni sue o di allievi furono anche: il Compendio d'un corso di lezioni di fisica sperimentale del Sig. Giorgio Atwood (Pavia 1781; ristampata a Palermo nello stesso anno e a Venezia nel 1784) con un'ampia Dissertazione del traduttore sopra il computo analitico dell'errore probabile nelle sperienze ed osservazioni del F., primo esteso contributo italiano alla teoria degli errori sperimentali; il Trattato elementare d'idrodinamica del sig. Abate Bossut, tradotto da G. Gratognini, con aggiunto un corso sull'argomento del F. (Pavia 1785); il Trattato elementare di meccanica del sig. Abate Bossut... con note, ed un'appendice contenente ... due memorie inedite sulle forze centrali del p. G. F. (Pavia 1788), tradotto dall'olivetano A. Mozzoni; il Saggio sulla storia generale delle matematiche di Carlo Bossut... con riflessioni ed aggiunte di G. F. (IAV, Milano 1802-1803), tradotto dallo stesso Mozzoni (le Addizionie supplimenti del F., nel IV volume, riguardano, oltre alla matematica pura, l'astronomia, la meccanica e la storia di settori applicativi con notevoli excursus sulla biomeccanica del Settecento, per la quale il F. aveva già mostrato interesse). A queste traduzioni si può associare l'edizione, curata dall'allievo F. Speroni, delle Institutiones calculi differentialis di L. Euler (Pavia 1787). In precedenza il F. aveva usato nell'insegnamento i testi originali di Bossut ed Euler. Le versioni furono strumenti importanti di progresso didattico, come i Principi fondamentali del calcolo differenziale e integrale appoggiati alla dottrina de' limiti (Pavia 1788) dell'allievo A. Potteri, manuale che contiene quattro appendici del F. e reca la sua impronta nel fornire una sistemazione dell'analisi su una piattaforma euleriana. Oltre alle appendici ed apparati di note in queste opere, risultati del F. apparvero nelle Adnotationes ad calculum integralem Euleri (Pavia 1790) di L. Mascheroni, nella Memoria sopra le curve parallele (Pavia 1792) del Lotteri, nella edizione pavese del 1793 della traduzione di S. Canovai e G. Del Ricco delle Lezioni elementari di calcolo differenziale ed integrale del sig. abate Marie. A parte i discorsi accademici, sono da includere nella bibliografia del F. scritti matematici di altri a lui diretti e che discutono suoi scritti o tesi. Un'analisi del suo lavoro scientifico dovrebbe, infine, considerare le recensioni italiane ed estere dei suoi scritti (soprattutto nel Berliner astronomisches Jahrbuch di J.E. Bode dal 1779 al 1783).
La storia della produzione del F. si intreccia con quella delle sue relazioni con l'ambiente matematico italiano, che unirono stima a polemiche e rivalità (esemplari i rapporti con i colleghi a Pavia): resta da sondare quanto nelle tensioni incisero, oltre ai dissensi scientifici, conflitti ideologici e rivalità personali. Già nel 1777 un suo articolo per il Prodromo della nuova enciclopedia italiana (Siena 1779) dello Zorzi fu criticato da G.F. Malfatti e dal Canterzani (venne poi pubblicato anonimo - diversamente dagli altri articoli del Prodromo - come ad evitare al F. l'attribuzione di un contributo supposto inadeguato, ed egli non fu incluso tra i coordinatori dell'opera). Nel 1782 fu il F. a proporre rilievi su un lavoro del Malfatti. Ma ebbe lo scontro più forte col Frisi, al quale pure certe scelte ideologiche potevano accomunarlo. Dopo essere stato aiutato dal barnabita agli inizi della carriera, egli mantenne con lui un rapporto esteriormente cordiale, se non stretto (la loro corrispondenza si dirada dopo il 1764); ancora nel 1778-80 fu inserito dal Frisi tra i membri dell'accademia di matematica, filosofia e lettere che questi progettava di costituire a Milano. Ma nel 1782, quando il barnabita si trovò in polemica con gli astronomi dell'osservatorio di Brera per certe loro tesi apparse nelle Efferneridi di Milano per il 1783, il F. si schierò con i secondi; contemporaneamente invio al ministro J.J. Wilczeck, che glielo chiedeva, un giudizio fortemente negativo sul primo volume delle Opere del Frisi, e poco dopo ne espresse uno analogo sul secondo. Scientificamente le critiche del F. erano fondate, ma il loro tono suggerisce un contrasto precedente (che, secondo P. Verri, doveva essere fatto risalire a una vecchia rivalità tra il F. e il Frisi per la contessa Antonia Dati della Somaglia: Carteggio, 1, 2, p. 294). Di tono meno aspro e di contenuto scientifico forse maggiore furono due altri dibattiti. Quello destato dalla memoria del F., Sopra i logaritmi delle quantità negative e sopra gli immaginari (nelle Memorie della Società italiana..., I [1782], p. 183), che riprendeva la tesi leibniziana della natura immaginaria di tali quantità contro la tesi opposta sostenuta in Italia da V. Riccati, P.M. Caldani, Frisi, P. Ferroni, approdò a una formulazione conciliativa del Malfatti. Lo scritto De infinito logarithmico, nelle Disquisitiones del 1780, provocò critiche dall'ex gesuita G. Contarelli, col quale nel 1782 il F. ebbe uno scambio epistolare, e un intervento di A. Dalla Decima in una lettera allo Spallanzani del 1781.
La matematica, o anche la scienza, non esaurì i ricchissimi interessi intellettuali che, fino al 1796, riempirono la vita del Fontana. Benché portato dai propri disturbi depressivi a non lasciare la propria abitazione per lunghi periodi (nonostante i medici, tra i quali il collega Borsieri, gli consigliassero una vita all'aria aperta, nel 1782 giunse a tenere in casa le lezioni), non rimase isolato, perché le visite di un gruppo ristretto di amici e colleghi fecero della sua casa un vero luogo di elaborazione intellettuale. Ebbe contatti con l'olivetano S. Perondoli, docente di diritto canonico ed esponente moderato del giansenismo (fu biografo di G. Zola), e con C. Beccaria (meno, sembra, con P. Verri), e la sua inesausta attività epistolare mostra come seguisse gli eventi culturali e politici di quegli anni. È esemplare la corrispondenza con G.C. Amaduzzi (dal 1776 al 1792), che fornisce notizie sulle vicende della società e della Curia romana, ma di grande rilievo è anche quella con stranieri, mai veramente studiata (oltre ad alcuni dei più notevoli matematici del tardo Settecento scambiarono lettere con lui C. Bonnet e A. Trembley).
Il F. si interessò alla letteratura (soprattutto alla poesia) e alla riflessione ideologicopolitica (dalle premesse filosofiche a temi giuridici ed economici). L'interesse poetico del F. non fu solo di lettore (conobbe ampiamente autori classici e recenti, che amava citare), ma di autore. Per questo aspetto egli rientra nella voga tardosettecentesca della poesia lirica, che lo accomuna a colleghi come il Bertola e, soprattutto, L. Mascheroni. Tuttavia in lui fu esiguo il correlato salottiero ed accademico di quella voga: tra l'altro non fu membro dell'accademia letteraria pavese, quella degli Affidati, anche se forse occasionalmente partecipò alle riunioni.
Negli anni prerivoluzionari la sua produzione fu connessa prevalentemente a circostanze occasionali, giungendo raramente alla stampa; i componimenti conservati si trovano in larga parte nella corrispondenza. Il F. poetò nei moduli della lirica di transizione tra Arcadia e neoclassicismo; certi suoi versi mostrano che l'austerità di vita ed il rigore degli interessi coesistevano in lui, come in tanti esponenti del clero dell'epoca, con atteggiamenti intimi meno rigidi, e anche galanti.
Dopo il 1796, tuttavia, gli eventi rivoluzionari divennero l'oggetto prevalente della sua saltuaria attività poetica, consegnata a pubblicazioni effimere che è difficile reperire (il F. celebrò in versi la resa di Mantova ai Francesi; un componimento dedicato al Mascheroni sulla rivolta antiveneziana di Bergamo fu pubblicato nella Raccolta di avvisi, editti... della Repubblica Bergamasca, anno V repubblicano, p. 104; un foglio volante con sonetti antipapali è in Pavia, Bibl. univ., Ticinensia XIX, n. 18). La corrispondenza contiene giudizi su poeti classici e contemporanei (notevole l'ammirazione per V. Alfieri e per A. Paradisi, stimato dal F. il più "filosofico" dei poeti italiani di quegli anni).
Gli orientamenti ideologico-politici del F. sono questione ancor più complessa, anche perché base necessaria per una valutazione non schematica del suo successivo impegno politico. In campo religioso s'interessò alla tradizione giansenista, alle tendenze moderne dell'esegesi biblica e patristica, alla nuova storiografia sulla Chiesa, ai polemisti anticuriali; in campo filosofico gli furono familiari le tendenze antiscolastiche e sensistico-empiristiche; in area politico-economica il giusnaturalismo, l'economia politica e la nascente statistica; in ambito letterario l'illuminismo francese e italiano.
Gli studi sull'attività e sulle idee del F. come esponente della Cisalpina hanno portato talora a giudizi tra loro incompatibili. Si è voluto includere il F. in un giansenismo "politico" sfociato nel sostegno all'esperimento rivoluzionario, in un "massonismo giacobino unitario" e in altre categorie, nessuna delle quali rende ragione di tutte le sue scelte e giudizi. Quanto alla radice giansenistica, in una lettera del 1795 qualificò il giansenista Zola "scrittore... certamente fanatico, visionario" e, come "tutti quelli della sua setta, inurbano, aspro, intrattabile verso tutti coloro che non giurano in s. Agostino"; le sue posizioni antigesuitiche ed anticuriali non erano una peculiarità dei giansenisti. Quanto alla matrice massonicogiacobina, è stato scritto che il F. aderì alla loggia milanese "La Concordia" (attiva dal 1783); ma il suo nome non figura nelle liste degli iscritti, pubblicate da R. Soriga. In mancanza di elementi che provino la sua adesione alla muratoria, tale ipotesi si basa - per induzione - su coloriture delle idee del F., sui suoi rapporti personali e gli incontri con massoni tedeschi, come F. Münter e il barone T.M. de Bassus. Di fatto, nel F. la critica all'esperienza storica della Chiesa, certamente radicale, non sfociò in ateismo o deismo, ma in una forma di cristianesimo "illuminato" in sintonia con le riforme giuseppine. Nel Discorso preliminare alla versione della Dottrina degli azzardi del Moivre, scritto o ispirato da lui, l'autore è elogiato per avere addotto considerazioni probabilistiche in difesa del cristianesimo. Nel 1777 il F. pubblicò a Pavia, con apparato di note, un classico della recente apologetica cristiana di matrice scientifica, il Saggio di una difesa della divina rivelazione di Leonardo Eulero, coll'aggiunta dell'esame dell'argomento dedotto dall'abbreviamento dell'anno solare e planetario. Che egli restasse nel fondo un cristiano è confermato infine dalla versione della Dissertazione di Gian Lorenzo Mosheim sopra l'opera di Origene contro il filosofo platonico Celso (Pavia 1786), nata da discussioni con lo Zola contemporanee al lavoro di P. Tamburini su quel testo, e dall'ampio apparato di note che vi unì.
Ancora meno consistente appare la sua appartenenza al giacobinismo, se intesa in senso proprio. Essa è esclusa sia dall'azione del F. nella Cisalpina e nella Repubblica Italiana, che in punti caratterizzanti fu diversa o contraria a quella della componente giacobina, sia da operazioni e scelte culturali anteriori al 1796, che furono in sintonia con un illuminismo critico, ma non socialmente e politicamente radicale. La sua ampia prefazione all'Esempio della Francia avviso e specchio dell'Inghilterradi Arturo Young (Pavia 1794) contiene critiche alla Rivoluzione francese - soprattutto alla fase giacobina - tra le più forti pubblicate allora in Italia. Per sostenere un (parziale) giacobinismo del F. sono stati addotti fatti quali i rapporti, a Pavia e nella Cisalpina, con democratici radicali come F. Alpruni o F. Massa; l'inclusione, da parte degli studenti, nel 1796, tra i docenti giacobini; la descrizione del F., in un rapporto di polizia del 1799, come "occulto giacobino e ateo anche prima dell'ingresso dei Francesi in Lombardia". Si tratta però di fatti spiegabili altrimenti, o contrastanti con dati rilevanti e certi. Sarà più cauto ritenere che nel F. non vi fu l'adesione rigida a un modello, ma una evoluzione problematica, aperta a revisioni ed oscillazioni. Anche l'appartenenza di molti suoi parametri culturali al riformismo giuseppino non è un riferimento vincolante, perché lo slancio col quale aderì alla situazione determinatasi con la campagna d'Italia mostra come avesse maturato un distacco dai connotati politici e socioeconomici di quel riformismo.
Nella prefazione allo Young il F. aveva osservato che i passaggi di fase nella rivoluzione erano consistiti nella distruzione di un gruppo egemone da parte di uno più radicale e aveva preconizzato identica sorte ai robespierristi. Il Termidoro poté sembrargli una conferma e una conclusione di questa dinamica, che separava le istanze positive della rivoluzione dai suoi eccessi. Questo suo giudizio può conciliare la precedente condanna con l'accettazione entusiastica degli esiti della campagna d'Italia, notevole per un accademico in rapporto da decenni con i vertici del governo asburgico, e si integra con l'interesse professato per un autore come il Condorcet, influente sul F. sia per l'aspetto ideologico, sia per i suoi apporti alla matematizzazione di temi economici e statistico-demografici.
Dopo l'ingresso dei Francesi a Pavia (maggio 1796) il F. incontrò il Bonaparte, persuadendolo (insieme con il Mascheroni) a non chiudere l'università; nell'ottobre, nel consiglio dei professori, lo ringraziò per questa decisione, e caldeggiò l'erezione dell'albero della libertà nei palazzi dell'università e del collegio "Ghislieri" (il Volta deplorò la sua partecipazione alla "gazzarra"). Negli stessi mesi dedicò a Napoleone le Memorie matematiche e i contemporanei rilevarono che il coinvolgimento nel nuovo processo politico trasformò il suo costume di vita, passato dalla quasi segregazione domestica alla frequenza ad incontri pubblici e manifestazioni, come se la depressione precedente fosse cancellata dal nuovo clima. Al cambiamento contribuì forse il passaggio a sacerdote secolare, che gli garantì un'indipendenza inseguita da molto tempo.
Nell'aprile 1797 il Bonaparte, vincendo le sue resistenze, lo indusse ad accettare la presidenza dei comitato decemvirale incaricato del progetto di costituzione della Cisalpina. Non è ben noto il suo ruolo nell'approntamento di un testo che finì per essere quasi una copia della costituzione francese del 1795, ma in un passo della Storia d'Italia C. Botta asserì che il Bonaparte aveva voluto il F. alla presidenza per coprire col suo prestigio intellettuale una sostanziale imposizione.
Nel giugno fu nominato commissario dei nuovi dipartimenti del Ticino e dell'Alto Po; fu anche nella commissione organizzativa della festa della Federazione, tenuta a Milano il 9 luglio per celebrare la promulgazione della costituzione, avvenuta il giorno precedente. Fece poi parte (con il Mascheroni, A. Longo ed altri) dei comitato di costituzione della Cisalpina, ed il 9 novembre fu incluso nel Corpo legislativo come rappresentante nel Gran Consiglio (o Consiglio dei iuniori) dei dipartimento XIX; nello stesso giorno, nel comitato di costituzione, emanò il provvedimento che estendeva la cittadinanza agli esuli veneti. Infine il 22novembre presiedette, come membro anziano, la prima seduta del Consiglio dei iuniori, tenendo il discorso inaugurale della legislatura. L'assemblea lo elesse presidente permanente, ma egli ottenne la dispensa per motivi di salute.
Per partecipare alle sedute risiedette sempre più spesso (dal 1800 stabilmente) a Milano, dove frequentò salotti come quello della contessa G. Beccaria, madre dei Manzoni. La sua casa milanese divenne riferimento di un circolo politico ed intellettuale. In seno all'assemblea le sue iniziative più significative riguardarono la questione delle congregazioni e dei beni ecclesiastici e la riforma del sistema scolastico. Nella seduta del 29 nov. 1797 caldeggiò la proibizione dei versamenti richiesti dal clero ai fedeli, e in quella del 24 dicembre la dichiarazione di incostituzionalità degli enti religiosi. Fu membro della commissione che propose (24 luglio 1798) il piano generale di Pubblica Istruzione ("Piano Mascheroni"), accrescendo così il contrasto con i radicali dell'assemblea, emerso quando (il 13 febbr. 1798) era stata approvata una legge proposta da G. Lattanzi, e promulgata il 21 febbraio, che escludeva da impieghi pubblici chi dopo il 1792 avesse "composti e pubblicati libri diretti ad ispirare odio verso la democrazia". La legge intendeva primariamente colpire V. Monti, del quale menzionava la Bassvilliana, ma era rivolta anche al F. per le sue traduzioni da Swift e Young (che fosse rivolta a entrambi fu asserito da U. Foscolo nell'Ortis, nella lettera dell'11 nov. 1798). Essa non venne estesa all'università, ma la natura schiva del F. fu ferita dalle forme della polemica (a Milano furono arse in pubblico copie della Bassvilliana e della traduzione dello Young); altra amarezza dovette derivargli dall'opposizione dei democratici (e particolarmente di V. Dandolo) al "Piano Mascheroni", accusato di mirare più al potenziamento dell'istruzione media e superiore che di quella elementare e popolare. Il 29 settembre il F. propose di affidare ai religiosi delle congregazioni soppresse l'insegnamento pubblico, mostrando di non condividere la svalutazione corrente del potenziale culturale di molti di essi (erano religiosi quasi tutti coloro ai quali aveva affidato la traduzione o stesura di manuali). Fu però osteggiato dai radicali e da religiosi anticuriali come lo Zola.
L'esito delle tensioni fu, all'inizio del 1799, un grave peggioramento della salute del Fontana. Nella primavera la riconquista austrorussa della Lombardia lo colse a Milano; il giacobino napoletano F. Massa, che aveva conosciuto il F. a Pavia nel 1796, divenendone assiduo e seguendolo a Milano, scrisse al Mascheroni di averlo pregato di fuggire, ma che per "vecchiezza, abitudini, affetti, stoicismo" e sottovalutazione dei rischi era stato irremovibile. L'anziano professore subì i provvedimenti destinati agli esponenti repubblicani: l'8 luglio fu privato della cattedra; il 14 seguente fu arrestato (il Monti descrisse il suo trasferimento al luogo di detenzione nel canto I della Mascheroniana), ma, forse per riguardo all'età, non fu deportato a Cattaro, come la maggioranza degli arrestati, bensì detenuto nel convento annesso alla chiesa milanese del Giardino. La prigionia, aggiunta ad uno stato già debilitato, lo portò alla prostrazione, nonostante l'assistenza dei fratelli Felice e Francesco.
Nell'agosto inviò alle autorità di polizia un documento che controbatteva i capi di imputazione; oltre alle funzionl svolte nella Cisalpina, gli si contestava d'essere autore di un opuscolo antireligioso circolato a Pavia (Istoria dello stabilimento del cristianesimo di celebenimo autore inglese tradotta in italiano con note del traduttore, Pavia, anno V repubblicano). Il F. ammise di averne scritto la presentazione ma attribuì il testo ad un giovane napoletano (quasi certamente il Massa), argomentando con tratto professorale che le improprietà linguistiche e stilistiche lo palesavano come non suo. Il suo ricorso non ebbe esito, cosicché nel gennaio 1800 inviò al commissario generale di polizia ciò che sostanzialmente era una domanda di grazia. Rimase però detenuto fino al rientro dei Francesi a Milano, alla fine di maggio.
Nella ristabilita Cisalpina il F. fu di nuovo nei massimi organismi rappresentativi: il 9 giugno divenne membro della Municipalita; il 17 successivo uno dei cinquanta componenti della Consulta straordinaria legislativa. Con la riapertura dell'ateneo pavese (chiuso dagli Austriaci nel luglio 1799) gli fu restituita la cattedra. Ma la carcerazione lo aveva segnato e, senza lasciare gli incarichi politici, se ne estraniò progressivamente. Nel 1801 dettò una iscrizione celebrativa per la vittoria di Marengo, inaugurata a Milano l'11 marzo, ma rifiutò di recarsi a Lione per i comizi istitutivi della Repubblica Italiana. Tuttavia Napoleone volle che fosse incluso nel collegio elettorale dei dotti (26 genn. 1802), e conseguentemente nel Corpo legislativo della nuova Repubblica; il 14 febbraio, come decano di questo organo., presenziò alla prima seduta del governo, tenendovi un discorso, ed il 16 alla cerimonia formale del suo insediamento; il 24 giugno, ancora come decano, presiedette la prima seduta del Corpo legislativo; il 5 ottobre divenne uno dei primi trenta membri (scelti dal Bonaparte) dell'Istituto nazionale italiano. Ma presto il declino delle forze l'indusse a concentrarsi sui suoi ultimi lavori scientifici (completò gli articoli pubblicati nelle Memorie della Società italiana per il 1802 e in quelle dell'accademia torinese per il 1803, oltre a stendere le aggiunte al Saggio del Bossut). Il 13 maggio fu pensionato dall'università (Arch. di Stato di Milano, Arch. Presid. Melzi, cart. 28, fasc. Pensioni 1802; ma non teneva lezione dal 1799); nel novembre furono accettate le sue dimissioni dal Corpo legislativo.
Nei mesi seguenti il F. visse a Milano; stando alla testimonianza del Massa, che lo frequentò quasi quotidianamente e lasciò un resoconto dei suoi ultimi giorni, pubblicato dallo Zieger, il ricordo delle vicende trascorse seguitò a logorarlo, portandolo a forme di quasi delirio. Nell'agosto del 1803 la situazione peggiorò rapidamente (il F. avrebbe anche tentato il suicidio); fu però in grado di disporre della propria eredità e riuscì a ristabilire un rapporto con la Chiesa (Roma, Arch. gen. delle Scuole pie, Rel. prov. Romanae, n. 3; la notizia è confermata dall'atto di morte, pubblicato dall'Adami).
Il F. morì a Milano il 24 ag. 1803.
Opere: Elenchi degli scritti editi del F. sono in G.B. Savioli, Elogio di G. F. C.R. delle Scuole pie, Pavia 1804, pp. 49-62; C. Adami, Onoranze centenarie di Felice e G. F., scienziati pomarolesi del secolo XVIII. Contributo bio-bibliografico con lettere inedite versi ritratti ed autografi, Rovereto 1905, pp. XLI-XLVI. Per quelli matematici, vedi P. Riccardi, Biblioteca matematica italiana, Milano 1952, I, coll. 469-477; II, 1, coll. 29 s.; II, 2, col. 123; II, 5, col. 65. Ma il Riccardi omise i discorsi accademici, mentre Savioli e Adami tralasciarono alcuni scritti scientifici minori e altri letterari o connessi all'attività politica.
Fonti e Bibl.: Le carte del F., portate a Firenze dal fratello Felice, che le ebbe per testamento, sono ora nella Biblioteca nazionale, dove costituiscono il ms. Palatino 1197, diviso in 81 codici (descrizioni sommarie in L. Tenca, Sui manoscritti di G. F., in Rend. dell'Ist. lombardo, classe di scienze, XC [1956], pp. 547-558; e in I manoscritti Palatini, III, 5-6, a cura di A. Saitta Revignas, Roma 1963, pp. 420-484). Esse però non includono le lettere inviate al F. (eccettuate 23 lettere nel volume XXXVIII, circa trenta nell'LXXXI e poche in altri), che non sono mai state elencate nella loro interezza. Nella Bibl. apost. Vaticana, Fondo Patetta, mss. 1836-1837, sono 247 lettere di G.C. Amaduzzi al Fontana. Sopravvive, invece, un gran numero di lettere dei F. in larga parte inedite. L'Archivio di Stato di Milano (vedi, tra l'altro, Autografi, cart. 173, tutta sul F.) conserva alcune centinaia di lettere del F. a personalità di governo, come il Firmian o il Wilczeck, o ad uffici; Savignano sul Rubicone, Bibl. comunale, ms. 12 (278 lettere a G.C. Amaduzzi); Trento, Bibl. comunale, mss. 535, 567-568, 572-576, 714, 868, 878, 900, 908, 910, 953, 984 (il ms. 908 contiene lettere di Felice e del F. al fratello Giuseppe e alla sorella Teresa, gli altri molte decine al Firmian, C. Rosmini, C. Vannetti, G.B. Borsieri ed altri); Bologna, Bibl. univ., mss. 1277, 2055-2056 (circa 30 lettere a S. Canterzani); Rovereto, Bibl. dell'Accademia degli Agiati, 13 lettere a G.B. Graser; Ibid., Bibl. civica, mss. 87 (90 lettere a G. Tartarotti) 134, 157, 167-168 (lettere a G.V. e C. Vannetti, a C. Rosmini, C. Baroni Cavalcabò e altri); Bergamo, Bibl. civica (43 lettere a L. Mascheroni, e poche altre ad A. Barca e G. Mangili); Modena, Bibl. Estense, Autografoteca Campori (15 lettere a diversi); Ibid., ms. Ital. 843 (due lettere a G. Contarelli); Milano, Arch. dell'Osservatorio di Brera (105 lettere, quasi tutte a B. Oriani); Ibid., Bibl. Ambrosiana, cod. Y 150 sup., cc. 251r-267v (12 lettere dei F. al Frisi); nei manoscritti Beccaria della stessa biblioteca sono alcune del F. al Beccaria. L'Archivio di Stato di Milano conserva molti documenti relativi alla carriera accademica del F., ai rapporti con autorità di governo, alla stampa di suoi scritti ed alle sue vicende politiche: Fondo Marescalchi, busta 38, n. 53; Fondo Giustizia punitiva, p.a., cartelle 58-59; Studi, p.a., Componimenti scientifici, cartella 102, 16. La cartella personale del F. si trova in Studi, p.a., Università Pavia, cart. 454 (la progressione di carriera e in parte documentata nella cart. 450). Altri documenti sono nell'Arch. di Stato di Pavia e nei mss. 905, 2454, 3595 della Bibl. comunale di Trento. Vedi inoltre: A. Horanyi, Scriptores Piarum Scholarum liberaliumque artium magistri, I, Budae 1808, pp. 793-801; Giornale di fisica e di chimica, marzo-aprile 1816 (breve biografia del F.); A. Checcucci, Commentario della vita e delle opere di Pompilio Pozzetti delle Scuole pie..., Firenze 1858, pp. 211-218; Memorie e documenti per la storia dell'Università di Pavia e degli uomini più illustri che v'insegnarono, Pavia 1877-78, I, pp. 17, 441, 448 s., 461; III, pp. 100-126; C. de Festi, Della nobile famiglia del già Principato di Trento, de Fontana, e più specialmente di Felice, e Gregorio, in Giornale araldico-genealogico-diplomatico, XIV (1886-87), 2-3, pp. 31-34; A. Fiammazzo, Contributi alla biografia di L. Mascheroni, II, Bergamo 1904, passim; F. Salveraglio, G. F., come bibliotecario, in Archivio trentino, XX (1905), 2, pp. 138-146; Vorlesungen über Geschichte der Mathematik, IV, a cura di M. Cantor, Leipzig 1908, pp. 288-290, 699-701 e passim; C. Caroselli, Una controversia matematica tra G. F. e C. Baroni Cavalcabò, in LIV Annuario della I. R. Scuola reale superiore elisabettiana di Rovereto, Rovereto 1913; P. Ruffini, Opere matematiche, Palermo 1915 - Roma 1954, 1, p. 128; III, pp. 16 s.; R. Soriga, La reazione dei tredici mesi in Pavia e Le sue vittime politiche, in Bollettino della Soc. pavese di storia patria, XVI (1916), pp. 7-52 (specialm. pp. 24, 36, 47); Id., Le società segrete, l'emigrazione politica e primi moti per l'indipendenza, Modena 1942, pp. 34, 157, 238, 240 s.; E. Verga, Il padre F. e i manoscritti di Leonardo, in Raccolta vinciana, XI (1920-22), pp. 236 ss.; F. Filos, Memorie e confessioni di me stesso, Rovereto 1924, ad Indicem; L. Bonomi, Naturalisti, medici e tecnici trentini, Trento 1930, pp. 5760; G. Loria, Curve piane speciali algebriche e trascendenti. Teoria e storia, Milano 1930, I, p. 372; II, pp. 2325, 191; R. Marcolongo, G. F. (1735-1803), in Riv. di fisica, matematica e scienze naturali, s. 2, V (1931), 5, pp. 225-231; A. Zieger, Lesbia Cidonia nell'epistolario di G. F., in Boll. della Soc. pavese di storia patria, XXVI (1926), 1-4, pp. 65-1 Il; Id., G. F. Idee e vicende politiche. Miscell. pavese, Torino 1932, pp. 85-117; G. Gasperoni, Settecento italiano..., I, L'abate G.C. Amaduzzi, Padova 1941, ad Indicem; A. Volta, Epistolario, Bologna 1949-55, 1, pp. 262, 391; II, pp. 280, 396; III, pp. 326-328, 413, 454; S. Rotta, Documenti per la storia dell'illuminismo a Genova. Lettere di A. Lomellini a P. Frisi, in Miscell. di storia ligure, I (1958), pp. 223 ss.; O. Cambursano, Una bibliografia settecentesca italiana sul calcolo delle probabilità, in Riv. critica di storia della filosofia, XV (1960), pp. 83-90; G. Costa, Il rapporto Frisi-Boscovich alla luce di lettere inedite di Frisi, Boscovich, Mozzi, Lalande e Pietro Verri, in Riv. stor. italiana, LXXIX (1967), pp. 873 ss.; G. Arrighi, G. F. nella giovinezza di P. Franchini, in Studi trentini di scienze storiche, XI-VI (1967), 1, pp. 65-78; Id., Contributo alla storia della vita scientifica del Settecento. Due lettere inedite di G. F. a Iano Planco, ibid., XLIX (1970), 4, pp. 381-384; Il Collegio universitario Ghislieri di Pavia istituzione della riforma cattolica (1567-1860), II, Milano 1970, pp. 70 ss.; Il bicentenario della Biblioteca universitaria di Pavia, Pavia 1979, pp. 21-23, 52-54, 70-77 e passim; P.K. Knoefel, Felice Fontana. Life and works, Trento 1984, ad Indicem; F. Fontana, Carteggio con L.M. Caldani, a cura di R.G. Mazzolini - G. Ongaro, Trento 1980, ad Indicem; Catalogo della corrispondenza degli astronomi di Brera, Milano 1986-91, I, pp. 206-228, 306; II, pp. 607-610, 666 (102 lettere del F. a B. Oriani, 2 di questo a lui e 3 del F. ad altri); F. Cattelani Degani, Su alcuni carteggi matematici della Biblioteca Estense di Modena, in Pietro Riccardi (1828-1898) e la storiografia delle matematiche in Italia, Modena 1989, p. 71; A. Zambarbieri, Lumi, religione, rivoluzione. Appunti su G. R. (1735-1803), in Arch. stor. lombardo, CXX (1995), pp. 243-303.