MONTEGGIA, Giovanni Battista
MONTEGGIA, Giovanni Battista. – Nacque a Laveno, sul Lago Maggiore, l’8 agosto 1762, da Gian Antonio e da Marianna Vegezzi. Si hanno notizie di due fratelli, uno oblato parroco a Carbonate, l’altro medico.
Il padre si occupava di acque e strade; avviò il figlio, che aveva studiato a Pallanza, alla carriera di chirurgo, facendolo ammettere alla scuola di chirurgia dell’ospedale Maggiore di Milano, dove Monteggia visse a partire dal settembre 1779. L‘apprendistato si svolse sullo sfondo delle inquietudini ideologiche e politiche del suo tempo, tra l’età giuseppina e quella rivoluzionaria e napoleonica, che ebbero riflessi anche sulla vita medica e sanitaria, segnando la definitiva affermazione sociale e intellettuale dei chirurghi e dei medici ospedalieri. Furono anni di riorganizzazione e razionalizzazione dell’istituzione ospedaliera della «Ca’ Granda», come era chiamato l’ospedale Maggiore, una delle più antiche della penisola. Tra i maestri di Monteggia vi furono Guglielmo Patrini, Pietro Moscati, Giovan Battista Palletta. Il giovane si dedicò con particolare impegno allo studio dell’anatomia ma ebbe anche una preparazione botanica e chimico-farmaceutica, alla scuola di Antonio Porati. La farmacia era al centro dell’azione della direzione ospedaliera di Moscati, primario chirurgo e primo direttore medico dell’ospedale, allontanato nel 1788 dalla direzione, ufficialmente per irregolarità, in realtà per le sue simpatie per i Francesi.
L’11 giugno 1781 Monteggia si sottopose all’esame «di libera pratica di chirurgia» presso l’Università di Pavia, dove poi conseguì la laurea in medicina. L’iniziale formazione chirurgica determinò in lui una visione della medicina incentrata sulla clinica. La sua prima opera a stampa, in latino – una presa di posizione implicita di distacco dall’esercizio chirurgico ‘basso’ – fu pubblicata nel 1789, a Milano, presso la tipografia di Giuseppe Marelli, con il titolo Fasciculi Pathologici. Il volumetto è dedicato a Carlo Maria Taverna, preposto parroco di San Nazaro e membro della Giunta istituita nel 1784 da Giuseppe II per amministrare i luoghi pii.
Il testo è un tipico esempio della cultura medica anatomo-patologica, derivata dall’insegnamento di Giovanni Battista Morgagni, non a caso molto citato: all’osservazione clinica segue costantemente la dissezione e l’esame delle lesioni sul cadavere. Il libro si apre con una classificazione nosologica dei morbi in simmetrici e asimmetrici; nella seconda parte l’autore riprende un tema classico della ricerca anatomo- chirurgica italiana, le lesiones capitis, con osservazioni e studi sulla costituzione e la funzione del cervello. Ugualmente di tradizione la descrizione di diversi casi di ascesso. Monteggia accompagnò la pubblicazione con il dono al Gabinetto anatomico dell’Università di Pavia dei pezzi anatomici più interessanti, per i quali ebbe una lettera di ringraziamento, del 18 dicembre 1793, di Johann Peter Frank. Anche il Regio magistrato lo ringraziò con un dispaccio, a testimonianza di una rete di rapporti e riconoscimenti da parte della principale istituzione scientifica e medica lombarda.
Nel 1790 Monteggia divenne chirurgo aiutante e poi incisore anatomico all’ospedale Maggiore. Per l’interessamento di Taverna ottenne la costruzione di una sala settoria. Probabilmente non si trattò di una semplice iniziativa personale: nel 1791 il direttore medico Bartolomeo De Battisti ripristinò l’insegnamento dell’anatomia, nel quadro della ricostituzione delle scuole ospedaliere. Nello stesso anno, il 4 dicembre, con decreto del Tribunale d’appello, Monteggia fu nominato primo chirurgo delle Regie carceri. Il 20 gennaio 1792 la Congregazione dello spedale gli affidò l’incarico di dare lezioni gratuite di chirurgia ai giovani chirurghi ospedalieri. Nello stesso anno pubblicò presso la stamperia di Giuseppe Marelli la traduzione annotata del Compendio sopra le malattie veneree del tedesco Johann Friedrich Fritze (ed. orig. Berlino 1790), cui fece seguire le proprie Annotazioni pratiche sui mali venerei, pubblicate nel 1794 presso Giuseppe Galeazzi.
Dedicato a Moscati, il libro espone una casistica derivata dall’esperienza clinica diretta di Monteggia, a contatto con carcerati e prostitute, e denota la sua sensibilità verso temi di ‘polizia medica’. I pazienti di cui parla sono peraltro quasi tutti maschi. In quest’opera si dimostra anche un seguace convinto del sistema browniano, una debolezza che gli fu rimproverata e una posizione che avrebbe in seguito sfumata. Per la cura delle malattie veneree raccomandava qui l’uso della salsapariglia.
Nel 1794 sposò Giovanna Cremona, di Novara; la coppia ebbe cinque figli, di cui ne sopravvissero tre. L’avvento della Repubblica Cisalpina e della Repubblica e del Regno d’Italia segnò la fortuna di Monteggia, che raggiunse l’apice di una carriera breve ma fortunata, ricoprendo diverse cariche pubbliche, sia di istruzione (istituì Scuole speciali mediche presso diversi ospedali) sia di intervento pubblico e militare (fu chiamato nel 1808 a esaminare gli aspiranti chirurghi dell’armata). Il suo legame con l’élite dell’età francese è testimoniato anche dalla fortunata cura di un paziente illustre, Francesco Melzi d’Eril, che nel 1795 gli assegnò un vitalizio e con il quale restò in contatto per il resto della sua vita. Il 12 settembre 1795 ebbe la nomina di professore di Istituzioni di chirurgia all’ospedale Maggiore, ma l’insegnamento non fu attivato che qualche anno più tardi. Nel 1798 fu nominato medico- chirurgo della Guardia del corpo legislativo, e confermato lettore di chirurgia nell’ospedale Maggiore; nel 1799 chirurgo e chirurgo ostetrico nella Pia casa delle partorienti di S. Caterina alla Ruota; il 2 aprile 1799, per decreto del Consiglio di guerra, officiale di sanità per le prigioni del Consiglio permanente di guerra presso l’esercito francese in Italia. Fu inoltre delegato per l’inoculazione del vaiolo vaccino e membro della Commissione permanente di sanità. Nominato chirurgo primario nell’ospedale Maggiore, tornò al ‘suo’ ospedale, dove il 30 gennaio 1800 iniziò le lezioni della cattedra di chirurgia.
Nel 1796 Monteggia aveva pubblicato la traduzione dal tedesco dell’Arte ostetricia di Georg Wilhelm Stein, pur lasciandola senza commento a causa delle sue molte occupazioni. Aveva avviato anche una raccolta di casi ostetrici, ma il capolavoro della sua maturità è un testo di lezioni chirurgiche, redatto per accompagnare le lezioni all’ospedale, le Istituzioni chirurgiche. L’opera ebbe numerose ristampe a Milano, Napoli, Pavia; la prima edizione, in cinque volumi, fu pubblicata a Milano presso Pirotta e Maspero, tra il 1802 e il 1805; la seconda, in otto volumi, rivista dall’autore, presso Maspero e Boucher tra il 1813 e il 1816. Il lavoro fu lodato da molti recensori e in particolare da Antonio Scarpa, il quale si augurava che l’autore gli succedesse a Pavia sulla cattedra di clinica chirurgica (lettera del 24 febbraio 1805). Monteggia aveva anche progettato una traduzione in latino del testo, per potere essere letto da un pubblico internazionale.
Le Istituzioni, nate come testo a uso degli studenti, si propongono nella seconda edizione ambizioni più ampie. Oltre alle teorie di John Brown, Monteggia vi riprende, con molte riserve, la dottrina del ‘controstimolo’ di Giovanni Rasori, di cui tenta un’applicazione in campo chirurgico, anche se, come si legge nella Prefazione alla seconda edizione dell’opera, non se ne fa convincere pienamente. La sua principale fonte di ispirazione è l’opera del chirurgo scozzese John Hunter, ma conosce bene e utilizza la letteratura scientifica contemporanea, e in particolare le pubblicazioni periodiche. Si dimostra infatti un clinico attento alla pratica più che alla sistematizzazione, con una sensibilità specifica per la farmacologia. Oltre ai consueti argomenti chirurgici – suppurazioni, cancrene, reumatismi, tumori, ferite, fratture, mali degli occhi e della pelle – è tra i primi a descrivere accuratamente, dal punto di vista clinico, la poliomielite. Ma la sua attenzione, come quella del suo maestro e collega Palletta, è rivolta in particolare all’ortopedia: descrive per primo una specifica varietà della lussazione traumatica iliaca dell’anca e un tipo di frattura dell’avambraccio, in associazione con una dislocazione dell’articolazione radioulnare prossimale, che portano il suo nome. Monteggia morì prima di completare il suo lavoro, di cui aveva progettato un nono volume dedicato tra l’altro a elettricità, vaccinazione, e a una trattazione sistematica della farmacopea chirurgica.
Nel 1813 divenne socio del rinato Istituto di scienze, lettere ed arti di Milano. Apparteneva a diverse accademie italiane, corrispondeva con colleghi in Italia e fuori e aveva una buona conoscenza delle lingue e della letteratura periodica straniera. Fu egli stesso collaboratore del Giornale della più recente letteratura medica d’Europa e del Nuovo giornale di medicina e chirurgia di Milano. Raccolse, come Palletta, una ricca biblioteca.
Morì a Milano il 17 gennaio 1815.
Nell’atrio dell’ ospedale Maggiore gli fu eretto un monumento, oggi perduto, che ispirò tra l’altro un sonetto a Carlo Porta. Se ne salvò un busto di stile canoviano, dovuto allo scultore Camillo Pacetti. Tra i suoi biografi si segnala Enrico Acerbi, medico milanese amico di Alessandro Manzoni.
Fonti e Bibl.: E. Acerbi, Della vita e degli studii di G. B. Monteggia, Milano 1816; P. Sangiorgio, Cenni storici sulle due università di Pavia e di Milano e notizie intorno ai più celebri medici, Milano 1831, pp. 251, 385; E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri, V, Venezia 1837, p. 96; A. Scarpa, Epistolario (1772-1832), a cura di G. Sala, Pavia 1938, lettere nn. 252, 263, 270; L. Agrifoglio, La etiopatogenesi delle malattie celtiche in alcune note di G.B. Monteggia, in Castalia, XII (1954), 4, pp. 161-168; F. Fusi, Biografia di Giovanni Battista Monteggia, in Rivista di Ortopedia e traumatologia, XXIV (1956), 3, pp. 475-505; La Ca’ Granda: cinque secoli di storia e d’arte dell’Ospedale Maggiore di Milano (catal.), Milano 1981, ad ind.; G. Cosmacini, Biografia della Ca’ Granda. Uomini e idee dell’Ospedale Maggiore di Milano, Roma-Bari 2001, pp. 102- 104; G. Frank, Memorie, a cura di G. Galli, I, Milano 2006, pp. 185, 217, 271.
MARIA CONFORTI