Giovanni Battista Morgagni
Giovanni Battista Morgagni è certo l’erede più rappresentativo del lascito costituito dalla grande anatomofisiologia italiana seicentesca, che ha il suo apice nell’opera di Marcello Malpighi. Continuatore della «medicina razionale» malpighiana e suo strenuo difensore nel fuoco delle polemiche che si accesero negli anni di transizione tra Sei e Settecento, anche in ragione della ricezione del neoippocratismo di Thomas Sydenham (1624-1689), Morgagni imprime all’anatomia di matrice malpighiana una potente virata nella direzione dello studio dei fenomeni patologici. Conferendo pieno sviluppo a quanto già in nuce nella tradizione di cui si fa prosecutore, interpreta le rinnovate istanze del coevo pensiero medico che rivendica la centralità della pratica terapeutica. In tale quadro ampio e complesso, egli si colloca tra i fondatori della moderna anatomopatologia.
Morgagni nacque il 25 febbraio 1682 a Forlì, e qui compì i primi studi; nel 1698 si trasferì a Bologna per seguire i corsi di filosofia e medicina. Presso lo Studio felsineo si segnalò ben presto all’attenzione di Antonio Maria Valsalva (1666-1732), che lo scelse come assistente nelle dimostrazioni anatomiche, per farne poi l’allievo prediletto. L’influenza di Valsalva, che dalla cattedra bolognese rinvigoriva la memoria della lezione malpighiana, schiuse al giovane Morgagni un vasto orizzonte di ricerca.
Ad appena un anno dall’insediamento a Bologna, già era ascritto all’Accademia degli Inquieti, di cui doveva divenire principe nel 1704. Di tale accademia, nucleo germinale del futuro Istituto delle scienze eretto da Luigi Ferdinando Marsili, Morgagni potenziò l’abito sperimentale ed entro le sue adunanze venne comunicando i primi risultati della propria già raffinata attività scientifica. Nello stesso anno in cui ascendeva al principato dell’Accademia degli Inquieti, Morgagni impugnò la penna per controbattere alla polemica rinfocolata da Giovanni Girolamo Sbaraglia (1641-1710) contro la «medicina razionale» di tradizione malpighiana. Morgagni rispose a Sbaraglia con due epistole mandate a stampa sotto pseudonimo, ma senza troppo indugio a lui ricondotte; il risentimento dei tradizionalisti venne poi esacerbato dal supplire egli al maestro Valsalva nell’anatomia pubblica del 1706, presentandosi una repentina successione.
In questo clima rovente, Morgagni fece stampare a Bologna il primo volume dei suoi Adversaria anatomica, frutto del vasto e intenso lavoro anatomico e autoptico dispiegato sin dagli anni dell’apprendistato universitario. Al successo internazionale che gli sarebbe valsa l’opera non corrispose altrettanta valorizzazione nel perimetro bolognese, né da parte di Valsalva né da parte degli accademici Inquieti. Le polemiche, le incomprensioni indussero Morgagni a lasciare Bologna nel 1707, per partire alla volta di Venezia, fidando nella protezione di Domenico Guglielmini (1655-1710), già allievo di Malpighi, dal 1702 sulla cattedra di medicina teorica a Padova. A Venezia Morgagni restò due anni, spesso recandosi a Padova e così costituendo una rete di rapporti che gli avrebbe consentito la chiamata accademica desiderata. Ritornato nella natia Forlì nel 1709 e qui esercitando con diffuso favore la pratica medica, finalmente ne ripartì nel 1711 per andare a occupare la cattedra patavina di medicina teorica secondaria già di Antonio Vallisneri.
Morgagni inaugurò nel 1712 il lungo corso delle lezioni tenute per più di mezzo secolo nello Studio di Padova; lo stesso anno sposò la concittadina Paola Vergeri, che gli avrebbe dato quindici figli. Nel 1715 passò alla cattedra di anatomia resasi vacante; l’avrebbe mantenuta sino alla morte. Gli anni padovani, coronati dalla stampa del De sedibus et causis morborum (1761), l’opera che avrebbe fatto di Morgagni uno degli auctores di statura europea della medicina moderna, furono scanditi da celebrità e prestigio crescenti. Ascritto all’Accademia patavina dei Ricovrati nel medesimo 1712 in cui prese a leggere nello Studio, divenne poi membro di quelle dei Fisiocritici di Siena, dei Filomati di Cesena, degli Agiati di Rovereto, e fuori d’Italia della Academia naturae curiosorum, della Royal society, dell’Académie royale des sciences, dell’Accademia imperiale delle scienze di Pietroburgo, dell’Accademia delle scienze di Berlino. Altrettanta autorevolezza ottenne in ambito istituzionale: nel 1713 fu assunto nel Collegio medico patavino, nel 1718 in quello veneziano; nel 1717 era stato nominato protettore della potente Natio Germanica artistarum dell’ateneo padovano. Homme de lettres nel senso pieno, oltre che illustre uomo di scienza, Morgagni carteggiò fittamente con esponenti di primo piano della coeva république des lettres e costituì una ricchissima biblioteca, acquisita al fondo universitario per iniziativa dei Riformatori dello Studio a due anni dalla sua morte. Si spense a Padova il 5 dicembre 1771.
Nei volumi degli Adversaria anatomica, distribuiti in sei parti e apparsi a stampa tra il 1706 e il 1719, Morgagni raccoglie una vastissima casistica scrutinata sin dai primi anni universitari. La materia è organizzata secondo il genere della ‘storia anatomica’, ossia del referto derivante dall’esperienza della dissezione autoptica. Il metodo d’indagine di Morgagni si dispone nel solco dell’anatomia sottile originante da Malpighi. Egli sceglie tuttavia di non discostarsi dal piano dell’osservazione condotta sul reperto macroscopico, diffidando degli effetti deformanti potenzialmente insiti nell’adozione delle lenti microscopiche.
Alieno dall’indulgere ad astratte dichiarazioni metodologiche, Morgagni è tuttavia dotato di un solido apparato teorico mediante cui costruisce il modello interpretativo dove situare la messe dei dati osservati. La costellazione sperimentale delle ‘storie anatomiche’ configura una compagine di macchine minute partecipi della generale orditura della macchina organismica. Tra le maggiori scoperte affioranti dai volumi degli Adversaria morgagnani sono i follicoli tiroidei, le ghiandole della trachea, dell’uretra maschile, della vulva. Lungo questa linea Morgagni conferisce importante incremento all’eredità malpighiana depositata nel De structura glandularum conglobatarum consimiliumque partium (1689), in cui struttura e funzione delle micromacchine secernenti s’inscrivono in una complessiva visione iatromeccanica.
L’opera in cui culmina la lunga vicenda scientifica di Morgagni è il De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis, venuta in luce quand’egli è sulle soglie degli ottant’anni, nel 1761. È l’opera di una vita, che guarda lucidamente al passato, alimentandosi della grande tradizione bolognese facente capo a Malpighi, e al contempo si rivolge al futuro, foriera di valore fondativo.
È opinione diffusa che il cammino scientifico di Morgagni sia costellato di piccole acquisizioni più che di grandi scoperte. Si tratta di un giudizio che non si può lasciare senza commenti correttivi. In un certo senso è ben vero che Morgagni non ha fatto grandi scoperte […]. Ma Morgagni ha fatto qualcosa di più: l’anatomico forlivese ha realizzato una specie di rottura […] una coupure épistémologique. In un determinato campo della scienza, dopo di lui, non si pensa e non si scrive più come si pensava e si scriveva prima di lui (Grmek 1986, p. 173).
Si è detto di come il giovane Morgagni, venuto a studiare nello Studio felsineo dalla natia Forlì, si trovi lambito dal fuoco delle polemiche che fervevano nell’ambiente medico. Ad accenderle era certo l’antica e irriducibile rivalità che aveva opposto Sbaraglia a Malpighi, ma quelle polemiche non discendevano da mero rancoroso personalismo. Sbaraglia, sia pure piegandole a proprio uso, dava voce a istanze non fatue, rivendicava le ragioni dell’antica methodus medendi connaturate ai medici conservatori, che però nell’ultimo Seicento si caricavano di nuovo e non trascurabile significato. A Malpighi e alla sua scuola si rimproverava di sacrificare alla teoria iatromeccanica i dati costitutivi della salute e della malattia, entro un sistema di medicina separato dall’urgenza della prassi terapeutica. Sulla pervicace riluttanza nei confronti dell’anatomofisiologia malpighiana s’innestava la vigorosa critica empirista, animata da uno scetticismo diffidente dei sistemi, che ispirava una delle grandi opere della medicina seicentesca: le Observationes medicae circa morborum acutorum historiam et curationem (1676) di Sydenham, dove, su base rinnovata, si riconduceva il nucleo del sapere medico al principio ippocratico della cura della malattia.
I sentieri tracciati dalla prestigiosa anatomofisiologia di ascendenza malpighiana e dalle ricerche nella sfera della patologia ridestate dal neoippocratismo s’incontravano con valore periodizzante nel De sedibus et causis morborum. Centrale è la nozione di malattia, indagata mediante l’esame autoptico relativamente alla sede che rivela la lesione causa del processo patologico. Morgagni serba la lezione della iatromeccanica, concependo il corpo come macchina organismica il cui funzionamento è garantito da un complesso di strutture anatomiche responsabili delle funzioni fisiologiche. L’anatomopatologia morgagnana s’impernia sull’esplorazione sistematica del cadavere alla ricerca delle alterazioni anatomiche originanti i fenomeni patologici e, parallelamente, sullo studio della sintomatologia caratteristica della malattia. Le ripetute osservazioni ed esperienze, tali da configurare una casistica costante, consentono la connessione tra lesioni e sintomi.
Morgagni riannoda dunque anatomia e patologia nella prospettiva di fondazione di un nuovo metodo clinico: la malattia è intesa come una costellazione di sintomi peculiari generati dal danno organico regolarmente rinvenuto mediante l’ispezione autoptica. Morgagni tenta anche una sintesi della linea iatromeccanica e di quella iatrochimica venute in auge entro il pensiero medico del Seicento e ciclicamente costituitesi l’una all’altra alternativa o sinanche tra di loro in conflitto: d’un canto l’anatomia cosiddetta morta, l’anatomia morfologica fondamento della iatromeccanica; dall’altro l’anatomia cosiddetta viva, il cui nucleo risiede nella chimica dei fluidi corporei. Nel De sedibus et causis morborum Morgagni dedica ricorrente attenzione ai liquidi corporei rinvenuti negli esami autoptici, dal sangue a quelli che si presentano come acqua o siero giacenti nelle cavità anatomiche; di questi liquidi egli preleva campioni poi sottoposti all’analisi chimica, alla ricerca di possibili concatenazioni con le lesioni organiche e quindi con le sintomatologie morbose.
Questo il generale impianto teorico e metodologico del De sedibus et causis morborum, il cui testo si distende precipuamente sull’asse patogenetico. Non manca tuttavia la cura rivolta agli aspetti eziologici della malattia, sempre ricondotti da Morgagni a fattori ambientali esterni (abiotici) e interni (biotici); in tale ambito egli si vale delle solidissime conoscenze accumulate nelle ricerche su natura e storia del territorio emiliano-romagnolo e depositate nelle quattordici Epistolae aemilianae comprese negli Opuscula miscellanea (1763). Tali Epistolae sono schietti saggi di tema storico-geografico, storico-topografico, storico-antiquario, in cui, similmente al lungo corso di autopsie dei corpi, Morgagni compie una rigorosa autopsia del territorio, indagando fonti tanto cartacee quanto naturalistiche, mediante strumenti attinti dalla stratigrafia, dalla corografia, dall’epigrafia, dalla numismatica. La fine erudizione, il possesso largo e sicuro delle fonti classiche non sono per Morgagni corredo di cultura separato dalla sua attività scientifica.
Il genere dell’epistola redatta in elegante latino è costitutivo dei due poderosi tomi del De sedibus et causis morborum, che si svolge attraverso settanta lettere anatomico-mediche ordinate secondo la fenomenologia clinica pertinente alle diverse regioni anatomiche, dal capo alle regioni inferiori. La scelta del genere epistolare evoca una precisa metodologia, quella della rigorosa e ben delimitata comunicazione del referto affiorante dall’ispezione anatomica, che ha nel Malpighi delle due lettere De pulmonibus (1661), indirizzate a Giovanni Alfonso Borelli, il capostipite della linea da cui Morgagni discende. Con la vastissima esperienza di prima mano, con una profonda conoscenza della grande letteratura medica sei-settecentesca, con un vigoroso scrutinio delle fonti greco-latine ancora per gran parte costituenti il corpus della tradizione accademica, Morgagni rinvigorisce e rinnova in maniera periodizzante il modello del trattato di ‘patologia speciale’ fondato dal Sepulchretum, sive anatomia practica ex cadaveribus morbo denatis (1679) del ginevrino Théophile Bonet (1620-1679).
Morgagni, nel tempo dei giovanili studi bolognesi, si era formato nell’alveo di cultura fecondato dalla letteratura circolata mediante il «Giornale dei letterati» di Benedetto Bacchini (1651-1721), filologo e storico promotore di una riforma culturale imperniata sul restauro dell’alleanza di scienza ed erudizione. Bacchini aveva animato questo moto di idee coltivando l’amicizia di scienziati della statura di Bernardino Ramazzini (1633-1714), l’autore del De morbis artificum diatriba (1700), opera fondativa nel campo delle malattie professionali e nutrita di lunga esperienza dell’eziologia medica, un’esperienza attestata sin dalla De constitutione anni 1690 ac de rurali epidemia, quae Mutinensis agri et vicinarum regionum colonos graviter afflixit dissertatio (1690).
Il connubio di scienza ed erudizione doveva scandire l’intera parabola intellettuale di Morgagni. E tale impegno era inoltre condiviso con altri illustri coetanei votati a professare le scienze, come l’amico eminente matematico, cattedratico a Padova, Giovanni Poleni (1683-1761) e suo genero Giulio Pontedera (1688-1757), allievo diletto di Morgagni, professore a Padova anch’egli e qui prefetto del celebre Orto botanico. L’acribia di Poleni partoriva uno dei monumenti della filologia settecentesca dedita al restauro dei testi scientifici: le Exercitationes vitruvianae, stampate a Padova tra il 1739 e il 1741; per parte sua, Morgagni dispiegava una larghissima attività filologica, affidata a una gran mole di quaderni di appunti e note di lettura: da qui scaturivano le già citate Epistolae aemilianae, ma non solo. Veri capolavori di tecnica filologica applicata a testi di materia scientifica, di agricoltura e di medicina d’età classica, erano le quattro Epistolae in scriptores rei rusticae e le dieci Epistolae in Aulum Cornelium Celsum et Quintum Serenum Samonicum (Opera omnia in quinque tomos divisa, t. 5, parte 2, 1764, pp. 36-75; t. 5, parte 1, 1764, pp. 47-120), la prima serie composta tra il 1721 e il 1723, la seconda in tempi diversi, nel 1720-1721 e 1749-1750.
L’intersezione di scienza ed erudizione costituisce la base su cui Morgagni edifica il programma di rinnovamento degli studi medici che, professore a Padova per mezzo secolo, egli persegue unitamente alle proprie instancabili ricerche. La riforma della gloriosa anatomofisiologia di scuola malpighiana di cui è erede principe, da lui orientata verso la costruzione della moderna anatomopatologia, non è per Morgagni sola attività di uomo di scienza chiuso nel proprio laboratorio, ma è altresì impegno rivolto all’accrescimento di un sapere medico suscettibile di essere trasmesso negli spazi delle aule universitarie. Ne è documento luminoso la prolusione dell’anno accademico 1712, pronunziata dunque all’esordio del magistero patavino e data alle stampe nel medesimo anno con il titolo di Nova institutionum medicarum idea. Di tale prolusione dice lo stesso Morgagni:
Questa è un nuovo modello delle mediche instituzioni, lavorato ad imitazione delle instituzioni oratorie de’ migliori antichi e singolarmente di Quintiliano, ma insieme di nuove utilissime parti accresciuto e arricchito (Le autobiografie, in Opera postuma, 1° vol., 1964, p. 5).
La formazione del medico deve per Morgagni adempiere a un ideale di razionalismo capace di aderire alla realtà dei fenomeni e di mirare alla pubblica utilità; questo ideale scaturisce da una visione unitaria del sapere, in cui scienze e lettere sono poste sotto il segno del «buon gusto» propugnato da Ludovico Antonio Muratori nelle coeve Riflessioni sopra il buon gusto nelle scienze e nell’arti (1708):
Noi per buon gusto intendiamo il conoscere e il poter giudicare ciò che sia difettoso o imperfetto o mediocre nelle scienze e nell’arti per guardarsene; e ciò che sia il meglio e il perfetto per seguirlo a tutto potere (L.A. Muratori, Delle riflessioni sopra il buon gusto nelle scienze e nell’arti, ed. 1736, p. 125).
La scienza rinnovatrice di Morgagni non si restringe dunque al mero perimetro del progresso della medicina, ma, incitando «ad ammirare […] e seguire non l’antico, non il moderno, non il consueto, ma solo e sempre la verità» (G.B. Morgagni, Nova institutionum medicarum idea, a cura di L. Premuda, 1982, par. 6), partecipa appieno della temperie preilluminista di cui le citate Riflessioni di Muratori rappresentano un testo emblematico.
Adversaria anatomica prima, Bononiae 1706.
Nova institutionum medicarum idea, Patavii 1712.
Adversaria anatomica altera et tertia, Patavii 1717.
Adversaria anatomica quarta, quinta et sexta, Patavii 1719.
Epistolae anatomicae duae novas observationes et animadversiones complectentes, Lugduni Batavorum 1728.
Epistolae anatomicae duodeviginti ad scripta pertinentes celeberrimi viri Antonii Mariae Valsalvae, Venetiis 1740.
De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis, Venetiis 1761.
Opuscula miscellanea, Venetiis 1763.
Opera omnia in quinque tomos divisa, [Bassano] 1764.
Le epistole emiliane di Giambattista Morgagni volgarizzate per la prima volta, a cura di I. Bernardini, Forlì 1931.
Consulti medici, a cura di E. Benassi, Bologna 1935.
Le autobiografie, in Opera postuma, 1° vol., Roma 1964.
Lezioni di medicina teorica, in Opera postuma, 2°-9° vol., Roma 1965-1993.
Nova institutionum medicarum idea, a cura di L. Premuda, Padova 1982.
L. Belloni, De la théorie atomistico-mécaniste à l’anatomie subtile (de Borelli à Malpighi) et de l’anatomie subtile à l’anatomie pathologique (de Malpighi à Morgagni), «Clio medica», 1971, 6, pp. 99-107.
D. Nardo, Scienza e filologia nel primo Settecento padovano. Gli studi classici di G.B. Morgagni, G. Poleni, G. Pontedera, L. Targa, «Quaderni per la storia dell’Università di Padova», 1981, 14, pp. 1-40, poi in Id., Minerva Veneta. Studi classici nelle Venezie fra Seicento e Ottocento, Venezia 1997, pp. 31-75.
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