NEGRONE, Giovanni Battista
NEGRONE, Giovanni Battista. – Nacque a Genova il 22 aprile 1714, primogenito di Ambrogio di Giovan Battista.
Discendeva da una famiglia della cosiddetta nobiltà vecchia, titolare di uno dei 24 Alberghi riconosciuti dalla riforma del 1528 e di marchesati, specie nel basso Monferrato, distintasi nel corso del XVI secolo tra quelle dei grandi assentisti di Carlo V – insieme coi Centurione, i De Mari, i Grimaldi, i Sauli – ma poi orientatasi, nel secolo successivo, verso simpatie filofrancesi e/o ‘ repubblichiste’.
Luigi Maria Levati (1914) lo confonde con l’omonimo figlio di Giovanni Ambrogio di Marco Antonio, nato il 6 giugno 1695. Errata, di conseguenza, anche l’indicazione della data di iscrizione al libro d’oro della nobiltà: quella di Negrone avvenne il 3 marzo 1723, contemporaneamente a quella del fratello Ignazio Costantino, minore di lui di un anno (e non l’8 dicembre 1717, quando l’omonimo fu ascritto coi fratelli Giovanni Antonio Maria e Francesco Saverio). L’equivoco potrebbe coinvolgere altri momenti della vita e della carriera politica di Negrone, nel senso che alcune iniziative e/o cariche a lui attribuite anche da autorevoli studiosi successivi a Levati, ugualmente ingannati dal pressoché identico patronimico, potrebbero invece riguardare l’omonimo.
Appaiono certe in Negrone – anche grazie ai riferimenti presenti negli scritti collegati alla sua elezione dogale – la vasta preparazione culturale e la sensibilità illuminata e riformatrice. Grazie al censo e al personale ingegno, compì un ragguardevole cursus studiorum, anche in collegi di Roma e di Milano. La sostanziosa formazione culturale – che informata a moderno enciclopedismo comprendeva greco, latino, lingue moderne (anche con attività di traduzione di testi francesi e inglesi), arte, drammaturgia, filosofia, discipline scientifiche – e la ricca biblioteca che aveva allestito gli consentirono continuati rapporti con le accademie di Milano, Bologna, Firenze, Roma; ma soprattutto, fin dagli anni della giovinezza, con l’ambiente universitario pisano. Qui, nel 1748, il docente filosofo Giovanni Gualberto De Soria accolse un gruppetto di nobili genovesi, tra cui Negrone e Giacomo Filippo Durazzo, per studiare un piano di revisione costituzionale e di rinnovamento delle strutture della Repubblica di Genova.
A Genova, dopo la rivolta popolare e la cacciata degli austriaci del 1746, una rapida restaurazione aveva fatto accantonare ogni progetto di allargamento del regime aristocratico; anzi, nel novembre 1746, si era addirittura proceduto all’arresto di un membro anziano del Maggior Consiglio, Anton Maria Calissano, reo di essersi fatto relatore al doge dello scontento di quella parte di nobiltà che proponeva la correzione della legge del 1576 e un piano immediato di riforma. Di fronte alle chiusure del governo genovese, i giovani nobili che si ritrovarono a Pisa cercarono soluzioni di mediazione tra ordinamenti vecchi e nuove istanze: alla classe dirigente – al cui allargamento sembrano poco interessati – richiedevano però, accanto ai tradizionali requisiti di censo e nascita, quello della cultura, sottolineando una dignità fondata su meriti intellettuali, conoscenze, competenze, apertura al dibattito delle idee a livello europeo, in un confronto privilegiato col pensiero di Montesquieu. Il dibattito su questi temi sarebbe confluito nelle inedite Notti alfee di De Soria, alle quali sembra che proprio Negrone, grazie a legami parentali con l’alto clero, sia riuscito a evitare la condanna ecclesiastica. Resta da dimostrare, tuttavia, fino a che punto egli abbia condiviso i vari aspetti della proposta razionalista di De Soria, in cui confluivano newtonianesimo, femminismo, deismo.
Negrone protrasse fino al 1754 la stagione pisana – pur con intervalli a Genova e nel Monferrato – e anche in seguito mantenne relazioni culturali con altri docenti pisani (Salvatori, Albizio, Guadagni) così come con quegli esponenti della nobiltà genovese (De Mari, Durazzo, Pallavicini e su tutti Agostino Lomellini) con cui condivideva letture illuministe e un patriottismo cautamente riformatore. Tutti furono a più riprese suoi ospiti a Genova: tra loro, negli anni successivi al 1757, vi fu anche Paolo Frisi. Nel 1766 fu Giuseppe Baretti, che, giunto nell’aprile a Genova per imbarcarsi per Londra dopo il fallimento della Frusta Letteraria, ricevette da Negrone, da Paolo Celesia e da altri gentiluomini l’offerta di continuare proprio a Genova la pubblicazione della rivista. A Negrone, giudicato «uno dei cinque genovesi dotti capaci di illuminare i viaggiatori-ricercatori inglesi» (Baretti, 1936, II, p. 64), Baretti dedicò una lunga epistola in versi e della molto apprezzata ospitalità si giovò ancora, ripassando da Genova nel settembre 1770.
A fronte delle intense frequentazioni culturali, il cursus honorum di Negrone risulta piuttosto esiguo: nel 1754 fu deputato del magistrato delle Nuove Fortificazioni e commissario per la tassazione degli oneri di guerra: ma si ignora se abbia cercato di introdurre quell’imposta diretta che era tra le proposte del piano di riforma delle Notti alfee di De Soria. Nel 1756 fu tra i sette componenti il magistrato di Terraferma (cui competeva la giurisdizione per i residenti fuori della città) e l’anno seguente di nuovo alle Fortificazioni. Negli anni seguenti fu preside nella giunta di Giurisdizione e nel magistrato di Corsica – carica quest’ultima assai delicata in quel momento, e in cui dovette portare l’esperienza derivantegli, da una parte, dalla presenza mantenuta nell’isola dal Medioevo dalle famiglie Negrone pressoché da feudatari, specie nella zona di Capocorso, e, dall’altra, dalle argomentazioni esemplari sopra la Corsica, poste al centro dei dibattiti pisani con De Soria e Lomellini (che, illuminista convinto, tra il 1760 e il 1762, da doge, avrebbe cercato invano di avviare la pacificazione dell’isola attraverso la concessione di nuovi diritti).
A testimoniare una aspirazione riformista ormai più diffusa tra il patriziato genovese di quanto comunemente si pensi, anche Negrone, dopo essere stato estratto due volte tra i senatori, nel 1769 fu eletto doge, con 268 voti su 355.
Per l’incoronazione, avvenuta l’11 giugno 1769, non sono rimasti i discorsi ufficiali delle autorità laiche e religiosi, ma un gran numero di componimenti poetici, in lingua e in dialetto, volti a esaltare la popolarità e la equanimità del nuovo doge (elenco in Levati, 1914, p. 412 s.). Oltre ad anonime canzoni, un «Ro Chittarin zeneizeinra Coronacion dro Serenissimo Giambattista Negron», in cui Stefano De Franchi, poi membro di spicco della Colonia Ligustica di Arcadia, descriveva un’intera città in festa per l’impegno del doge a difendere la ripresa dell’attività mercantile da contrapporre alla politica della rendita parassitaria dei capitali finanziari. Analoghe allusioni al riformismo illuminato del doge Negrone nel Tributum poeticum del sacerdote Giuseppe Casella e nel sonetto di Paolo Gerolamo Pallavicini (futuro fondatore, nel 1783, dell’Accademia Ligustica di belle lettere), in cui riecheggiano le argomentazioni dei Verri e dei Beccaria sul rapporto povertà-delinquenza. E grande consenso incontrò il decreto emanato il 23 agosto 1770, di cui gli si attribuiva il merito, di abolizione delle prigioni claustrali, cui si accompagnò, per espressa volontà del doge, la demolizione materiale delle stesse. Ma la abrogazione della tortura, già approvata a pieni voti dai Collegi e caldeggiata dal doge, trovò la opposizione dei Supremi Sindicatori.
Il 26 gennaio 1771 fu colto da malore: volle gli fosse somministrato il viatico dall’arcivescovo di Genova Giovanni Lercari, il che avvenne tra uno spettacolare dispiegamento di clero e popolo comune, e collette spontanee tra i fedeli del quartiere di Palazzo. Assistito da vari sacerdoti e dal suo confessore personale, nonché teologo ufficiale della Repubblica, il padre somasco De Liguori, morì la sera del 26 gennaio 1771.
Lasciava la moglie, Anna Maria Durazzo figlia di Giuseppe, sposata il 14 gennaio 1739, e un’unica figlia, Maria, sposata De Mari. Per disposizione testamentaria di Negrone, Maria, alla morte della madre (avvenuta il 21 febbraio 1789) divenne erede universale con l’ingiunzione di numerosi cospicui legati a varie opere pie cittadine e agli ospedali di Pammatone e degli Incurabili.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Ms. 495, c.163; Archivio segreto, Ricordi del Minor Consiglio, anno 1769 (13 febbr.); Genova, Bibl. Civica Berio, L. Della Cella, Famiglie di Genova, m.r.x2, 1681, II, c.1117; G. Banchero, Genova e le due Riviere, Genova 1846, p. 348; A.M. Stokvis, Manuel d’histoire, Leiden 1893, III, p. 756; M.L. Levati, I Dogi di Genova (1746-1771), Genova 1914, pp. 68-72, 368, 412 s.; G. Baretti, Epistolario, a cura di L. Piccioni, II, Bari 1936, pp. 64, 371-373; S. Rotta, Documenti per la storia dell’illuminismo a Genova: lettere di Agostino Lomellini a Paolo Frisi, in Miscellanea di storia ligure, I, Genova 1958, pp. 204, 227-231; Id., Idee di riforma nella Genova settecentesca e la diffusione del pensiero di Montesquieu, in Il Movimento operaio e socialista in Liguria, VII (1961), pp. 209 e n.; G. Guelfi Camajani, Il Liber Nobilitatis Genuensis, Firenze 1965, p. 361; F. Venturi, Settecento riformatore, Torino 1969, pp. 212 s., 254 s.; C. Costantini, La Repubblica di Genova nell’età moderna, Torino 1978, p. 446; D. Puncuh, L’Archivio dei Durazzo, in Archivio della Società ligure di storia patria, n.s. XXI (1981), p. 632; U. Baldini, De Soria, Giovanni Gualberto, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXXIX, Roma 1991, p. 413; A. Beniscelli, Il Settecento letterario, in La letteratura ligure, La repubblica aristocratica (1528-1797), Genova 1992, pp. 266, 272, 317, 352.