NICOLINI, Giovanni Battista
– Nacque a Collamato di Fabriano (Ancona) il 23 ottobre 1805 da Antonio e da Maria Brambilla, figlia di un funzionario cisalpino giunto nell’Anconitano al seguito delle truppe francesi.
Antonio (1775-1862), che apparteneva a una famiglia del piccolo notabilato possidente, aderì alla Repubblica Romana del 1798 e fu delegato sottoprefettizio nel dipartimento del Metauro dopo l’annessione delle Marche al Regno d’Italia nel 1808. Grazie alla lunga tradizione di fedeltà della sua famiglia allo Stato pontificio, i trascorsi rivoluzionari e napoleonici non gli impedirono di ottenere nel 1816 l’incarico di segretario comunale a Serra de’ Conti, dove si trasferì con la moglie, le due figlie – Dorotea (n. 1809) e Margherita (n. 1812) – e il primogenito Giovanni Battista, che compì i suoi studi superiori a Senigallia, conseguendo una solida formazione classica e giuridica.
Influenzato dalle idee liberali del padre, che nel 1820 fu accusato di non avere riguardo «alla religiosità delle cose pubbliche» (Villani, 2012, p. 26), Giovanni Battista aderì alla carboneria e partecipò alla rivoluzione del febbraio 1831 ad Ancona su posizioni radicali vicine a quelle di Giuseppe Sarcognani e dei volontari che avevano liberato la città in sinergia con una sollevazione interna. L’autentico debutto sulla scena politica avvenne, tuttavia, l’anno seguente, quando a seguito dell’occupazione francese del 23 febbraio 1832, Ancona divenne per alcuni mesi, grazie all’iniziale compiacenza del comando transalpino, una sorta di 'oasi del liberalismo' in cui convergevano i compromessi politici di tutto lo Stato pontificio nella speranza di farne il fulcro di una ripresa della rivoluzione sostenuta dalle armi francesi. Nicolini fu tra le centinaia di giovani arruolati da Nicola Ricciotti nella Colonna mobile che doveva costituire il primo nucleo di un esercito rivoluzionario, ma si distinse principalmente come estensore di manifesti, indirizzi e opuscoli patriottici, rivelando doti di comunicatore e libellista che avrebbero da allora in avanti caratterizzato la sua militanza politica e contribuito ad assicurargli delle entrate economiche. Il 3 giugno 1832 un’assemblea di migliaia di cittadini approvò una petizione che chiedeva al delegato pontificio e al generale francese Amédée Louis de Cubières la concessione di una costituzione e di leggi adeguate ai tempi. Nicolini fu incaricato di redigere una pubblica protesta contro la scomunica comminata da papa Gregorio XVI a coloro che avevano partecipato all’assemblea e firmato la petizione. Ma – come ebbe a denunciare anche il generale de La Fayette in un discorso sull’occupazione di Ancona pronunciato alla Camera dei deputati il 6 dicembre 1832 – fu arrestato in tipografia mentre correggeva le bozze del suo testo e costretto prima ad abbandonare la città, poi a emigrare all’estero.
Insieme ai compagni più radicali, si diresse inizialmente a Marsiglia e in seguito a Parigi, dove si integrò rapidamente nel mondo degli esuli italiani, come dimostrò nella vivace ed estemporanea allocuzione pronunciata nel febbraio 1834 al cimitero di Montmartre in occasione dei funerali dell’esule-filosofo veneziano Carlo Antonio Pezzi. L’arrivo di Nicolini nella capitale francese nella seconda metà del 1832 coincise con la breve fase di collaborazione fra la società dei Veri Italiani di Filippo Buonarotti e la Giovine Italia di Giuseppe Mazzini. Questa circostanza, concomitante con il progressivo radicalizzarsi del repubblicanesimo francese in direzione neogiacobina e neobabuvista a seguito della fallita insurrezione del giugno 1832, segnò profondamentamente e in modo duraturo l’orizzonte ideale del suo impegno politico che, già orientato in senso repubblicano, si votava alla rivoluzione sia nazionale sia politico-sociale nel quadro di un originale e – per certi tratti – autonomo 'mazzinianesimo di sinistra'.
Dopo l’iniziale vicinanza al buonarrottismo e la partecipazione al dibattito sul progetto di costituzione inoltrato fra 1832 e 1833 dalla Giunta centrale alle famiglie dei Veri Italiani, Nicolini intensificò la sua collaborazione con la Giovine Italia, per la quale compì a partire dal 1841 una serie di delicate missioni come agente di collegamento fra Londra e Parigi su incarico diretto di Mazzini e della Congrega centrale guidata oltralpe da Giuseppe Lamberti. Contemporaneamente, militò nella più radicale Société démocratique française di Londra, fondata nel 1835 da esuli-veterani della Société des droits de l’homme, prendendo regolarmente la parola durante le riunioni di commemorazione della presa della Bastiglia, dal 1839 organizzate annualmente nella capitale britannica da quest’associazione egualitaria di impronta blanquista.
Dalla seconda metà degli anni Trenta, Nicolini aveva, infatti, cominciato a frequentare con assiduità Londra, dove nel 1838 partecipò alla selezione – vinta da Carlo Pepoli – per succedere ad Antonio Panizzi sulla cattedra di italiano allo University College. In quegli anni, come attestano i documenti di ingresso ai porti di Londra e di Dover, in cui è registrato ora come professor ora come merchant, alternava l’insegnamento della lingua e della letteratura italiana a una molteplicità di attività commerciali, che gli propiziarono l’incontro con la moglie Sarah Mary Ann Thomas, figlia di un negoziante di seta, e successivamente, nell’agosto 1846, la naturalizzazione a suddito britannico. Nel febbraio dello stesso anno, a Londra, era nata la loro primogenita Giulia Kate, che nell’autunno fu condotta dalla coppia a Osimo allorché Nicolini decise di usufruire dell’amnistia concessa dal nuovo papa Pio IX per porre fine al suo esilio.
Stabilitosi in seguito a Roma, si riconsacrò a tempo pieno all’attività politica militante e fra l’estate e l’autunno del 1847 fu tra i promotori del Circolo popolare che si affiancava al più moderato Circolo romano. Segnalatosi alla polizia per la sua propaganda, sia pubblica sia clandestina, di segno repubblicano e anticlericale, nel febbraio 1848 fu imprigionato e costretto a trasferirsi a Bologna, dopo una breve sosta a Serra de’ Conti, dove a metà marzo partecipò ai festeggiamenti per la concessione della costituzione nonostante il suo giudizio critico per il profilo moderato del testo. Da lì, messa al sicuro la famiglia presso l’amico d’infanzia Gioacchino Rinaldoni, proprietario di un caffè patriottico a Senigallia, iniziò un classico itinerario da 'radicale errante' attraverso i momenti democratici del ciclo rivoluzionario del 1848-49 che lo condusse prima a Venezia, poi a Firenze e infine a Roma dopo la proclamazione della Repubblica.
A inizio aprile 1848, attraversò il Po insieme ai volontari romani comandati dal generale Andrea Ferrari e si mise al servizio dell’appena proclamato governo repubblicano di Venezia. Qui si segnalò da subito in piazza S. Marco con discorsi, circolanti anche in foglio volante, come portavoce in presa diretta dei primi fatti d’arme della guerra d’indipendenza in Veneto. Le sua abilità comunicativa fu apprezzata da Daniele Manin che lo inviò quale commissario straordinario nelle campagne trevisane e nel Friuli occidentale per animare lo spirito pubblico delle popolazioni e promuoverne la sollevazione in massa. Partecipò alla battaglia di Cornuda del 9 maggio e fu costretto a riparare a Treviso, dove collaborò con il comitato militare, guidato da Giuseppe La Masa e Antonio Mordini, che cercava di fornire una direzione unitaria ai volontari accorsi in Veneto da tutta la penisola. In particolare, insieme a padre Alessandro Gavazzi, mise la sua oratoria al servizio della causa antifusionista contribuendo al sostanziale fallimento dei ‘liberi voti’ popolari di annessione al Regno di Sardegna in provincia di Treviso. Dopo la sconfitta di Vicenza e la progressiva riconquista della Terraferma da parte degli austriaci, con un’iniziativa personale che a Venezia sconcertò i suoi interlocutori e fornì argomenti ai suoi detrattori (fra i quali Niccolò Tommaseo), partì per Parigi con l’intento di arruolare volontari fra gli esuli grazie all’aiuto del dimissionario ambasciatore del governo lombardo Lodovico Frappolli. Il viaggio si rivelò, tuttavia, inconcludente e si risolse in colloqui con alcuni membri o sostenitori del governo del generale Louis Eugène Cavaignac di sua antica conoscenza (come Jules Bastide e Ferdinand Flocon), da cui ricavò la convinzione circa il sostegno diplomatico e la possibilità di un intervento militare francese a favore di una repubblica lombardo-veneta. Ritornato nella penisola, dopo la dedizione a Carlo Alberto votata dall’Assemblea dei rappresentati veneziana, entrò con il grado di capitano nello stato maggiore generale del contingente ex pontificio di Giovanni Durando. Nella seconda metà di luglio svolse delle missioni a Roma per conto di Filippo Canuti, commissario generale dell’esercito papale, e a Firenze su incarico di Domenico Belluzzi, comandante delle truppe pontificie di Bologna. Non essendogli concesso, malgrado l’appoggio dell’ex ministro-artiere Angelo Toffoli, di riprendere il suo posto al servizio di Manin ritornato nel frattempo al potere, si fermò a Firenze, da dove il 15 agosto indirizzava al presidente veneziano una lettera accorata per difendere il suo onore di patriota e repubblicano onesto dalle accuse di essere «un intrigante, un uomo senza principii» (Maioli, 1951-52, p. 53) che lo avrebbero accompagnato per tutta la sua avventura quarantottesca (e poi incontrato larga fortuna sia nella memorialistica moderata sia in parte di quella democratica e nella storiografia).
Nella capitale granducale, ritrovò una conoscenza dell’esilio parigino: Adrien Théodore Benoît-Champy, ambasciatore francese di sentimenti democratici legato (oltre che imparentato) a Félicité Lammenais, che gli offrì l’opportunità di insegnare lingua e letteratura italiana a suo figlio. Grazie alla ritrovata stabilità economica, poté ricongiungersi alla famiglia che lo raggiunse a Firenze dopo un lungo periodo di distacco, durante il quale la moglie Sarah Mary aveva perso ogni contatto con lui e si era appellata alle autorità veneziane per avere rassicurazioni circa la sua incolumità. Iniziò, inoltre, un’intensa attività politico-pubblicistica collaborando sia con giornali democratici come L’Alba, sia con periodici improntati a un socialismo fraternitario di ispirazione evangelica come Il Popolano e Il Povero di Bologna.
Benoît-Champy lo presentò altresì molto favorevolmente a Giuseppe Montanelli, del quale condivise il progetto della Costituente italiana in vista della ripresa della guerra nazional-patriottica lanciato sulla piazza Grande di Livorno l’8 ottobre 1848 e poi diventato programma del 'ministero democratico' toscano. Nicolini contribuì attivamente alla rapida trasformazione dell’ideale della Costitutente nazionale in una 'parola magica' dal forte impatto politico-mediatico. Si impegnò, infatti, in giri propagandistici che avevano per teatro piazze, caffè, circoli non solo del Granducato, ma, dopo la fuga di Pio IX, anche degli Stati Romani.
Quale canovaccio delle sue performances oratorie, a fine novembre scrisse il Dialogo sulla Costituente fra un medico e un artigiano. Redatto, secondo i canoni della coeva letteratura di istruzione politica, in forma di catechismo a domanda e risposta fra un protagonista che sa e un altro che non sa, il breve testo ebbe un notevole successo. Fu pubblicato sia in foglio volante sia in opuscolo da Rocchetti a Firenze, sia a puntate come romanzo di appendice prima sul Povero nel dicembre 1848, poi – con il titolo leggermente cambiato (La Costituente spiegata al popolo. Dialogo fra un medico e un artigiano) – sul Calambrone di Livorno nel gennaio 1849. Il catechismo era firmato «G. B. Niccolini di Roma». In quel periodo, infatti, Nicolini accolse la variante del suo cognome con doppia c, che faceva seguire dal toponimo «di Roma» (o «romano»), interpretando in forma antiquaria la sua provenienza geografica e il suo profilo di ex suddito pontificio allo scopo insieme di distiguersi dall’omonimo poeta-patriota fiorentino e di ancorare con stile neogiacobino il suo repubblicanesimo alla tradizione di Roma antica.
A inizio novembre 1848, si segnalò pubblicamente nelle grandi accoglienze riservate a Giuseppe Garibaldi di passaggio a Firenze. Alla riapertura del Circolo popolare divenne un attore incontrastato di quell’arena politica e uno dei principali leader del radicalismo cittadino, che promuoveva la continua mobilitazione di piazza della piccola borghesia e del popolo minuto per spingere su posizioni repubblicane la politica di Montanelli, la cui linea di delegare il destino del Granducato alla Costituente italiana eletta a suffragio universale (maschile) era contrastata dal ministro dell’Interno Francesco Domenico Guerrazzi, difensore del principato patriottico e popolare. In questo quadro contrastato si collocarono la sua rinnovata collaborazione con i 'mazziniani puri' raccoltisi intorno al periodico La Costituente italiana e, nel gennaio 1849, la sua ascesa ai vertici del Circolo popolare insieme a Mordini, al quale era legato fin dall’esperienza trevisana della primavera del 1848.
Nominanto vicepresidente del circolo fiorentino, interpretò in modo dinamico e spettacolare la sua carica: il 21 gennaio 1849 alla fine di una dimostrazione in onore della Costituente romana si sostituì in duomo all’arcivescovo nell’intonare un Te Deum di ringraziamento e inscenò una cerimonia sostitutiva di quella religiosa negata dalle autorità ecclesiastiche, mentre il giorno seguente organizzò una manifestazione con decine di migliaia di partecipanti per sollecitare le Camere all’approvazione della legge che doveva stabilire l’invio di 37 rappresentanti toscani alla Costituente italiana di Roma.
Il punto apicale della street politics promossa da Nicolini fu la giornata rivoluzionaria dell’8 febbraio 1849. La mattina una grande assemblea sotto la loggia della Signoria, di cui fu uno dei più applauditi oratori insieme a Gustavo Modena, sancì la decadenza del granduca fuggito a Gaeta, auspicando l’unione immediata della Toscana alla Repubblica Romana. Alla fine dell’adunanza, Nicolini diresse l’irruzione di una folla di popolani all’interno di palazzo Vecchio per imporre al Consiglio generale la costituzione di un triumvirato nelle persone di Montanelli, Guerrazzi e Giuseppe Mazzoni e lo scioglimento di tutti gli altri poteri. Assunta la presidenza del Circolo popolare dopo l’ingresso di Mordini nel governo provvisorio come ministro degli Affari esteri, Nicolini dichiarò la patria in pericolo e promosse l’armamento dei circoli allo scopo di fronteggiare la reazione granducale, assecondando il revival rituale di berretti frigi e alberi della libertà che attraversò la capitale e le province dopo l’instaurazione del triumvirato rivoluzionario.
A metà febbraio il passaggio di Mazzini a Firenze contribuì ad acuire le divisioni interne all’universo democratico fra i fautori dell’immediata unione repubblicana con Roma (per cui militavano, insieme ai 'mazziniani puri', i radicali di Nicolini), gli attendisti seguaci di Montanelli e i contrari capeggiati da Guerrazzi, che riuscì, tuttavia, a mantenere temporaneamente il fronte unito sfruttando il pericolo incombente della controrivoluzione legittimista. Nella seconda metà di febbraio Nicolini fu, infatti, impegnato a Lucca in una spedizione militare di contrasto dei legittimisti granducali alla testa dei volontari dei circoli. Ma, rientrato a Firenze, si fece promotore insieme a Enrico Montazio di una manifestazione di tutti i circoli toscani per proclamare la repubblica e l’unione a Roma. Di fronte alla minaccia del governo provvisorio di applicare la legge stataria e all’accusa di fomentare la guerra civile, il Circolo popolare della capitale rinunciò per 'carità di patria' alla dimostrazione prevista per il 1° marzo, avviando la definitiva disgregazione dello schieramento democratico e la completa sconfitta dei radicali, i cui capi furono oggetto di una campagna di denigrazione – preludio alla loro incarcerazione o al loro bando – che investì duramente anche Nicolini. In vista delle elezioni per l’Assemblea costituente toscana, il suo nome fu incluso fra i candidati ufficiali del Circolo popolare soltanto a seguito dell’intervento tumultuoso di un gruppo di popolani a lui favorevoli, che, nella riunione plenaria del 14 marzo 1849, si scontrarono anche fisicamente con i sostenitori di Guerrazzi per difenderlo da accuse infamanti come l’appropriazione di denaro pubblico e il tradimento con il nemico austriaco. Ciononostante, Nicolini fu eletto deputato nel compartimento di Lucca grazie anche alla massiccia diffusione in foglio volante di una profession de foi di forte impatto comunicativo, che, secondo l’uso appreso durante l’esilio franco-inglese, sintetizzava in forma romanzata la sua biografia di 'repubblicano unitario' e le frequentazioni con celebrità politiche esemplari (Buonarroti, Lafayette, Ricciotti). Il 27 marzo 1849, la sua nomina – insieme a quella del professore neorobespierrista Michele Guitera de’ Bozzi, fratello di Carlo già capo dei Veri Italiani di Livorno – fu però invalidata in sede di verifica dei poteri per espressa volontà di Guerrazzi, che, investito della dittatura nella notte seguente, decretò immediatamente l'espulsione di Nicolini dallo Stato toscano. Dopo la pubblicazione di una protesta – genere da lui prediletto fin dal periodo anconitano – indirizzata al presidente dell’Assemblea costituente in cui si contestava il diritto della maggioranza parlamentare di sovvertire il pronunciamento della sovranità popolare, Nicolini abbondonò Firenze e si trasferì a Roma.
Qui mantenne un profilo più defilato e grazie al suo antico rapporto con Mazzini pose le sue qualità di scrittore – qualifica riconosciutagli anche nelle carte della polizia pontificia – a disposizione del triumvirato chiamato a reggere la Repubblica dopo la sconfitta di Carlo Alberto a Novara. Fu altresì subito (e trionfalmente) riaccolto nel Circolo popolare: la sera del 1° aprile 1849 l’assemblea generale lo nominava vicepresidente del Comitato di pubblica sorveglianza, organo intermedio di collegamento fra Stato e società incaricato di ispirare e controllare i provvedimenti del governo di fronte alla guerra incombente. Dopo lo sbarco del contingente francese a Civitavecchia, fu membro in posizione apicale anche del più ampio Comitato centrale dei circoli di pubblica sorveglianza e si impegnò attivamente, come già a Firenze, nell’organizzazione della difesa e dell’armamento popolare. Prese parte ai combattimenti e il 3 giugno 1849 ebbe una mano traforata da un colpo di carabina. Caduta la Repubblica, si rifugiò ad Albano, da dove si recava periodicamente a Roma per riprendere in forma semiclandestina, insieme a Mattia Montecchi, l’attività di agitazione patriottica dietro la copertura del suo nuovo impiego di precettore dei figli dell’aristocratico Augustus Henry Moreton, ex deputato whig di Gloucestershire. Il suo arresto – avvenuto il 10 settembre 1849 – e la successiva partenza per l’esilio furono oggetto dell’attenzione sia della stampa francese sia di quella inglese a dimostrazione della notorietà da lui acquisita nel fuoco della rivoluzione quarantottesca.
Al seguito dei Moreton, si recò prima a Genova e poi a Nizza, dove all’inizio del 1850 nacque il suo secondo figlio Antonio Ernest Charles. Nell’autunno dello stesso anno era a Londra e da qui si trasferì a Edinburgo, dove risiedette con la famiglia fino all’estate del 1854. Nella prima parte del secondo esilio, si consacrò – anche per ragioni economiche – a un’intensa produzione storica e politica, prevalentemente in lingua inglese, che riprendeva, riadattandoli all’orizzonte di attesa di un’audience protestante, temi e toni anticlericali e antipapali della sua collaborazione a Il Popolano di Firenze.
In un breve testo pubblicato a Londra nel 1850, allusivo nel titolo – To-day, Fifth of November. The detail and evidence of a new conspiracy of the Pope, Dr. Wiseman, and other Romish priests, against the faith and liberties of England with interesting revelations – al Gunpowder plot del 1605, prendeva di mira la recente restaurazione della gerarchia cattolica in Inghilterra e, in particolare, la figura del cardinale Nicholas Patrick Stephen Wiseman, arcivescovo di Westminster. Nel 1853 dava alle stampe per l’editore di Edimburgo James Nichol History of the Jesuits. Their origin, progress, doctrines, and designs, che divenne rapidamente un autentico best seller anticattolico e conobbe 26 edizioni fino al 1908, fra le quali nel 1854 una illustrata nella prestigiosa collana «Illustrated library» di Henry G. Bohn. Per i tipi di Nichol, nel 1852 era uscita, dopo una prima pubblicazione pilota del 1851, un’avvincente storia del lungo Quarantotto italiano (The history of the pontificate of Pius the Ninth: including the narrative of the political movements in Italy during the last five years, Edinburgh 1852), presentata come instant book sul pontificato di Pio IX, in cui l’autore precisava fin dalla copertina il suo profilo di narratore-protagonista delle vicende: «G. B. Nicolini of Rome, Deputy of the Tuscan Constitutent Assembly and Officer of the General Staff of the Roman Army». Si proponeva di esporre al pubblico anglosassone un punto di vista repubblicano sulla rivoluzione italiana, respingendo la definizione di red republicans per i suoi attori più radicali proposta da autori di diverso e opposto orientamento politico (Charles-Victor Prévôst d’Arlincourt, Alexander Baillie-Cochrane, Helen Macfarlane) a favore di quella neogiacobina di Roman republicans (p. IX).
Convertitosi al protestantesimo, fu socio corrispondente della Bible Society di Londra e divenne membro attivo della Evangelical alliance for Christian union. Instaurò una proficua collaborazione con Gavazzi: nell’estate 1851 lo seguì nel suo tour scozzese di predicazione e, accanto a Giuseppe Maria Campanella, fu il suo primo biografo in lingua inglese (The life of father Alessandro Gavazzi, chief chaplain to the Roman army of independence. With three of his orations delivered in three of the principal towns of Scotland, Edinburgh 1851), un’agiografia autorizzata che faceva del protagonista un eroe senza macchia e senza paura. Dopo la prima edizione del 1851, il breve testo fu più volte corretto, aggiornato e riprodotto come introduzione a numerose raccolte di discorsi dell’ex barnabita pubblicate sia in Gran Bretagna sia negli Stati Uniti.
In quegli anni di grafomania, lavorò anche a progetti mai realizzati: un volume di risposta ai duri attacchi contro di lui contenuti nell’Apologia di Guerrazzi del 1851 per il quale, nonostante vari tentativi, non trovò un editore italiano; la cura delle memorie – poi pubblicate da Alexandre Dumas – di Giuseppe Garibaldi, che al rientro in Europa dagli Stati Uniti gli aveva affidato il suo manoscritto, ma nel marzo 1854 glielo aveva chiesto indietro non più convinto dell’operazione, e anche nell’ottobre 1859 resistette alle nuove insistenze di Nicolini che gli ricordava, invano, i precedenti accordi.
Malgrado i successi editoriali e la relativa tranquillità economica raggiunta in Scozia, nel corso del 1854 Nicolini decise di ritornare nella penisola e si stabilì con la famiglia a Genova, dove al lavoro letterario di corrispondente del Daily News e del Patriot di Londra affiancò l’attività commerciale di agente per la vendita dei carboni dei marchesi di Londonderry. Sospettato di essere un agente di Mazzini per i precedenti politici e le relazioni intrecciate con esponenti dell’universo radicale rifugiatisi colà come il calabrese Casimiro De Lieto, fu espulso dal Regno di Sardegna nonostante il suo status di cittadino naturalizzato britannico. La vicenda provocò un brusco ridimensionamento delle sue entrate, costringendolo a ricorrere all’aiuto dell’ambasciatore inglese a Torino sir James Hudson per sostenere le spese del viaggio di ritorno. Rientrato a Londra nel novembre 1854 dopo una tappa a Ginevra, chiese al governo piemontese un risarcimento per i danni subiti dalle sue attività economiche, ma ricevette risposta negativa da Cavour in persona.
Dopo la nascita della terzogenita, battezzata nostalgicamente Florence Eleanor, Nicolini si trasferì a Leeds nello Yorkshire. Qui per sostentare la famiglia, accresciutasi con l’arrivo nel 1856 di un’altra figlia (Margaret Edith), svolse il lavoro di insegnante itinerante di italiano, francese e latino sia privatamente sia nelle principali scuole della contea. Reinvestì altresì le sue capacità oratorie in un’intensa attività di conferenziere, tenendo cicli di lectures dedicate ora alla letteratura italiana presso la Leeds mechanics’ institution and literary society, ora all’antichità della nazione italiana e alle sue prospettive presenti e future per un pubblico più ampio e curioso di seguire il Risorgimento in presa diretta. Al contempo, partecipava al dibattito pubblico in corso fra gli esuli con interventi sul Leeds Mercury e sul Caledonian Mercury and Daily Express di Edimburgo.
Nell’estate 1856, prese posizione sul duello politico-mediatico in atto sui periodici europei fra Manin e Mazzini e sul murattismo, sostenendo che nulla – e tanto meno la libertà – i patrioti avrebbero dovuto aspettarsi da Napoleone III e dai Napoleonidi. Nel gennaio 1858, da 'repubblicano storico' condannò fermamente l’attentato di Felice Orsini e, riprendendo considerazioni già manifestate nel 1849 nei riguardi della setta estremista della 'compagnia infernale' di Senigallia, si epresse contro l’assassinio come metodo di lotta politica e invitò i suoi compatrioti a disconoscere gli attentatori quali membri della nazione. Nel novembre 1859 rassicurava lord Ellenborough – autore di una lettera pubblica a lord Brougham per invitarlo a sottoscrivere una somma di denaro per l’acquisto e l’invio di armi a Garibaldi – circa la volontà degli italiani di battersi per conquistare l’indipendenza e l’unità.
Trasferitosi a partire dall’autunnno 1859 prima a Mitcham, poi a Battersea nel Surrey, nel febbraio 1860 coronò la privilegiata occupazione di conferenziere con l’invito a tenere dieci lectures sull’Inferno di Dante alla Marylebone Institution di Londra. Nell’aprile 1861, all’indomani della proclamazione del Regno d’Italia, Mazzini si adoperò per agevolare il suo rientro in patria raccomandandolo, tramite Montecchi, al banchiere repubblicano Adriano Lemmi perché gli trovasse un impiego nelle sue imprese. Nicolini e la sua famiglia inglese ritornarono così in Italia, stabilendosi inizialmente a Firenze, dove, nel corso del 1862, riallacciò i rapporti con vecchi compagni quarantotteschi come Mordini, allora deputato garibaldino, al quale non mancò di richiedere autografi del condottiero delle camicie rosse per destinarli al mercato anglosassone delle celebrità politiche.
Fra 1863 e 1864, si trasferì definitivamente a Torino per cogliere l’opportunità di impiego come agente presso l’immobiliare inglese Italian building society, dalla quale – dopo un periodo di prova – ottenne la nomina definitiva nel 1865. Raggiunta una certa agiatezza economica, potè dedicarsi al futuro dei figli oltre che al consolidamento della sua immagine di gentleman e di intellettuale attraverso l’attivismo nella sociabilità cittadina.
Dopo che la sua sistemazione aveva costituito a lungo una delle principali preoccupazioni del padre, nel maggio 1869, la primogenita Giulia Kate sposò il reverendo anglicano Claudius Buchanan Brigstocke (1832-1899), affermato autore di sermoni, con il quale visse a Homburg in Assia, sede dal 1868 di una chiesa inglese edificata per gli ospiti delle terme. Dal matrimonio nacquero due figli, rientrati nel Surrey con il padre dopo la morte di Giulia Kate (1896): Arthur Montagu, ufficiale dell’Indian Army inglese, e Catherine Agnes, una pianista e insegnante di musica che nel 1924 si unì a Shangai in seconde nozze a Eric Anthony Schwabe, istruttore leggendario – con il nome di Bill Sykes, personaggio dell’Oliver Twist di Charles Dickens – delle forze speciali inglesi durante la seconda guerra mondiale. Antonio Ernest Charles intraprese, invece, la carriera diplomatica e morì console generale britannico a Rio de Janeiro nel 1900. Il suo esecutore testamentario fu il marito della sorella Margaret Edith: il pastore valdese Antonio Bartolomeo Tron (1846-1929) di Vallecrosia (Ventimiglia). I nomi dei loro due figli – Ernesto e Italia – testimoniavano da parte di Margaret Edith, morta novantenne nel 1946, sia l’attaccamento alle memorie familiari sia una dichiarata opzione identitaria differente rispetto a quella del fratello prediletto e della sorella maggiore.
Dal 1868 libero docente di letteratura italiana presso l’Università di Torino, nel 1873 Nicolini divenne consigliere della Società contro l’abuso delle armi, mentre la moglie Sarah Mary si segnalava come promotrice della Società per l’abolizione della tratta dei bianchi. Al contempo, egli riprese a occuparsi attivamente di politica con l’ambizione di entrare alla Camera. Nell’autunno 1864 partecipò all’ampio e vivace dibattito politico e pubblicistico suscitato dalla Convenzione di settembre, dando alle stampe con lo pseudonimo di Giovanni Romano un opuscolo – Firenze poi Roma! – in cui appoggiava il trasferimento della capitale a Firenze come tappa intermedia verso Roma, in dichiarata polemica con la fortunata – e più volte riedita – operetta Roma o Torino di Franco Fiorentino.
Nell’ottobre 1865 si candidò per la prima volta alle elezioni nel collegio di Fabriano su posizioni democratico-radicali con il sostegno del vecchio amico e patriota Rinaldoni, sindaco progressista di Serra de’ Conti, nel frattempo diventanto un ricco possidente impegnato in molteplici attività commerciali e industriali. Grazie a una campagna elettorale molto dinamica conclusa con un moderno tour oratorio che toccò i principali comuni della circoscrizione veicolando l’immagine del gentiluomo stimato e conosciuto sia in Italia sia in Europa, Nicolini prevalse al primo turno, ma fu sconfitto di misura al ballottaggio a seguito della ricomposizione del campo moderato inizialmente diviso. Non si diede per vinto e si ripresentò sia nel marzo 1867, senza tuttavia accedere al secondo turno, sia nel novembre 1870, quando arrivò nuovamente in testa al ballottaggio per esservi battuto nettamente dal principe Emanuele Ruspoli in un contesto di forte mobilitazione (pari al 57%) dei votanti. Nella successiva consultazione suppletiva del marzo 1874, rinunciò, invece, alla candidatura quando si capacitò di andare incontro a un altro sicuro insuccesso, ma dopo avere scritto una lettera agli elettori che si sarebbe trasformata a posteriori in un testamento politico contenente l’orgogliosa rivendicazione del suo passato rivoluzionario e della sua fede repubblicana.
Dopo la delusione per le ripetute mancate nomine a deputato, un’ultima – più dura – prova attendeva l’ormai quasi settantenne Nicolini. Nell’estate 1874 fu accusato di malversazioni e allontanato dalla Italian building society; per evitare l’onta del carcere fuggì con la famiglia nell’isola greca (ex protettorato britannico) di Corfù e fu costretto a vendere i mobili e l’argenteria di casa per affrontare il nuovo e improvviso dispatrio. Finalmente, nel maggio 1876, anche grazie al patrocinio di un principe progressista del foro torinese come Tommaso Villa, fu assolto in corte d’assise dall’imputazione di appropriazione indebita e poté fare definitivamente ritorno nella penisola.
Si stabilì prima a Roma, e poi a Sanremo, dove morì il 6 novembre 1877.
La dizione di «professore inglese» contenuta nel suo atto di morte evidenziava un’opzione identitaria in controtendenza con il nazional-patriottismo di cui era stato esponente durante larga parte della sua vita, ma coerente rispetto al profilo transnazionale della sua famiglia anglo-italiana e protestante.
Scritti e opere: oltre a quelle citate: Toscani!, Firenze 1849; La vita di un prete cattolico apostolico romano, Edinburgh 1852; The lectures complete of father Gavazzi, as delivered in New York. Reported by an eminent stenographer and revised and corrected by Gavazzi himself. Including translations of his Italian addresses with which the greater part of the lectures were prefaced. To which is prefixed, under his authority and revision, the life of Gavazzi, continued to the time of his visit to America, New York 1854; Italy. To the editors of the Leeds Mercury, in Leeds Mercury, 19 agosto 1856; The Neapolitan question. To the editors of the Leeds Mercury, ibid., 6 settembre 1856; To the editors of the Leeds Mercury, ibid., 19 gennaio 1858; The Italian question, in Caledonian Mercury and Daily Express, 17 novembre 1859; Firenze poi Roma! Risposta di Giovanni Romano a Franco Fiorentino, Torino 1864.
Fonti e Bibl.: Fabriano, Ufficio dello stato civile, Atti di morte, 1877, n. 2 p. II; Torino, Arch. di stato civile, Atti di matrimonio, 1869, n. 483; Ancestry.com. database on-line: England, Alien arrivals, 1810-1811, 1826-1869, Class HO 2, piece 74, certificate n. 6028; piece 25, certificate n. 2459; piece 110, certificate n. 35; West Yorkshire, England, Births and baptisms, 1813-1910, West Yorkshire Archive Service, Wakefield: Yorkshire parish records, new reference n. RDP62/1; London, England, Births and Baptisms, 1813-1906, London Metropolitan Archives, Bryanston Square St Mary: Register of Baptism, p89/mry2, Item 045; 1861 England Census, Class RG 9, piece 371, folio 34, p. 23, GSU roll 542625; Class RG 9, piece 460, folio 11, p. 22, GSU roll 542642; Torre Pellice, Arch. storico della Tavola Valdese s. IX, f. 872. Lettere di e a G.B. N. sono conservate in: Roma, Ist. per la Storia del Risorgimento; Forlì, Bibl. comunale Aurelio Saffi, Raccolta Piancastelli; Venezia, Bibl. del Museo Correr, Fondo Manin; Bologna, Museo civico del Risorgimento; Firenze, Bibl. e Arch. del Risorgimento; Barga, Arch. Mordini (per cui si rimanda a M.P. Baroncelli, Inventario Archivio Storico Risorgimentale Antonio Mordini, Barga 2009, pp. 14, 65, 390). Il carteggio con Rinaldoni e altri documenti riguardanti Nicolini sono nell’Archivio Marzocchi - Rinaldoni presso la Bibl. comunale di Serra de’ Conti (Ancona). Inoltre: Discours du général La Fayette sur un amendement de M. Bignon à la Chambre des Députés. Séance du 3 décembre 1832, Paris s. d.; Direzione generale di Polizia, Elenco generale degli esiliati, emigrati, e contumaci dallo Stato pontificio per titolo politico, Roma 1838, p. 50; Commemoration of that glorious lesson to tyrants, the destruction of the French Bastille by the brave Parisians, July the 14th, 1789, in Northern Star, 18 luglio 1846; Nouvelles de l’étranger. Italie, in La Presse, 22 settembre 1849; The Papal States, in Hampshire Telegraph, 29 settembre 1849; France, in London Daily News, 1° ottobre 1849; Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi scritta da lui medesimo, Firenze 1851, pp. 11-14, 52, 164, 169, 174, 195, 203-208, 226, 241, 243, 246, 266, 270, 273 s., 295, 315, 322, 407, 437, 442 s., 556; Discorsi di F.-D. Guerrazzi davanti alla Corte regia di Firenze, ed esame dei componenti la commissione governativa, Firenze 1853, pp. 38 s., 43 s., 47 s., 54, 62 s., 70, 74 s., 77, 79 s., 110, 130, 132 s., 170, 204, 209, 212, 214, 219, 223, 226, 272 s, 287; Cronaca cittadina. Notizie universitarie, in Gazzetta Piemontese, 18 gennaio 1868; Cronaca Cittadina. L’educazione popolare, ibid., 28 maggio 1873; Corte d’Assise di Torino, ibid., 24 febbraio 1876; Corte d’Assise di Torino, ibid., 14 maggio 1876; Ernest Charles Antonio Nicolini deceased, in The London Gazette, 28 giugno 1901; Le Assemblee del Risorgimento, Toscana, III, Roma 1911, p. 491; A. D’Ancona, Ricordi storici del Risorgimento italiano, Firenze 1913-14, pp. 268-270; Edizione nazionale degli scritti di Giuseppe Mazzini, XXIV, p. 376; XXVI, pp. 83, 96; XXVII, pp. 75, 131; XXX, p. 218; XXXVII, pp. 342, 349, 359; LX, p. 250; LXI, pp. 234, 286; LXIII, p. 172; LXXI, p. 81; Protocollo della Giovine Italia (Congrega centrale di Francia), Imola 1916-22, II, pp. 107, 111, 129, 141; III, pp. 5, 37, 52, 56, 111, 117, 144, 171, 185, 346; IV, pp. 162; VI, pp. 79, 81; F. Falaschi, L’occupazione francese di Ancona nel 1832, in Rass. stor. del Risorgimento, XV (1928), suppl. al f. 4, pp. 119-142; L.E. Pennacchini, Dopo la caduta della Repubblica Romana, in Rass. stor. del Risorgimento, XXII (1935), 2, p. 162; Il Quarantotto in Toscana. Diario inedito del conte Luigi Passerini de’ Rilli, a cura di F. Martini, Firenze 1948, ad ind.; La Repubblica veneta nel 1848-49, I, a cura di R. Cessi - G. Gambarin, Padova 1949, p. 390; A. Saitta, Filippo Buonarroti. Contributi alla storia della sua vita e del suo pensiero, I, Roma 1950, pp. 241 s.; C. Rotondi, Bibliografia dei periodici toscani (1847-1852), Firenze 1952, p. 35; G. Maioli, L’arruffapopolo G. N. "romano" a Firenze (1848-1849), in Bull. Senese di storia patria, LVIII-LIX (1951-52), pp. 40-60; Le relazioni diplomatiche tra la Gran Bretagna ed il Regno di Sardegna dal 1852 al 1856, II, a cura di F. Curato, Torino 1956, pp. 111 s., 119, 120-122, 125, 130, 135-137, 141; Le relazioni diplomatiche fra la Francia e il Granducato di Toscana 1848-1860, I, a cura di A. Saitta, Roma 1959, pp. 174, 176, 181, 189, 194; C. Ronchi, I democratici fiorentini nella rivoluzione del ’48-’49, Firenze 1962, pp. 160, 174 s., 176, 178, 182, 189, 198 s., 201, 206 s., 208, 211, 221, 223 s.; R. Sylvain, Clerc, Garibaldinien Prédicant des Deux Mondes. Alessandro Gavazzi (1809-1889), Québec 1962, I, p. 66, 158, 268; II, p. 298, 453, 526; M. Campbell Walker Wicks, The Italian exiles in London 1816-1848, Manchester, 1937, II ed. New York 1968, p. 177; N. Tommaseo, Del presente e dell’avvenire, a cura di O. Moroni, II, Firenze 1981, p. 192; C. Cavour, Epistolario, XI, a cura di C. Pischedda - M.L. Sarcinelli, Firenze 1986, p. 459; M.G. Melchionni, Uno statuto per l’Italia nella strategia rivoluzionaria degli esuli (1831-1833), Pisa 1991, p. 149; G. Luseroni, Su Filippo Buonarroti, il buonarrotismo e i suoi echi in Toscana, in Le radici del socialismo italiano, a cura di L. Romaniello, Milano 1997, pp. 74-79; M. Severini, Diario di un repubblicano. Filippo Luigi Polidori e l’assedio francese alla Repubblica Romana del 1849, Ancona 2002, pp. 92, 185; Id., Protagonisti e controfigure. I deputati delle Marche in età liberale (1861-1919), Ancona 2002, pp. 167 s.; I. Prothero, Chartists and political refugees, in Exiles from European revolutions. Refugees in mid-Victorian England, a cura di S. 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N., Sassoferrato 2012, ad ind.; G. Ballesio, Antonio Bartolomeo Tron, in Diz. biografico on-line dei protestanti in Italia, a cura della Società di studi valdesi (http://www.studivaldesi.org/dizionario/evan_det.php?evan_id=254).