OBICINI, Giovanni Battista
OBICINI, Giovanni Battista (in religione Tommaso). – Nacque il 9 novembre 1585 nella contrada di Riparia San Giuliano a Nonio, piccolo paese della diocesi di Novara, da Antonio e tale Caterina.
Fu battezzato col nome di Giovanni Battista (Nonio, Registro dei battesimi della chiesa di S. Biagio dal 1582 al 1618), che cambiò in Tommaso nel 1608 quando vestì l’abito francescano. Il 9 giugno 1612 il capitolo generale dei francescani, indetto a Roma, gli conferì la carica di vicario della Custodia di Terrasanta.
La presenza dell’ordine in Medio Oriente era diventata stabile e organizzata dal 1333, quando il sultano mamelucco d’Egitto al-Nāsir Muhammad aveva accordato ai francescani una presenza nella chiesa del S. Sepolcro, due cappelle sul monte degli Olivi e una parte della chiesa della Natività a Betlemme, privilegio confermato il 21 novembre 1342 da Clemente VI, nella bolla Gratias agimus. Anche se non si trattava di un possesso e di un controllo completi (vi erano anche giorgiani, copti e melchiti), la presenza dei francescani a Gerusalemme e Betlemme si era consolidata nei secoli successivi, sino almeno al 1517, quando dopo la conquista dei territori mamelucchi da parte del sultano ottomano Selim I la Palestina era passata sotto il controllo di Istanbul e la chiesa greca aveva cominciato ad affermare i propri diritti sui luoghi santi, in antagonismo con i francescani.
Stando alle lettere del 1616 (10 marzo a Pietro Strozzi, 7 maggio al papa; Sbardella, 1960, pp. 378 s.) e alle cronache francescane (Verniero, 1936, pp. 72-86) che forniscono notizie sul suo decennale soggiorno in Oriente, Obicini, che in seguito sarebbe stato conosciuto come fra Tommaso da Novara, partì da Venezia il 20 settembre 1612 assieme a un gruppo di confratelli e giunse a Gerusalemme alla fine di novembre. Tenne la carica di vicario sino all’aprile 1613, quando per ragioni non note la lasciò e si trasferì ad Aleppo (divenuta capitale di provincia nel 1534) in qualità di guardiano e commissario del custode. Lì fu investito del ruolo di legato papale per partecipare al sinodo indetto dalla Chiesa caldea per un tentativo di unione con la Chiesa di Roma.
Il termine caldei era stato introdotto ufficialmente per distinguere i neoconvertiti dalla Chiesa d’origine nestoriana durante il concilio di Roma (1445), allorché Eugenio IV promulgò la bolla Benedictus sit Deus di unione con i nestoriani e i maroniti di Cipro. Sino alla metà del secolo XVII i caldei avevano un solo patriarcato ma nel 1552 una parte di essi aveva eletto un patriarca antagonista, Mar Yohanan Sulaqua, il quale nel 1553 aveva sottoposto a Giulio III una professione di fede cattolica, riconosciuta come ortodossa: ordinato così vescovo, aveva preso il nome di Shimon VIII e fissato la sua residenza a Diyarbakir. Da quel momento, la Chiesa assira aveva avuto due capi antagonisti, un patriarca ereditario ad Alqosh (odierno Iraq settentrionale) e uno nominato dal papa a Diyarbakir (attuale Turchia orientale). Nel frattempo anche i patriarchi nestoriani di Mosul (cioè della linea originaria della chiesa assira), dopo un progressivo allentamento dei rapporti con Roma, durante la seconda metà del secolo XVI non erano rimasti insensibili a un possibile riavvicinamento alla Chiesa d’Occidente.
Nel 1610 il patriarca Elia VIII aveva inviato a Roma una lettera lamentandosi di essere considerato eretico dai francescani di Terrasanta, primo atto di una trattativa a cui non fu estraneo Obicini e che portò Elia a convocare un sinodo. Al consesso, che si aprì il 26 marzo 1616, fra Tommaso partecipò assieme a otto metropoliti ma, se pure il suo operato servì ad avvicinare i caldei a Roma, non si arrivò a ratificare un’effettiva unione.
Nello stesso 1616 Obicini tornò a Gerusalemme per incontrare il nuovo padre custode, Basilio Basili di Caprarola. Successivamente, a seguito di un invito del console veneto, si recò in Egitto a predicare ai mercanti cristiani del Cairo per la Quaresima del 1618. Probabilmente in occasione di quel viaggio poté vedere e trascrivere le iscrizioni del Wadi Mukattab, nel massiccio del Sinai, che per primo avrebbe reso note in Occidente.
Morto di peste Basili nel 1619, il 14 marzo 1620 Obicini fu nominato custode di Terrasanta.
Nel viaggio di trasferimento da Aleppo a Gerusalemme si fermò a Nazaret e rimase tristemente colpito dalle condizioni di abbandono e degrado in cui versava il santuario dell’Annunciazione. Volendo recuperarla al culto cristiano, alcuni mesi dopo si recò a Beirut per chiederne il possesso all’emiro Fakhr al-Dīn II.
Nel periodo in cui fu custode di Terrasanta fece edificare anche un ospizio e una chiesa ad Acri, poi un convento a Sidone; recuperò altresì il santuario di S. Giovanni Battista ad Ain Karem, precedentemente sotto l’autorità del qadi di Gerusalemme.
Riconfermato custode il 29 maggio 1621 dal Capitolo generale dei francescani riunito a Segovia, Obicini si recò a Roma per trattare i problemi economici della Custodia e chiedere aiuto del papa per la difesa dei santuari cristiani. Tuttavia nell’aprile 1622, forse spinto dalla crescente difficoltà di rapporti tra autorità ottomane e i frati e o da una reale stanchezza dopo dieci anni di attività nel Levante, rinunciò alla sua carica e si ritirò nel convento romano di S. Pietro in Montorio. La tutela dei Luoghi santi rimase però uno dei temi a lui più presenti.
Indirizzò a papa Urbano VIII un memoriale sull’argomento e nel 1623 pubblicò cinque opuscoli contenenti riti e testi di esercizi religiosi praticati dai francescani (compreso l’Ordo creandi equites S. Sepulchri, cioè il testo latino dell’investitura da parte del custode di Terrasanta dei cavalieri del S. Sepolcro) e le relazioni riguardanti il recupero dei santuari di Nazaret e di S. Giovanni Battista.
Su suo suggerimento, la congregazione di Propaganda Fide aprì in S. Pietro in Montorio un collegio per lo studio delle lingue orientali, nel quale Obicini iniziò l’insegnamento dell’arabo, utilizzando come testo la traduzione dei quattro Vangeli, cui dal 1629 aggiunse il libro dei Salmi, e applicando un modello di apprendimento che prevedeva due volte alla settimana dispute sulla fede in lingua araba. Seguirono anni di intenso lavoro, anche come traduttore e linguista, attività questa che aveva intrapreso quando ancora si trovava in Oriente, con l’opera intitolata Isagoge idest, breve introductorium Arabicum, in scientiam logices… (Roma 1621), volta a introdurre i missionari ai concetti filosofici e teologici dei musulmani. Anni dopo, ormai a Roma, pubblicò la Grammatica arabica… Agrumia appellata (ibid. 1631).
Si trattava della traduzione, accompagnata da commento, dell’importante grammatica araba di Abū ‘Abd Allāh Muhammad Ibn-Dā’ūd al-Sanhājī Ibn-Ājurrūm, autore maghrebino vissuto tra i secoli XIII e XIV, che era stata stampata a Roma nel 1592 e aveva già avuto due traduzioni latine: una di Peter Kirsten (1610) e una di Erpenius (1617).
La fama di Obicini come traduttore fece sì che nel 1625 venisse interpellato per preparare la risposta a un libro persiano contro i cristiani, incarico per il quale si recò a Venezia per prendere lezioni di persiano. Erano anni di grande entusiasmo nei confronti delle nuove discipline orientali che sollecitavano studi e raccolte di testi e materiali. A Roma, in particolare, codici in varie lingue orientali stavano affluendo per le vie più disparate.
A seguito della conquista di Heidelberg da parte della Lega cattolica (1622) la Biblioteca Palatina prese la via dell’Italia e andò ad accrescere immensamente i tesori della Biblioteca Vaticana (più tardi sarebbe stata catalogata da Lucas Holstenius): vi erano manoscritti latini e greci, naturalmente, ma anche un considerevole numero di opere in arabo e altre lingue orientali (inclusi molti manoscritti appartenuti a Guillaume Postel).
Nel 1626 Pietro Della Valle, tornato a Roma dopo anni di viaggio tra Nord Africa e Asia, portò con sé antichità e manoscritti anche in lingua copta. Alla ricerca di uno studioso che potesse editare quei testi – contribuendo così a quella che sarebbe diventata una vera piccola rivoluzione tipografica – si rivolse proprio a Obicini. Per il 1630 i caratteri di stampa erano ormai pronti ed era stato preparato un testo preliminare contenente l’alfabeto copto con la traslitterazione latina. Ma Obicini procedeva lentamente, carico d’altri impegni e probabilmente ormai troppo affaticato.
Quello che rimane di questo suo ultimo lavoro consiste di un insieme di manoscritti (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. Copt. 72) contenenti la traduzione integrale della grammatica araba della lingua copta di Yuhanna al-Samannūdī (cc. 10v-38r), una brutta copia della fine della grammatica di al-Asʻad Abū l-Faraj al-ʻAssāl, l’inizio incompleto della grammatica di Yuhanna al-Wajih al-Qalyūbī; e l’inizio incompleto del vocabolario di Abu l-Barakāt (cc. 44r, 47r-49r). La traduzione è in latino e in italiano. Vi si trova anche la trascrizione in caratteri latini della pronuncia del copto secondo lʼuso del XVII secolo in Egitto. Il lavoro, infatti, fu continuato dall’erudito francese di Aix en-Provence, Fabri de Peiresc, che nel 1629 aveva già tentato di ottenere materiale copto da Della Valle e che organizzò un gruppo di studiosi capaci di editare e tradurre quei manoscritti, tra cui Samuel Petit di Nîmes e Claude Saumaise di Leiden. E fu proprio Saumaise che nel maggio 1632 suggerì di incaricare dell’impresa il gesuita Athanasius Kircher.
Nel 1627, di ritorno da Venezia, Obicini si dovette fermare a Milano qualche tempo per il peggiorare delle sue condizioni fisiche. Trattenutosi per alcuni mesi nel luogo natale, a Nonio, nell’estate del 1628 scrisse alla congregazione di Propaganda di non poter tornare a causa del suo stato di salute. Tuttavia nel tardo autunno rientrò a Roma, dove riprese l’insegnamento dell’arabo e l’attività di traduzione.
A Roma morì, presso S. Pietro in Montorio, il 7 novembre 1632.
Fonti e Bibl.: A. Kleinhans, Historia studii linguæ arabicæ et Collegii Missionum OFM …, Quaracchi (Firenze) 1930; P. Verniero, Croniche ovvero Annali di Terra Santa, in G. Golubovich, Biblioteca bio-bibliografica di Terra Santa e dell’Oriente Francescano, n.s., Quaracchi (Firenze) 1936, pp. 72-86; A. Van Lantschoot, Un précurseur d’Athanase Kircher: Tommaso O. et la scala Vat. Copte 71, Louvain 1948; R. Sbardella, L’unione della Chiesa caldea nell’opera del P. Tommaso O. da Novara, in Studia Orientalia Christiana. Collectanea, V (1960), pp. 373-452; Id., Tommaso O. da Novara, O.F.M. e il cardinale Federico Borromeo, in Archivium Franciscanum Historicum, LVI (1963), pp. 71-90; J. Bignami Odier, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI, Roma 1973; A. Bresson, Peiresc et les études coptes: prolégomènes au déchiffrement des hiéroglyphes, in XVIIe siècle, CLVIII (1988), pp. 41-50; C. Balzaretti, Un importante ma dimenticato orientalista del sec. XVII: Tommaso O. da Novara, in Novarien, XIX (1989), pp. 49-70; S. De Sandoli, Riedizione e traduzione degli opuscoli di P. Tommaso O. da Novara sulle processioni dei Luoghi santi e sull’acquisto dei santuari di Nazaret e di Ain Karem, in Studia Orientalia Christiana Collectanea, XXII (1989), pp. 175-466; C. Bottini, Tommaso O. (1548-1632), Custos of the Holy Land, in The Christian Heritage in the Holy Land, a cura di A. O’Mahony et al., London 1995, pp. 97-101; P. Orsatti, Il fondo Borgia della Biblioteca vaticana e gli studi orientali a Roma tra sette e ottocento, Biblioteca apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1996; E. Eldem - D. Goffman - B.A. Masters, The Ottoman city between East and West: Aleppo, Izmir, and Istanbul, Cambridge 1999, pp. 17-78; J. Bepler, Vicissitudo Temporum: some sidelights on book collecting in the Thirty Years’ War, in Sixteenth Century Journal, XXXII (2001), 4, pp. 953-968; C. Balzaretti, Padre Tommaso O.: un mediatore nel vicino Oriente all’inizio del Seicento, in Novarien, XXXII (2003), pp. 183-90; C.A. Frazee, Catholics and sultans:The Church and the Ottoman Empire 1453-1923, Cambridge 2006; A. Hamilton, The Copts and the West, 1439-1822: the European discovery of the Egyptian church, Oxford 2006; A. O’Mahony, Syriac Christianity in the modern Middle East, in Eastern Christianity. Cambridge History of Christianity, a cura di M. Angold, Cambridge 2006, pp. 511-538; J. Tolan, Le Saint chez le Sultan, Paris 2007, pp. 343-355; O. Zwartjes, Inflection and government in Arabic according to Spanish missionary grammarians from Damascus (XVIIIth century): grammars at the crossroad of two systems?, in Approaches to Arabic linguistics: presented to Kees Versteegh on the occasion of his sixtieth birthday, a cura di C.H.M. Versteegh - E. Ditters - H. Motzki, Leiden 2007, pp. 209-246; Si veda inoltre il dettagliato sito curato dal comitato ‘Sulle orme di Padre Obicini’: http://www.comune. nonio.vb.it/Serviziestrutture/tabid/7941/Default.aspx?IDDettaglio=1546