PACE, Giovanni Battista
PACE, Giovanni Battista (Giovan Battista). – Nacque a Roma il 20 febbraio 1650 da Michele, pittore di nature morte noto come Michelangelo di Campidoglio (Epifani, 2004, p. 125).
Il soprannome paterno derivava dalla residenza della famiglia «sotto l’arco» del palazzo dei Conservatori sul colle capitolino, nella parrocchia di S. Marco, nei cui Stati delle anime la presenza di Pace è costantemente attestata nei decenni seguenti. Ottenne giovanissimo la sua prima commissione: risale al 1664 il pagamento, non a caso intestato al padre (V. Golzio, Documenti artistici sul Seicento nell’archivio Chigi, Roma 1939, p. 285), per due grandi tele riproducenti due degli episodi di storia romana affrescati dal Cavalier d’Arpino nel salone del palazzo dei Conservatori, ovvero la Battaglia di Tullio Ostilio contro i Veienti e il Combattimento tra gli Orazi e i Curiazi. Michele Pace era allora al servizio del cardinal Flavio Chigi, per il quale eseguì ritratti di cani, cacce e altre scene di genere a partire dal 1658; anche le due monumentali copie furono dipinte da Pace per i Chigi e sono tuttora conservate nel palazzo romano nel rione Colonna appartenuto alla famiglia. L’anno seguente è registrato un nuovo impegno di pagamento di 140 scudi, stavolta intestato direttamente a Pace, per due tele consegnate entro il 1666 a Nicolò Simonelli, «guardarobba» del cardinal Flavio Chigi (Faldi, 1966). Le due tele in pendant, raffiguranti il Sogno di Giuseppe e il Riposo nella fuga in Egitto, oggi in collezione privata (ripr. in Epifani 2004, figg. 128, 129), costituiscono il punto di partenza per la ricostruzione del ristretto catalogo di dipinti attribuiti a Pace.
La notizia di un suo alunnato presso Pier Francesco Mola è riferita per la prima volta da Dézallier d’Argenville (1762): benché si tratti di una testimonianza piuttosto tarda, le evidenti citazioni da Mola presenti già nei dipinti chigiani sembrano confermarla. Il tirocinio nella bottega del pittore ticinese dovette comunque essere di breve durata, dato che Mola morì nel 1666.
Nel Sogno di Giuseppe e nel Riposo sono state individuate diverse riprese da opere di Mola, associate a persistenze di classicismo alla Poussin e a probabili suggestioni da altri pittori contemporanei, quali Lazzaro Baldi (Faldi, 1966); la sensibilità per il paesaggio come l’inserimento di brani di natura morta dichiarano il debito di Giovanni Battista nei confronti del padre, se non un diretto intervento di quest’ultimo.
Pace continuò in seguito a dedicarsi alla pittura di storia o di soggetto biblico, distinguendosi dunque dal percorso paterno, senza tuttavia riuscire a ottenere facilmente incarichi altrettanto prestigiosi; peraltro, contrariamente a suo padre, non fu mai ammesso all’Accademia di S. Luca (L. Trezzani, in La natura morta in Italia, a cura di F. Porzio, Milano 1989, p. 775).
Manca ogni traccia di sue commissioni pubbliche nelle chiese romane, ma di un suo dipinto, raffigurante S. Girolamo (Buscot Park, collezione Lord Faringdon), è certa la provenienza dalla collezione di don Maffeo Barberini, principe di Palestrina, attestata da un inventario redatto nel 1686 (Laing, 1989); nell’opera si ritrovano il gusto neoveneto per la descrizione paesaggistica, la fisionomia caricata e una certa goffaggine nella costruzione della figura, riscontrabili anche nelle tele chigiane. Il rapporto di Pace con la famiglia Barberini non si limitò a questa commissione, come dimostra un’acquaforte raffigurante S. Luca che dipinge il ritratto della Madonna, dedicata dal pittore (nonché inventore dell’incisione) al cardinal Francesco ed eseguita necessariamente entro il 1679, anno di morte del destinatario (Epifani, 2004, p. 130).
Oltre al S. Luca, è nota un’altra incisione firmata da Pace: un Assalto a una città fortificata stilisticamente piuttosto distante dall’acquaforte barberiniana e forse da collegare alla sua primissima attività, ispirata ai modelli tardo-manieristici del Cavalier d’Arpino (ibid.). Dall’archivio Barberini si evince inoltre che tra il 1672 e il 1673 Pace eseguì per il cardinal Francesco una copia di una Crocifissione di s. Pietro destinata al monastero dei carmelitani di Vetralla (Aronberg Lavin, 1975, p. 27, doc. 219).
In base ai citati Stati delle anime della parrocchia di S. Marco, è probabile che sia da identificare con il fratello minore di Giovanni Battista il Pietro Pace che tra il 1671 e il 1672 eseguì per i Barberini copie di paesaggi del Domenichino e di Poussin (Epifani, 2004, p. 130; Aronberg Lavin, 1975, p. 29).
Una serie di dipinti di piccole dimensioni, per lo più incentrati sul tema della Fuga in Egitto e attribuiti a Mola, è stata convincentemente ricondotta a Pace da Erich Schleier (1989, 1992), sulla base di puntuali confronti con i dipinti documentati. Lo stile di Pace, dalla pennellata «filamentosa» e «spumosa», è stato opportunamente riferito dallo studioso non solo all’esempio di Mola – dal quale Pace peraltro si distingue per il tono più concitato – ma anche ai modelli di Giacinto Gimignani e Salvator Rosa. Gli studi successivi – a partire da Richard Cocke (1991) – hanno reso noto un buon numero di disegni incentrati sui temi evangelici trattati da Pace anche nei suoi dipinti e caratterizzati da uno stile rapido e quasi caricaturale. Particolarmente importante è il nucleo conservato presso il Museum Kunstpalast di Düsseldorf (Brink, 2002, 2007), ove si trova tra gli altri un’Adorazione dei pastori a matita rossa tracciata sull’involucro di una lettera scritta da Pace a un ignoto destinatario: la tendenza a riempire il foglio, comprimendo lo spazio con un segno convulso, appare del tutto coerente con i disegni già precedentemente individuati da Cocke. Tra i disegni attribuiti a Pace in base a confronti stilistici, si segnala l’Erminia tra i pastori del Musée des beaux-arts di Orléans, per la presenza sul verso del foglio di una copia parziale della Battaglia di Tullio Ostilio contro i Veienti, l’affresco del Cavalier d’Arpino che Pace aveva copiato per i Chigi (Epifani, 2004, pp. 135 s.).
La mano di Pace è stata riconosciuta in altri disegni che copiano – senza particolare fedeltà all’originale – dipinti di Francesco Albani, del Domenichino, di Pietro da Cortona e Salvator Rosa, utile conferma delle fonti d’ispirazione del pittore (Sutherland Harris, 2004). È significativa la presenza, su molti dei disegni attribuiti a Pace, di iscrizioni a penna che riportano una doppia numerazione (in cifre e in lettere) comune a numerosi disegni del Seicento romano appartenuti a un collezionista a tutt’oggi ancora ignoto (S. Prosperi Valenti Rodinò, Il collezionista della doppia numerazione. Un mistero ancora da svelare nella Roma del tardo Seicento, in Les cahiers d’histoire de l’art, 2012, n. 10, pp. 51-59).
Inequivocabile è il rapporto tra due studi a matita ascritti a Pace (al Louvre e alla Biblioteca Nacional di Madrid; Epifani, 2004, p. 138) e una delle due monumentali tele dell’Accademia di arte di San Pietroburgo, provenienti dalla collezione di sir Robert Walpole, raffiguranti Marco Curzio che si getta nella voragine e Orazio Coclite che difende il ponte Sublicio (Fischetti, 2010). L’attribuzione dei due ambiziosi dipinti oscilla tra Mola (cui essi erano attribuiti già nella collezione Walpole) e Pace (Petrucci 2012, p. 503), di cui queste tele costituirebbero l’impresa più impegnativa.
Morì a Roma il 5 aprile 1699.
Il testamento (trascritto in Epifani, 2005, p. 99), dettato il giorno precedente, menziona diversi dipinti lasciati dal pittore alla sorella, fattasi monaca (una Betsabea e un «quadro grande della pace fatta tra Sabini e Romani»), al procuratore fiscale Francesco Antonio Moscatelli (un ritratto) e alla figlia di questi (due «disegni d’acquarella, ch’esso testatore fece in età d’anni dieci», ovvero due copie dalla Battaglia di Costantino di Giulio Romano e dagli affreschi capitolini del Cavalier d’Arpino). Nonostante il limitato successo ottenuto sulla scena romana, Pace chiedeva di essere sepolto nella basilica di S. Maria degli Angeli, specificando la volontà che la sua tomba recasse «il suo ritratto di pietra rilevato».
Fonti e Bibl.: A.-J. Dézallier d’Argenville, Abrégé de la vie des plus fameux peintres, Paris 1762, II, p. 171; I. Faldi, I dipinti chigiani di Michele e G.B. P., in Arte antica e moderna, 1966, nn. 34-36, pp. 144-150; M. Aronberg Lavin, Seventeenth-century Barberini documents and inventories of art, New York 1975, pp. 27, 29, 411; A. Laing, in Sotheby’s, Old Master paintings, London, 5 luglio 1989, n. 9; E. Schleier, in Pier Francesco Mola 1612-1666 (catal., Lugano-Roma), Milano 1989, pp. 83-85, 319-322; R. Cocke, The drawings of Michele and G.B. P., in Master drawings, XXIX (1991), 4, pp. 347-384; E. Schleier, Per G.B. P. e Pier Francesco Mola, in Antichità viva, XXXI (1992), 5-6, pp. 13-18; S. Brink, in Disegnatore virtuoso. Die Zeichnungen des Pier Francesco Mola und seines Kreises (catal.), Düsseldorf 2002, nn. 48-51; A. Sutherland Harris, in Master drawings, XLII (2004), 3, pp. 262-268; M. Epifani, Giovan B. P. e il disegno: un petit maître tra Pier Francesco Mola, Salvator Rosa e Pietro da Cortona, in Proporzioni, n.s., V (2004), pp. 125-146; M. Epifani, G.B. P. (1650-1699), in Mola e il suo tempo. Pittura di figura a Roma dalla Collezione Koelliker (catal., Ariccia), Milano 2005, pp. 89-99; S. Brink, G.B. P. - sein Werk wächst!, in Mola und seine Zeitgenossen. Römische Zeichnungen aus der Sammlung der Kunstakademie im Museum Kunst Palast Düsseldorf (catal., Zürich), Berlin 2007, pp. 27-34; F. Fischetti, Pier Francesco Mola e la pittura di storia: il caso delle tele monumentali dell’Accademia d’arte di San Pietroburgo, in Prospettiva, 2010, nn. 139-140, pp. 167-180; F. Petrucci, Pier Francesco Mola (1612-1666). Materia e colore nella pittura del ’600, Roma 2012, ad ind.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVI, p. 117.