PALLAVICINO, Giovanni Battista
PALLAVICINO (Pallavicini), Giovanni Battista. – Nacque a Genova intorno al 1480, figlio di Cipriano e di Bianca Gattilusio, esponenti di spicco del patriziato cittadino.
Insieme con i membri dei Gentili riuniti all’interno di un fiorente ‘albergo’, aggregazione politica ed economica di più famiglie, i Pallavicino avevano guadagnato le proprie fortune grazie all’intraprendenza nelle attività mercantili e nel commercio, che aveva loro consentito di stringere importanti legami anche lontano da Genova, nelle colonie del Mediterraneo orientale e del mar Nero, in Spagna e in Francia. Come nel caso di altre famiglie liguri, il prestigio e l’ascesa sociale portò alcuni Pallavicino a intraprendere la carriera ecclesiastica a Roma, ottenendo incarichi e ruoli di rilievo: Antoniotto, fratello di Cipriano, fu nominato datario apostolico da Innocenzo VIII Cibo, suo connazionale, che nel 1489 lo creò cardinale permettendogli di accumulare importanti prebende e benefici che andarono ad arricchire e favorire i membri della sua famiglia.
Grazie alle entrature dello zio cardinale Antoniotto Pallavicino nel 1497 era canonico della cattedrale d’Albenga e commensale di papa Alessandro VI. Sempre lo zio scelse personalmente gli insegnanti ai quali affidarlo, da cui il giovane ricevette la sua prima educazione privatamente. Studiò in seguito diritto presso l’Università di Bologna e ottenne a Padova, nel 1502, la laurea dottorale in utroque iure, allievo di Filippo Decio. Nell’ateneo veneto egli conobbe molti dei collaboratori che avrebbero formato la sua corte ecclesiastica.
Acquistato, probabilmente nel 1504, l’importante incarico di protonotario apostolico, intorno al 1506 egli si trasferì a Roma, dove aprì le porte del suo palazzo di Campo Marzio a una folta schiera di chierici, notai e letterati di formazione umanistica. In questo torno di tempo ricevette dallo zio la commenda perpetua del monastero genovese di S. Antonio di Pré, divenne decano del capitolo della cattedrale di Orense, di cui Antoniotto era titolare, fu nominato abate commendatario dei monasteri di S. Maria di Marola, della Ss. Trinità di Campagnola e di Ripalta e nel 1507 consacrato vescovo della diocesi francese di Cavaillon.
Alla pastorale, Pallavicino preferì la carriera ecclesiastica. Morto Antoniotto, egli ne continuò la strategia, rimettendo incarichi e prebende ai parenti più prossimi grazie all’intermediazione dei suoi familiares, indirizzati verso gli uffici prelatizi di maggiore influenza: in questo modo facilitò l’ascesa ecclesiastica dei nipoti Michele, Antoniotto, Cipriano e Francesco, e in patria quella politica ed economica del fratello Babilano, più volte rappresentante del consiglio degli anziani, consigliere del banco di S. Giorgio e nel 1513 ambasciatore presso papa Leone X. Quello stesso anno Pallavicino divenne segretario del pontefice, carica che aggiunse a quella di scrittore di lettere apostoliche, del 1511, e a quelle di referendario e di prelato domestico. Fissata la residenza presso il palazzo apostolico, nel 1514 egli ottenne l’ufficio vacante di abbreviator primae visionis, favorì la pubblicazione di un breve di indulgenza per la cattedrale di Orense e ricevette alcuni benefici nelle diocesi di Como, Pamplona, Compostela e Mondonedo, che fece assegnare a parenti e collaboratori. Durante il V concilio Lateranense, partecipò alla commissione sulla riforma e tra il 15 e il 19 dicembre 1516 intervenne nelle sezioni dedicate ai concordati tra il pontefice e il re di Francia, all’abrogazione della Prammatica Sanzione di Bourges, all’inibizione della predicazione dei frati che non avessero licenza o permesso degli ordinari diocesani, e alla stipula di un trattato di concordia tra frati e prelati.
Insieme con gli altri ecclesiastici liguri presenti nell’Urbe, in quegli anni Pallavicino fu coinvolto dal notaio Ettore Vernazza nella fondazione del Divino Amore romano, filiazione dell’omologa confraternita genovese. Oltre ad assicurare la presenza del suo collaboratore Gaetano Thiene, che già aveva sostenuto negli esordi della sua carriera curiale, egli sovvenzionò in più di una occasione le attività caritative patrocinate dalla confraternita, come la costruzione e l’approvvigionamento dell’ospedale di S. Giacomo degli Incurabili: d’altronde, nel 1513, durante una grave epidemia, egli aveva favorito il fratello Babilano nell’acquisto e nel trattamento in regime di monopolio degli arredi dell’ospedale di S. Antonio di Pré, su cui i Pallavicino vantavano diritti di giuspatronato.
Il fronte degli ecclesiastici liguri palesò le proprie distanze politiche nel 1516, durante la congiura del cardinale di Siena Alfonso Petrucci contro il pontefice, alla quale parteciparono anche Bandinello Sauli e Raffaele Riario. Pallavicino si schierò dalla parte di Leone X, che nel concistoro del 1° luglio 1517, per ottenere il suo aiuto finanziario e rafforzare il sacro collegio con un elemento a lui favorevole, lo insignì della porpora. Con buone probabilità, il nuovo cardinale di S. Apollinare aveva da tempo espresso le proprie posizioni. Per celebrarne i fasti, il giurista di Siena Ludovico Borghesi, appartenente alla famiglia che contendeva ai Petrucci il governo della città, gli dedicò una sua Lex lecta.
Dopo la nomina, Pallavicino continuò a occuparsi della gestione dei propri affari e di quelli della sua famiglia, mantenendo un contatto epistolare con il doge e con gli anziani, e a curare le cause del pontefice. Il 15 marzo 1518 officiò a S. Maria sopra Minerva la messa con cui Leone X invocava una nuova guerra contro il Turco, nel mese di agosto ottenne il titolo arcivescovile di Eraclea e la commenda sull’abbazia di Spoleto e, sempre in quel periodo, sollecitato da Gaetano Thiene, favorì la raccolta delle indulgenze del chiostro femminile agostiniano di S. Croce, in Brescia.
Negli anni Venti del Cinquecento, Pallavicino partecipò ai conclavi di Adriano VI, che gli assegnò il monastero di S. Michele di Clusa, e di Clemente VII, dove avrebbe manifestato le sue simpatie filofrancesi. Nel settembre 1523, su proposta del governo di Venezia, venne nominato vescovo di Lesina, con l’obbligo di devolvere metà dei benefici al cardinale Francesco Pisano.
Ammalatosi, preparò il suo testamento nel luglio 1524. Morì pochi giorni più tardi, il 13 agosto, a Fabrica di Roma, un paesino dell’alto Lazio, alla presenza di Gaetano Thiene, accorso al suo capezzale alla notizia del peggioramento delle sue condizioni di salute.
Fu sepolto a Roma nella chiesa di S. Maria del Popolo, dove i nipoti apposero in sua memoria un busto marmoreo e un epitaffio encomiastico.
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