PELLIZZARI, Giovanni Battista
PELLIZZARI, Giovanni Battista (Giovan Battista, Giambattista). – Nacque attorno al 1598 a Verona, da Antonio, come si legge nel documento del 1642 reso noto da Guido Beltrame (1975, p. 20); sconosciuto è invece il nome della madre.
Nella città scaligera ricevette i primi rudimenti artistici da Zeno Donisi, come si evince dai documenti reperiti da Enrico Guzzo (1992, p. 183) su questo poco noto pittore veronese che nel 1611, nel proprio testamento, lasciò i suoi arnesi professionali al giovanissimo allievo Pellizzari, all’epoca appena tredicenne. Di questa primissima formazione non sembra però essere rimasta traccia significativa nella produzione dell’artista (che non mancò di sottolineare la sua provenienza dalla città scaligera nelle opere, dove spesso, a fianco della firma, appose la dicitura ‘Ver.’, ‘Ver.is’, ‘Vero’, ‘Veronensis’), probabilmente perché nel 1615 Pellizzari era già a Padova, come testimoniato dai documenti pubblicati da Beltrame (1975, p. 20).
Le prime opere note denunciano una sua decisa predilezione per le cifre narrative e stilistiche di uno dei principali artisti operanti a Padova in quegli anni, Pietro Damini (morto nel 1631), e un’attenzione alle componenti naturalistiche tipiche dell’altro rappresentante della pittura padovana (e non solo) del periodo, Alessandro Varotari, detto il Padovanino (scomparso nel 1649). Anche dopo la morte di Damini, come sottolinea Pier Luigi Fantelli (1993a), Pellizzari si mantenne fedele a questo stile, quasi impermeabile ai rinnovamenti artistici dei decenni successivi, continuando a rappresentare la corrente tradizionalista di Damini, Padovanino e di Giovanni Battista Bissoni ben oltre la metà del secolo.
Le sue prime opere documentate risalgono al 1624, quando gli venne affidata l’esecuzione dei sette Ritratti di beati e santi teatini per la chiesa di S. Gaetano a Padova, in occasione dei festeggiamenti decretati da Urbano VIII per celebrare la beatificazione di Andrea Avellino, avvenuti nella chiesa padovana, e descritti puntualmente nell’opuscolo di Francesco Maria del Monaco, edito appositamente nel 1625. In queste tele si trovano già tutte le caratteristiche stilistiche e compositive di Pellizzari: forte e insistito graficismo e rigidità formale, dipanarsi del racconto tutto in primo piano, attenzione ai dettagli naturalistici e alle ambientazioni architettoniche, predilezione per un cromatismo declinato su tonalità brune e tendenzialmente scure. Queste peculiarità accompagnarono Pellizzari per tutta la sua carriera, che non presentò nel corso dei decenni alcuna significativa evoluzione stilistica, facendo di lui un artista irrimediabilmente legato al tardo manierismo veneto e completamente immune alle spinte chiariste e barocche che iniziarono a farsi avanti a partire dal quinto decennio del Seicento.
Il grande telero collocato nella chiesa della Ss. Trinità di Arquà Petrarca (Padova), che raffigura L’investitura a vicario di Daniele degli Oddi, del 1628, rappresenta una delle migliori prove dell’artista, nella quale ben si esplicitano le sue doti narrative, quasi naïf, e un’attenzione all’abbigliamento dei personaggi – le cui vesti sono ornate di pizzi e stoffe pregiate – che, come sottolineato anche da Anna Maria Spiazzi (1984, p. 177), appare quasi un preciso richiamo allo stile di Chiara Varotari (1584-1664), figlia di Dario, pittore e architetto padovano, e sorella del ben più conosciuto Alessandro Varotari, detto il Padovanino, che divenne celebre per i suoi ritratti femminili in sontuosi abbigliamenti e con ricchi gioielli, rappresentati con precisione quasi maniacale.
Questo stile, seppur ripetitivo e modesto, garantì a Pellizzari numerose commissioni per i più importanti complessi religiosi di Padova e Rovigo. In quest’ultima città l’artista lasciò forse il suo ciclo più importante, i 20 teleri con i Miracoli della Madonna del Soccorso, dipinti per la chiesa della Rotonda nel 1639, epoca in cui Pellizzari risiedette a Monselice (Sgarbi, 1988, p. 212).
In queste grandi tele rettangolari lunettate, alte e strette, sono inscenati episodi miracolosi accaduti a Rovigo e nei dintorni con tratti compositivi popolareschi e un po’ ingenui tipici dell’artista, che qui forse presenta una freschezza narrativa poi difficilmente raggiunta.
La sua attività nella città di Padova fu invece praticamente ininterrotta fino alla sua scomparsa. La basilica antoniana, a partire dal 1634, gli commissionò numerosi dipinti: in quell’anno eseguì la pala con la Crocifissione per l’altare Riario nella sala del Capitolo, tuttora in loco, e successivamente gli venne commissionata la pala per l’altare di S. Rocco nella basilica del santo (Madonna con il Bambino in gloria e i ss. Rocco, Sebastiano, Liberale e donatore), in cui lo schema compositivo è semplificato al massimo, quasi scarnificato. Altre opere sono citate nei documenti (Spiazzi, 1984, p. 177), ma sono andate disperse o distrutte: nel 1652 gli furono commissionati una serie di dodici dipinti di iconografia antoniana, un affresco distrutto nel 1837, e una pala per la cappella di S. Giovanni Evangelista con la Vergine e santi, sostituita da un’altra nel 1850. Sempre a Padova Pellizzari realizzò nella chiesa di S. Tomaso Cantauriense un nutrito gruppo di opere dedicate a s. Filippo Neri, tra le quali si segnalano un Ritratto del Santo eseguito nel 1628, ritenuto miracoloso per aver sudato e lacrimato ben 27 volte nel 1632, tutt’oggi oggetto di venerazione, e numerosi dipinti con Episodi della vita di s. Filippo Neri. Per la chiesa di S. Maria dei Servi dipinse nel 1641 la pala con le Ss. Apollonia, Maria Maddalena e Giuliana. Al 1647 è collocabile il ciclo di tele eseguito da Pellizzari, Giovanni Specchietti e Daniel van Dyck per la sacrestia di S. Francesco, raffiguranti Miracoli del Santo. Le ultime opere note del pittore sono quelle per la chiesa del Carmine, del 1659: tre grandi teleri inseriti nella serie con fatti storici e leggendari relativi all’ordine carmelitano, tra i quali spicca S. Bertoldo che ha la visione dei saccheggi dei turchi, dove il racconto si dipana entro una cornice architettonica neocinquecentesca.
Morì il 20 febbraio 1660 a Padova, nella casa in parrocchia di S. Lorenzo (Fantelli, 1989, p. 841).
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