PELORI, Giovanni Battista
‒ Architetto civile e militare, nacque da Mariano di Pasquino del Peloro e Agnese Petrucci e fu battezzato a Siena il 7 luglio 1483.
Nell’edizione giuntina, in coda alla Vita di Baldassarre Peruzzi, Giorgio Vasari ne traccia un rapido e incisivo profilo, ricordandolo come «suo creato», principalmente dedito alla geometria e alla cosmografia, inventore di strumenti di rilievo e disegnatore di fortificazioni. Il biografo non tralascia tuttavia di insinuare che «ancorché costui fusse molto pratico et intendente architetto, non si vede però in alcun luogo fabbriche fatte da lui o con suo ordine, stando egli sempre tanto poco in un luogo che non si poteva risolvere niente; onde consumò tutto il tempo in disegni, capricci, misure e modelli», come a voler ritrovare nell’allievo la «dappocaggine» del maestro lamentata nelle stesse pagine (Vasari, 1568, 1879, pp. 609 s.).
Negli anni di liberalità mercatile della Siena di Pandolfo Petrucci, l’apprendistato artistico e architettonico di Pelori dovette essere ben solido, certamente legato alle scuole d’abaco e alle più aggiornate botteghe artistiche della città, con proficua frequentazione dei suoi ambienti universitari. Quella che sembra emergere dai documenti è una solidissima esperienza nell’uso degli strumenti di rilievo e nel rappresentare il territorio con disegni e modelli tridimensionali, come il grande e dettagliato plastico di Siena e dintorni, eseguito nel 1552 per il duca Cosimo, ricordato da Giovan Battista Belluzzi e dallo stesso Vasari (Lamberini, 2007, p. 160).
Vannoccio Biringucci, nel De la Pirotechnia (1540, c. 122, VIII, V), riferisce di aver conosciuto il giovane Pelori a Roma quale inventore di un metodo pratico ed economico per replicare in cartapesta le sculture colossali. Il soggiorno di Pelori nella città apostolica, da porre al tempo di Giulio II al seguito dei molti maestri senesi lì operanti insieme a Peruzzi, gli avrebbe permesso un’approfondita conoscenza della statuaria classica, dei monumenti antichi e delle tecniche costruttive dei romani.
Come ‘risieduto’ del Concistoro, ovvero cittadino eleggibile alle cariche di governo, il suo primo incarico documentato fu la custodia di Sinalunga nel 1524, per la quale ottenne l’anno dopo l’incarico di riprogettare il sistema difensivo della rocca. Nell’estate del 1526 fu inviato a Genova come segretario della Repubblica presso Andrea Doria, con il fine di rinsaldare l’alleanza tra la città e l’autorità imperiale in nome del nuovo governo senese dei Popolari, contrario al Monte dei nove. Le numerose e dettagliate lettere da lì spedite furono trascritte dal cronista Sigismondo Tizio nelle sue Historiae Senenses e nel tempo variamente pubblicate dagli scrittori senesi.
Nell’aprile 1527 fu eletto commissario dei viveri per i soldati imperiali guidati dal connestabile Carlo di Borbone di passaggio nel territorio senese nella veloce marcia che li avrebbe portati al sacco di Roma, in agosto ottenne la nomina di commissario della Zecca senese, e, poco dopo, fu in legazione a Roma e Corneto (oggi Tarquinia). Nel 1528 si unì in matrimonio con Virginia di ser Alessandro (o Giovanni) di Radicondoli, da cui nacquero cinque figli: Emilia Caterina (1529), Livio (1532), Maria Francesca (1534), Cesare Maria (1536) e Deifebo (1540).
Il 13 agosto 1528 gli fu richiesto di tornare da Andrea Doria, di passaggio dal porto di Piombino, con il pretesto di vendergli 6.000 moggia di grano, ma in realtà con lo scopo segreto di richiedere l’aiuto imperiale per far tornare Porto Ercole in mani senesi, in quel momento sotto il controllo del papa. Non essendo arrivato in tempo all’incontro, Pelori cercò di raggiungere il Doria attraverso un rocambolesco viaggio per mare, con scalo a Santa Severa nelle terre pontificie, con seguente arresto da parte delle truppe del conte dell’Anguillara, e successiva liberazione grazie alla sua «architettura», come enigmaticamente ebbe a scrivere nella lettera spedita al Concistoro il 6 settembre, quando riuscì finalmente a raggiungere Civitavecchia e a salpare con Andrea Doria verso Genova, per dirigersi poi alla volta della Spagna per andare a Toledo da Carlo V. Secondo Romagnoli (ante 1835, 1976, p. 404) sarebbe rientrato in Italia alla fine del 1528 al seguito dell’imperatore per portarsi con lui a Bologna dove sarebbe avvenuta la cerimonia di incoronazione. La missione spagnola di Pelori poté dirsi conclusa il 23 giugno 1530 con la consegna ai magistrati senesi dei privilegi concessi alla città da Carlo V, incarico premiato con 30 scudi d’oro.
In questi anni fu notevole la sua attività amministrativa, di cui possono ricordarsi almeno la nomina a commissario degli alloggi dei soldati del marchese del Vasto, Alfonso d’Avalos, il controllo dei confini meridionali del dominio e l’attività di ispezione delle infrastrutture del territorio, come il restauro dei ponti sull’Arbia e sull’Ombrone. Al 1532, per incarico dell’abate Giulio Perini, risalgono anche il restauro del monastero di Monte Oliveto Maggiore e la costruzione della magnifica peschiera ancora oggi esistente. A questa fase va anche datata la ricostruzione della chiesa senese di S. Martino, degli eremitani agostiniani di Lecceto. Iniziata nel 1537 e solo parzialmente terminata nel 1546, la sua architettura si caratterizza per una maestosa navata voltata a botte, transetto contratto con cupola sulla crociera e ampio coro absidale. L’ordine dorico delle paraste interne definisce un linguaggio classicista e antiquario, certamente inconsueto nel panorama architettonico senese di quegli anni. Le altre due tradizionali attribuzioni al Pelori, rappresentate dall’oratorio senese di S. Giovannino della Staffa in Pantaneto, con facciata del 1537, e dal loggiato interno della Casa di S. Caterina in Fontebranda, restano a tutt’oggi ancora da verificare.
Dal 1536 al 1540 Pelori seguì il marchese del Vasto nella guerra di Piemonte. Tra i pochi documenti riguardanti questo periodo è una lettera di Giovanni Palmieri del 17 giugno 1537, inviata da Asti, che cita un sopralluogo alla terra di Fossano per eseguire alcuni rilievi del territorio.
Dal 1540 Pelori passò al servizio del pontefice Paolo III con l’incarico, siglato il 2 aprile, di architetto delle fortificazioni di Ancona e Fano, al posto di Antonio da Sangallo il Giovane, inviato a Perugia per dirigere la costruzione della rocca (P. Gianuizzi, in Rassegna bibliografica dell’arte italiana, X (1907), p. 59). Da una lettera dello stesso Pelori, inviata da Ancona al cardinale Alessandro Farnese il 12 maggio 1541, si apprende che per questo nuovo mandato egli aveva rinunziato all’invito del marchese del Vasto di recarsi a Gand nelle Fiandre per progettare il sistema di difese cittadine. Non stupisce che tale rinuncia gli avesse causato una certa delusione, dovuta ai contrasti con amministratori e maestranze, alle ristrettezze economiche imposte al cantiere e all’inadeguatezza dell’accoglienza, certamente non consone a chi aveva assunto quel prestigioso incarico «più a pompa che per necessità» (Borghesi - Banchi, 1898, p. 489). A Fano i lavori furono condotti a partire dal giugno 1542 e si concentrarono sul lato più debole della cinta muraria, quello verso la marina, dove fu realizzata una lunga cortina muraria con un imponente bastione angolare. In Ancona, presso il baluardo del giardino, venne realizzato un mastio (se ne conservano ancora le arcate dell’ordine dorico inferiore) con cavaliere a difesa del principale accesso alla città da monte. La presenza di Pelori nella Marca non fu continua, ma piuttosto alternata con ripetuti trasferimenti a Roma, intervallati da spostamenti in altri territori dello Stato della Chiesa, dove fu spesso richiesto per disegni e rilievi legati alle difese (Perugia, 1544; Bologna, 1545). Nel tempo, tuttavia, i crescenti dissapori con gli amministratori anconetani divennero per lui così insostenibili da portarlo a fare definitivo rientro a Roma nel 1545 e ad avvicinarlo nuovamente a Siena.
In patria, già dall’anno precedente, il governo novesco gli aveva richiesto, insieme all’architetto Antonio Maria Lari, di ispezionare le fortezze maremmane minacciate dalle incursioni turche del Barbarossa. In una lettera spedita da Roma alla Balia l’8 marzo 1544 a proposito di tale sopralluogo, Pelori si scagionava con veemenza dalle accuse di avarizia e disinteresse e ricordava le molte legazioni portate a termine negli anni precedenti con ingenti spese personali e gravi minacce alla sua incolumità: una missiva che offre una perfetta descrizione di un carattere suscettibile e collerico, e certamente consapevole dell’importanza del ruolo sociale esercitato, non disgiunta da un sincero orgoglio per la professione di ingegnere militare. In quello stesso anno, la richiesta di acquisto di un orto con casalino adiacente alla sua casa in contrada S. Maurizio in Siena ci documenta il luogo di residenza della famiglia.
Nell’estate del 1547 Pelori fu di nuovo in viaggio: da Milano si recò in Boemia alla corte di Ferdinando I, poi andò ad Augusta alla corte di Carlo V, e fece rientro a Milano in dicembre. A questo periodo può farsi risalire il suo progetto elaborato per le fortificazioni milanesi, menzionato da Girolamo Maggi, che gli riconosce l’ideazione di un sistema difensivo a «cortine co’ risalti in dentro» e fronte rettilineo senza orecchioni, poi realizzato con ampie trasformazioni da Gianmaria Olgiati (Maggi - Castriotto, 1564, c. 64r). L’anno successivo fu in Piemonte, incaricato dal podestà di Alessandria di eseguire alcuni sopralluoghi sul Tanaro. Al 1549 risalgono i primi tentativi di entrare a servizio del duca Cosimo, e nel 1550 un nuovo ritorno in territorio senese, dove figura coinvolto nel progetto della torre di Ansedonia e nell’ispezione delle sponde del fiume Arbia a Buonconvento (1551).
Tra il maggio e il giugno 1552 tornò l’ultima volta a Fano per dare conclusione ai lavori al bastione che, grazie alle indagini di Francesco Menchetti (2002-2003), può così assegnarsi interamente a Pelori. Non convince tuttavia l’attribuzione, basata sulla scorta di brevi annotazioni di Carlo Promis, di due disegni con fortificazioni relativi alla città di Mirandola e al borgo di S. Martino conservati all’Archivio di Stato di Torino, sostenuta da Marinella Pigozzi (2001) e ribadita dallo stesso Menchetti (2002-2003; 2003).
Mentre Pelori si trovava da alcuni mesi a Firenze in attesa di prendere servizio presso il duca Cosimo, l’8 settembre 1552 arrivò la nomina ad architetto della Repubblica senese con stipendio di 150 scudi d’oro annui. Congedato dal duca e rientrato in patria con una certa riluttanza, Pelori mostrò tuttavia grande dedizione alla causa delle libertà repubblicane in anni così convulsi e tragici, contribuendo alla costruzione di un più adeguato sistema difensivo della città e del dominio. A lui spettano le imponenti fortificazioni costruite fuori dall’antiporto di Camollia, articolate in tre fortini indipendenti collegati da un’ampia cortina di terra: opera condotta con straordinaria velocità ed enorme partecipazione civica. Nel 1553 fu inviato in Valdichiana, dove si occupò di fortificare le terre di Lucignano, Monticchiello, Chiusi, Casole, Monte Rotondo e in particolare Montalcino, le cui difese sarebbero state messe alla prova in quello stesso anno dall’assedio delle truppe imperiali. Nell’occasione Pelori delineò un dettagliato disegno che resta ad oggi l’unica prova grafica a lui più sicuramente riferibile (Uffizi, Gabinetto disegni e stampe, 398 Paesi). Il 9 aprile 1555, alla capitolazione della Repubblica, Pelori figura tra i cittadini senesi ritirati in Montalcino. Nel 1556 fu a Roma, e da lì, il 29 aprile di quell’anno, o del successivo come suggerito da Promis, inviò a Siena una lettera al capitano Girolamo da Pisa, nella quale gli chiedeva di intercedere presso le magistrature affinché gli venisse revocata una multa per aggressione in cui era coinvolto anche il figlio Cesare. Prescindendo dalle motivazioni della condanna, ritenuta ingiusta e pretestuosa, la lettera costituisce una specie di memoriale-confessione di una vita e, mostrando l’ampiezza degli incarichi di Pelori, dichiara apertamente una fedeltà professionale e politica troppe volte messa in dubbio per invidia e calunnie.
Pelori morì sicuramente nel 1558. Di quell’anno è la supplica della vedova alle magistrature di Montalcino con la richiesta di potere riscuotere i crediti del marito. Non è altrimenti confermata la notizia fornita da Vasari secondo cui morì ad Avignone al servizio del re di Francia.
Durante un’intensa carriera, sono molti gli atti pubblici ai quali Pelori fu chiamato come testimone: il 21 agosto 1527 fu presente al contratto di nomina di Baldassarre Peruzzi come architetto pubblico della città di Siena; il 5 ottobre 1533 fu redattore della nota di saldo con cui lo stesso Peruzzi restituiva a Girolamo d’Angelo Menichelli il debito di 55 scudi d’oro procuratosi per pagare il riscatto ai soldati del Borbone durante il sacco di Roma; il 3 maggio 1536, per conto di Domenico Beccafumi, Bartolomeo di David e Bartolomeo Neroni detto il Riccio, Pelori fece il lodo degli addobbi realizzati per l’entrata trionfale di Carlo V a Siena; il 27 gennaio 1540, per gli scultori Lorenzo Marrina, Michele Cioli e Pietro Campagnini, fu chiamato a stimare i lavori condotti al seggio della Mercanzia, ma, non essendo in città, fu sostituito da Lorenzo Donati; il 4 gennaio 1555, per incarico del comandante francese Biagio di Montluc, giudicò le spese sostenute da Giuliano Traiano, capo delle maestranze delle fortificazioni di Siena.
Gli storici senesi hanno attribuito a Pelori la responsabilità del progetto dell’odiata cittadella militare di S. Prospero, voluta da don Diego Hurtado di Mendoza nel 1550: un edificio che giocò un ruolo cruciale nella vita politica di quegli anni e fu la principale causa della rivolta contro l’autorità imperiale del luglio 1552 e il conseguente passaggio di Siena alla parte francese. Il Diario di Alessandro Sozzini, scritto poco dopo i fatti del 1550, costituisce la più antica attestazione del nome di Pelori come progettista della cittadella (Sozzini, ante 1560, 1842, pp. 38 s.). Una versione amplificata di questo racconto fu stesa da Giugurta Tommasi, secondo cui al progetto avrebbe partecipato anche «Giovanni Battista Romano architetto dell’Imperatore, il quale con Giovanni Battista Pelori, architettor sanese che serviva il papa, dovevano levar la pianta, e disegnare il sito» (Tommasi, ante 1625, 2006, p. 345). Nelle celebri Memorie di Giovanni Antonio Pecci sparisce del tutto la figura di Romano, per lasciare al solo Pelori la progettazione dell’edificio e dipingere l’architetto come il principale responsabile senese del tradimento delle libertà civiche, bollandolo con quel giudizio che avrebbe influenzato le generazioni successive:«questo ingegnere, veramente bravissimo, in tutte le operazioni fu sempre nemico della Patria» (Pecci, 1755, p. 236), e finendo per sovrapporgli tanto il biasimo vasariano, quanto i sospetti di Tizio, sempre sferzante contro ogni mossa anti-novesca. Spetta a Ettore Romagnoli (ante 1835) aver dimostrato per primo l’infondatezza di tali giudizi grazie a un’ampia documentazione archivistica che scagiona Pelori da ogni accusa di tradimento, pur nell’evidenziarne le insofferenze del carattere e quel parlare franco e diretto che gli avevano mosso molte inimicizie. Nonostante ciò, neppure Gaetano Milanesi si sottrasse dal mettere in campo il presunto odio nutrito dai senesi verso Pelori per la questione della cittadella, andando così a enfatizzare con Vasari l’oggettiva natura «capricciosa e bizzarra» dell’architetto, quel suo sollevare continue «brighe e questioni infinite» e il suo mutare continuamente residenza, ovvero padrone (Vasari, 1568, 1879, p. 609 nota 1). La rivalutazione di Romagnoli fu invece perfettamente colta da Carlo Promis, che diede più volte alle stampe un profilo biografico di Pelori finalmente allargato negli orizzonti professionali ben oltre i confini tosco-romani, scagionato dalle accuse di tradimento e restituito a un ruolo di primo piano tra le corti del tempo e negli anni cruciali delle guerre d’Italia. Lo stesso Promis contestò a Milanesi l’attribuzione del disegno della cittadella (Biblioteca comunale di Siena, ms. L.IV.3, c. 3v) pubblicato nella prefazione del Diario di Sozzini. Più recentemente, è spettato a Nicholas Adams chiarire che il ruolo di progettista della cittadella sia da attribuire al solo Giovanni Battista Romano, ingegnere imperiale ancora parzialmente in ombra, scambiato con Pelori a causa della parziale omonimia. Del resto, cercando di restituire senso al citato passaggio di Giugurta Tommasi, che è la fonte più attendibile su questa vicenda, l’intervento di Pelori potrebbe essersi limitato all’esecuzione del rilievo del sito destinato alla costruzione della cittadella, disegno poi utilizzato da Romano per eseguire a distanza un progetto elaborato ad Augusta sotto il diretto controllo di Carlo V.
Nel panorama culturale italiano della prima metà del XVI secolo, la vita di Pelori mette bene in evidenza la nascita di una nuova figura di artista gentiluomo, che raccoglie e concilia più vocazioni diverse: il cittadino con rappresentanza politica nominato alle più importanti cariche di governo, l’artista e architetto militare apprezzato e conteso da repubbliche e signorie, il cortigiano capace di stare al fianco del signore con quella sufficiente libertà intellettuale di prendere e lasciare secondo il corso degli eventi più favorevoli.
Fonti e Bibl.: V. Biringucci, De la Pirotechnia, [Venetia] 1540, c. 122 (VIII, V); A. Sozzini, Diario delle cose avvenute in Siena... (ante 1560), Firenze 1842, pp. XV, 38-40; G. Maggi - J.F. Castriotto, Della fortificatione delle città..., Venetia 1564, c. 64r (II, XXII); G. Vasari, Le vite... (1568), a cura di G. Milanesi, IV, Firenze 1879, pp. 609 s.; Ibid. (1550 e 1568), a cura di R. Bettarini - P. Barocchi, IV, Firenze 1976, pp. 327 s.; G. Tommasi, Dell’historie di Siena, Deca seconda (ante 1625), III, Siena 2006, pp. 345, 424; I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi, parte I, Pistoia 1649, p. 665; G.A. Pecci, Memorie storico-critiche della città di Siena, Siena 1755, I, pp. 191, 242 s., III, pp. 233, 236, IV, p. 45; G. Della Valle, Lettere sanesi sopra le belle arti, III, Roma 1786, pp. 20 s., 29, 165; L. De Angelis, Elogio storico di Giacomo Pacchiarotti pittor sanese del secolo decimo sesto, Siena 1821, p. 48 nota 16; E. Romagnoli, Biografia cronologica de’ bellartisti senesi... (ante 1835), VI, 1976, pp. 385-490; G. Gaye, Carteggio inedito d’artisti..., II, Firenze 1840, pp. 159, 392-396, 398 s., 407-411; C. Promis, Della vita e delle opere degli italiani scrittori di artiglieria, architettura e meccanica militare, in Trattato di architettura civile e militare di Francesco di Giorgio Martini, parte II, Torino 1841, pp. 89 s.; G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati estensi, Modena 1855, p. 350; G. Milanesi, Documenti per la storia dell’arte senese, III, Siena 1856, pp. 86-98, 104-106, 108, 117 s., 136, 154 s., 164, 200-205, 207 s., 210-214, 322-325; A. Ronchini, Giovambattista Pelori, in Atti e memorie delle RR. Deputazioni di storia patria per le provincie modenesi e parmensi, IV (1868), pp. 249-262; G. Milanesi, Sulla storia dell’arte toscana. Scritti vari, Siena 1873, p. 27; C. Pini - G. Milanesi, La scrittura di artisti italiani (secc. XIV-XVII), II, Firenze 1873, p. 159; C. Promis, Biografie di ingegneri militari italiani, Torino 1874, pp. 57-68; P.N. Ferri, Indice geografico-analitico dei disegni di architettura civile e militare esistenti nella R. Galleria degli Uffizi, Roma 1885, p. 212; S. Borghesi - L. Banchi, Nuovi documenti per la storia dell’arte senese, Siena 1898, pp. 452 s., 485-490, 499, 507-509, 511-516, 519-524, 533 s.; P., G.B., in U. Thieme - F. Becker Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, XXVI, Leipzig 1932, p. 370; A. Liberati, Chiese, monasteri, oratori e spedali senesi (chiesa di San Giovannino in Pantaneto), in Bullettino senese di storia patria, LX (1953), pp. 254-260; Id., Chiese, monasteri, oratori e spedali senesi (chiesa di San Martino), ibid., LXI (1954), pp. 143-151; F. Secchi Tarugi, Aspetti del Manierismo nell’architettura senese del Cinquecento, in Palladio, n.s., XVI (1966), 1-4, pp. 113 s.; S. Ciardi, Giovanni Battista Peloro (1483-1558), tesi di laurea, facoltà di magistero, Università degli Studi di Firenze, a.a. 1973-1974; S. Peppers - N. Adams, Firearms & fortifications. Military architecture and siege warfare in Sixteenth-Century Siena, Chicago 1986, pp. 60 nota 10, 81, 114 s., 173, 181-190; E. Pellegrini, Le fortezze della Repubblica di Siena, Siena 1992, pp. 103 s., 220, 240 s., 257-259, 265-274; D. Ceccherini, Gli oratori delle contrade di Siena, Siena 1995, pp. 88-97; N. Adams, Peloro [Pelori] Giovanni Battista, in The Oxford dictionary of art, XXIV, New York 1996, p. 347; M. Pigozzi, Carpi e Mirandola, sguardi reciproci nell’evoluzione della forma urbana e delle difese, in La città del principe. Semper e Carpi, attualità e continuità della ricerca. Atti del convegno..., Carpi... 1999, a cura di M. Rossi, Pisa 2001, pp. 65-93; F. Menchetti, Le mura di Fano: da Antonio da Sangallo il Giovane a G.B.P., in Castella Marchiae, VI-VII (2002-2003), pp. 113-118; Id., La fabbrica delle mura di Fano “antiroveresca” (1532-1590). Committenze, architetti, cantieri, in Pesaro città e contà, XVII (2003), pp. 25-34; D. Lamberini, Il Sanmarino. Giovan Battista Belluzzi architetto militare e trattatista, I, La vita e le opere, Firenze 2007, pp. 96 nota 185, 119, 132 nota 30; ibid., II, Gli scritti, pp. 159-163 nn. 48, 50; F. Menchetti, Antonio da Sangallo il Giovane e Pier Francesco da Viterbo, ingegneri militari ad Ancona e Ascoli Piceno, in Artes, XIV (2008-2009), pp. 100-115; E. Pellegrini, Un caso esemplare per la storia dell’architettura militare italiana, in Fortificare con arte, a cura di Id., Siena 2009, pp. 164-169; Fortificare con arte, a cura di Id., Siena 2012 (in partic. Id., La fortezza imperiale, p. 162 note 21 e 23; Id., Una città da guerra, pp. 181-185); N. Adams, Peloro [Pelori] Giovanni Battista, in Grove art online. Oxford art online (voce revisionata nel maggio 2015).