PIO, Giovanni Battista
PIO (Andalò Plodius, de Plodiis, de Piis, Piò), Giovanni Battista. – Nacque quasi sicuramente a Bologna (nelle sue opere si definì sempre «Bononiensis») da Giacomo di Fazio (chiamato «magister» nei documenti: Archivio di Stato di Bologna, Notarile, 7/6, fz. 13, n. 184 (notaio Niccolò Fasanini), morto nel 1505) ed Elena, di cui si ignora il cognome. Incerta rimane la data di nascita. Le dichiarazioni di Pio di aver composto il commento a Plauto – pubblicato nel 1500, ma cominciato intorno al 1497 – all’età di ventiquattro anni (lettera a Ludovico Ghisilardi stampata in fine del commento al De rerum natura di Lucrezio, 1511, c. 216v) e di aver iniziato a insegnare «publicitus» a diciannove (Annotamenta, 1505, c. M6v), condurrebbero a porre la data di nascita tra il 1473 e il 1476. Tale conclusione confligge però sia con l’orazione funebre per l’umanista composta dal suo collega alla Sapienza per il triennio 1539-42 Leonardo Marso (ed. in Novoa, 2010), che ne fissa la morte all’età di settantacinque anni poco dopo la Pasqua del 1543, venendo così a proporre il 1468 quale anno di nascita, sia con l’iscrizione sepolcrale, ora scomparsa, nella chiesa romana di S. Eustachio, stando alla quale Pio morì «annos agens LXXXIIII» (Forcella, 1873, p. 394).
Di entrambi i genitori si ha menzione nel commento a Lucrezio (cc. 123v, 202r). Qui il padre è chiamato «Iacobus Andalus Pius», ma già nella Praelectio in Plautum et Apuleium (circa 1496, c. A2r-v), Pio aveva dichiarato l’origine della sua famiglia da quella ben più antica degli Andalò. Le Genealogie di famiglie nobili e civili di Bologna di Baldassarre Carrati, oltre a dare notizia di tre fratelli, Nestore, Bianca e Fazio, precisano che il ramo degli Andalò da cui discesero «li Pii» era quello dei Branchetti (Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Mss., B.704, 7, c. 85; B.701,4, c. 44, cit. in Del Nero, 1981, p. 248 n. 5).
Ai tre fratelli, di cui, se si eccettua Nestore (ordinato sacerdote nel 1487: Archivio di Stato di Bologna, Notarile, 7/6, fz. 20, n. 66, notaio Niccolò Fasanini), non si hanno altre notizie, si deve aggiungere Bonifacio, nato il 10 agosto 1461 (Bologna, Archivio arcivescovile, Registri battesimali, I, 1459-74, c. 91r). Occorre inoltre precisare che il nome di famiglia Pius è latinizzazione non da Pio, bensì da Piò, a sua volta derivato da Piodi, corrispondente volgare di Plodius. Sotto questa dicitura Pio si trova regolarmente registrato nei documenti dell’Archivio di Stato di Bologna (Notarile, 7/12, fz. 8, n. 380, 20 ottobre 1520 (notaio Cristoforo Zellini): «humanarum litterarum professor Iohannes Baptista de Andalais alias de Plodio»), e solo a partire da un atto del 1516 (ibid., 7/12, fz. 1, n. 29, notaio Lodovico Casari) la forma «de Piis» comincia ad affiancare o sostituire la molto più comune de «Plodiis» o «Plodio».
Nulla si sa dei suoi primissimi studi. La sua formazione umanistica di impostazione filologico-grammaticale si svolse a Bologna sotto il magistero di Filippo Beroaldo il Vecchio, Bartolomeo Bianchini e Antonio Urceo Codro, mentre i suoi primi studi di dialettica e filosofia naturale – non suffragrata da documenti è la notizia del conseguimento del dottorato in filosofia nel 1494 (Pasquali Alidosi, 1623, p. 95) – furono condotti sotto la guida dell’averroista Alessandro Achillini. Da una nota del commento a Plauto (1500, c. C3r) apprendiamo inoltre che in adolescenza ebbe modo di conoscere Francesco Dal Pozzo (Puteolano), maestro di Beroaldo. Dei suoi progressi nello studio del greco, avviato presumibilmente con Codro, è documento una lettera di Beroaldo indirizzata a Pio pubblicata dal suo vecchio scolaro, poi amico e collega, Achille Bocchi nella sua Apologia in Plautum (ma stesa in stretta collaborazione con il maestro, Bologna, G.A. Benedetti, 1508, c. A4v). Non è infine da escludere che avesse appreso anche qualche rudimento di ebraico, come risulta dal cap. 56 degli Annotamenta (1505, c. H6r-v).
A giudicare dalla Praelectio del 1496, per l’anno di esordio presso lo Studio di Bologna (1494-95) lesse due degli autori più importanti per la scuola filologica bolognese, cioè Plauto e Apuleio. Nel 1495 Pio soggiornò per un breve periodo a Ferrara ospite del monaco cistercense, e amico di Ariosto, Severo Varini, come si evince da una lettera del 15 luglio indirizzatagli dal fratello di quest’ultimo Giovan Francesco (Roma, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 2850, c. 60v). Forse proprio a Ferrara ebbe modo di stringere amicizia con Ercole Strozzi, in compagnia del quale si sarebbe recato, in data ignota ma sicuramente prima del 1505, a Venezia (Annotamenta, 1505, cc. H3v, N5v).
Da una lettera dell’umanista Konrad Muth, studente a Bologna dal 1495 al 1498, si ricava che già in questi primi anni di attività Pio era famoso tra i suoi studenti per l’uso spregiudicato di obsoleta verba, con cui costruiva il suo «affectatus sermo», tanto da guadagnarsi il soprannome di «Physiculans» (Der Briefwechsel, 1885, p. 344). Tuttavia proprio la fama della sua capacità di padroneggiare gli autori della latinità arcaica e tardoantica con la competenza filologica acquisita alla scuola di Beroaldo gli valse, su raccomandazione di Strozzi, il ruolo di precettore privato di Isabella d’Este Gonzaga, che assunse nel settembre 1496 dopo aver insegnato pubblicamente a Mantova per otto mesi (Luzio, 1887, pp. 27-29). L’incarico non durò a lungo. Già nel 1497 si trasferì infatti a Milano, dove insegnò fino al 1500, verosimilmente legandosi ai circoli umanistici gravitanti attorno a quell’Accademia fondata da Ludovico il Moro, in cui aveva insegnato Giorgio Merula e ancora insegnava Demetrio Calcondila.
A causa della caduta di Ludovico il Moro, nel 1500 tornò a Bologna e riprese la lettura di retorica de sero allo Studio per un salario di 200 lire annue, poi aumentato a 250 nel 1508 (cfr. i documenti dell’Archivio di Stato di Bologna citati in Del Nero, 1981, p. 253 n. 3). Il nome di Pio compare regolarmente nei Rotuli dello Studio fino all’anno accademico 1511-12. Sappiamo inoltre da alcune praelectiones databili ai primi anni del Cinquecento, che al ritorno sulla cattedra bolognese le sue lezioni si concentrarono sui testi di Lucrezio, Svetonio, Quintiliano e Plauto.
A questo periodo risale un documento (Archivio di Stato di Bologna, Notarile, 7/6, fz. 34, n. 89, 7 maggio 1501, notaio Niccolò Fasanini) contenente un’Excusatio di Pio, qui definito «clericus rector parochialis ecclesie S. Marie de Gragnano», presentata al vicario del vescovo di Bologna, da cui si apprende che in data sconosciuta aveva preso gli ordini minori ed era in procinto di ricevere il suddiaconato. Con tutta evidenza la promessa di assumere gli ordini maggiori entro i tempi stabiliti, come si legge nell’Excusatio, rimase lettera morta, dato che molti anni più avanti, in una nota del commento alle Epistolae ad Atticum di Cicerone (1527, c. 180v), si sarebbe dichiarato sposato e con figli. L’identità della moglie resta ignota. Quanto ai figli, uno, Marco Plauto, fu battezzato il 27 ottobre 1509 (Bologna, Archivio arcivescovile, Registri battesimali, VI, 1506-10, c. 209r) ed ebbe tra i suoi padrini anche lo scolaro ungherese del padre Laurentius Besztercei (Bistricius), nipote del vescovo di Pécs György Szakmary dedicatario del Lucrezio; un secondo, Giulio Cesare, è autore della lettera di dedica a Giovanni Luchino Arnuzzi della traduzione di Pio del IV libro delle Argonautiche di Apollonio Rodio posta a completamento dell’edizione di Valerio Flacco (1519) e di un carme a Gian Matteo Giberti nella raccolta De Urbe Roma scribentes curata dal padre (1520).
La presenza di Pio a Bologna non si mantenne tuttavia costante durante questo decennio. Un anno prima della cacciata dei Bentivoglio dalla città fu chiamato dal Consiglio di Bergamo a ricoprire l’incarico di lettore pubblico di grammatica e retorica. All’invito, cui era allegato un contratto (Roma, Biblioteca Alessandrina, Mss., 103, c. 272v) che prevedeva due lezioni pubbliche giornaliere e l’obbligo di istituire una scuola privata per un salario complessivo (spese di alloggio comprese) di 115 scudi annui, Pio rispose prontamente (ibid.) e nel novembre del 1505 si trasferì a Bergamo (Bergamo, Biblioteca civica, Azioni, 9, c. 146r, cit. in Carlsmith, 2009, p. 50). A Bergamo, dove tra i suoi scolari ebbe forse anche Bernardo Tasso, insegnò fino all’ottobre del 1507, quando fece ritorno presso lo Studio bolognese, presso cui rimase fino al 1512.
L’impresa, mai tentata da nessun umanista prima di allora, del commento al De rerum natura gli guadagnò la chiamata presso la prestigiosa cattedra di retorica alla Sapienza lasciata vacante dalla scomparsa di Pietro Marso, cattedra che occupò dal febbraio del 1512 al 1514 con uno stipendio di 250 fiorini. Qui, oltre all’insegnamento accademico, si preoccupò di seguire, su richiesta del padre Giovanni Antonio, i progressi degli studi di Marco Antonio Flaminio ed ebbe tra i suoi scolari, come si evince dal citato commento alle Epistolae ciceroniane (c. 203v), anche Pier Luigi Farnese.
Nonostante godesse di protezioni e amicizie influenti (Giulio de’ Medici, Pietro Bembo), il periodo romano rappresentò un momento particolarmente amaro della sua carriera. Negli ambienti dell’umanesimo romano, la posizione di Pio, che vi si presentò tanto come l’ultimo grande rappresentante delle avanguardie filologiche e retoriche quattrocentesche di Poliziano e di Beroaldo, quanto nella veste di chi aveva portato quella tradizione di eclettismo linguistico refrattaria alla riduzione del latino all’esclusiva norma ciceroniana ben al di là di quanto i suoi maestri avrebbero osato fare, si rivelava irrimediabilmente attardata. Benché già a partire dagli Annotamenta del 1505 avesse in parte avviato un ripensamento critico dei suoi sperimentalismi linguistici arcaistici e apuleiani giovanili (Raimondi, 1972, pp. 106 s.), negli anni delle polemiche linguistiche che portarono alla vittoria del ciceronianismo, la sua mai del tutto rinnegata predilezione per un lessico esibitamente ricercato, forgiato su autori di una latinità arcaica o tarda spesso sconfinante in quella medievale (oltre che per Sidonio Apollinare, Fulgenzio e il solito Apuleio, notevole è il convinto apprezzamento per l’Architrenius di Giovanni d’Altavilla), divenne bersaglio polemico di satire e critiche beffarde, tanto da farne agli occhi dei contemporanei uno spettrale ricercatore di arcaismi.
Alla fine del 1514 riprese a Bologna la cattedra lasciata più di due anni prima, ma la concorrenza dell’ormai affermato Romolo Amaseo ne frenò l’aspirazione di tornare a essere «l’umanista principe almeno dello Studio bolognese» (Dionisotti, 20032, p. 92). Dopo dodici anni accettò ancora una volta di trasferirsi in una sede provinciale. Nel novembre del 1526, in seguito al rifiuto proprio di Amaseo, i conservatori di Lucca gli offrirono la cattedra di umanità nella scuola di S. Alessio. Pio vi rimase a leggere dall’inizio del 1527 per 180 ducati annuali, poi aumentati a 200 nel 1529, fino al 25 settembre 1537 (Barsanti, 1905, pp. 135 s.). Quanto al ritorno a Bologna, Giovanni Fantuzzi (1789, p. 33 n. 14) riporta il testo di un documento del Senato del 5 ottobre 1537, in cui veniva offerta a Pio la lettura de mane di humanae litterae. Quale che sia il documento citato da Fantuzzi, è certo che Pio assunse l’incarico, dato che, benché assente dai Rotuli, il suo nome compare nel Quartirone degli stipendi dello Studio per l’anno 1538 (Archivio di Stato di Bologna, Riformatori dello Studio, 36, nn. 27-30). Gli ottimi rapporti con il cardinale Farnese, nel frattempo divenuto pontefice, gli permisero infine di chiudere la carriera in una sede più prestigiosa. Come attestano i Rotuli della Sapienza, dal 1539 al 1542 tornò a insegnare retorica a Roma.
A Roma morì poco dopo la Pasqua del 1543, forse a causa di un malore improvviso (Giovio, 1972, p. 124) e fu sepolto nella chiesa di S. Eustachio. Da scartare in quanto priva di fondamento è l’ipotesi del suicidio, asserita acriticamente da Alessandro Luzio (Luzio - Renier, 1900, p. 221).
L’elenco delle opere di Pio compilato da M. Toste in CALMA (Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi), I, 5, Firenze 2003, pp. 657-668, non è privo di imprecisioni. Se ne ripropone pertanto un regesto completo.
Opere inedite: Roma, Biblioteca nazionale, II.1072: Cebetis tabulae interpretatio desultoria (traduzione parziale in esametri latini della Cebetis Tabula per Isabella d’Este; estratti in G. Andrès, Catalogo di codici manoscritti della famiglia Capilupi di Mantova, Mantova 1797, pp. 208-223; Benedetti, 2001, 2004a); Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 5356, cc. 112r, 121r: note di commento di Pio a due versi dell’Epulum populi Romani di Giulio Simone Siculo (Roma, E. Guillery - E. Nani, 1513); Vat. lat., 2851: traduzione in versi (autografa eccetto le cc. Ir-IIIv) dell’Anthologia Planudea databile all’ultimo soggiorno romano (i libri I-VI sono dedicati a Paolo III; i restanti VII-VIII, cc. 129r s., a Pier Luigi Farnese; il ms. Chig., L.IV.76 è apografo in pulito dei soli libri VII-VIII); Vat. lat., 1138, c. 13: un carme di Pio; Augsburg, Staatsbibliothek, Mss., 2° Aug. 389, cc. 181v-182r: due epigrammi per il doge Leonardo Loredan e uno Ad Venetos qui suam nobilitatem praeponunt Caesaris. Non si ha più notizia (perché conservate in biblioteca privata, cfr. P.O. Kristeller, Iter Italicum, V, London 1990, p. 463) di uno scambio di lettere tra Pio, il suo scolaro ungherese Laurentius Besztercei (Bistricius) e Paolo Bombasio, possedute nel Settecento da Giacomo Biancani e consultate da Giovanni Fantuzzi (1789, p. 87).
Edizioni e commenti: Sidonii Apollinaris Poema aureum eiusdem Epistolae cum commentario, Milano, Ü. Scinzenzeler, 1498 (già pronta per la stampa nel novembre 1497, IGI (Indice Generale degli Incunaboli), n. 8967); Fulgentii Placiadis Enarrationes allegoricae fabularum, ibid., 1498 (IGI, n. 4106); Plautus integer cum interpretatione, ibid., 1500 (IGI, n. 7876); Nonius Marcellus, De compendiosa doctrina; Festus Pompeius, De verborum significatione; Varro, De lingua Latina, ibid., G.A. Scinzenzeler, 1500 (IGI, n. 6938): per Festo è l’editio princeps; allestita da Pio, in sua assenza fu stampata a cura di un suo scolaro che si firma solo “Conagus” (c. Oo8r, difficile dire se si tratti di Luchino o Gabriele); In Carum Lucretium Commentarii…, Bologna, G. Benedetti, 1511: in calce sono pubblicate le Retractationes Plautinae, le Retractationes agli Elegidia e correzioni agli Annotamenta del 1505; C. Valerii Flacci Commentarii…, ibid., 1519: contiene inoltre la già menzionata traduzione (ed. in Kobusch, 2004), a sua volta commentata, del IV libro delle Argonautiche di Apollonio Rodio e le Argonautiche orfiche nella versione di Lodrisio Crivelli; Columella, De cultu ortorum [sic], ibid., 1520: commento al libro del De re rustica; Claudius Rutilius, De laudibus Urbis, Etruriae et Italiae, ibid., 1520: priva di commento, è la princeps del poema di Rutilio Namaziano, preceduta da un carme in distici a Leone X, a cui in calce figurano dedicate le traduzioni in versi di dodici epigrammi dell’Anthologia planudea; De Urbe Roma scribentes, ibid., 1520: raccolta di scritti di Pomponio Leto, Fabrizio Verano, Raffaele Maffei e Biondo Flavio; Cicero, Epistolae ad T. Pomponium Atticum cum commentariis, ibid., G. e B. Faelli, 1527: seguono, con diverso frontespizio, le Epistolae ad Brutum, anch’esse commentate, e la Vita Pomponii Attici di Cornelio Nepote.
Opere originali: Praelectio in Plautum Accium et Lucium Apuleium, s.l. né d. (ma Bologna, F. Benedetti, 1496 circa, IGI, n. 7836): contiene in fine una Laus Apulei [sic] in versi; Annotationes, Brescia, A. Britannico, 1496 (IGI, n. 1583), cc. Rr-S5v, insieme con opere di Beroaldo, Poliziano e Domizio Calderini; Praelectio in Titum Lucretium et Svetonium Tranquillum, Bologna, C. Baccellieri, s.d. (ma 1500-01); Poema de pace, ibid., G. Benedetti, 1503: in esametri, composto per la pace stipulata tra Giovanni Bentivoglio e Cesare Borgia; Tactica de re militari, ibid., G.A. Benedetti, 1504: poemetto in esametri concepito come lettura introduttiva ai Punica di Silio Italico; Annotamenta, ibid., 1505: in fine si aggiungono le Emendationes et annotamenta in Marci Tulli ad Hortensium opus; Elegidia, ibid., 1509: raccolta di carmina in distici, per lo più di argomento amoroso (si segnala che l’esemplare Bologna, Biblioteca universitaria, A.V.A.IV.12, presenta numerose correzioni e varianti manoscritte di pugno di Pio); Praefationes gymnasticae aliique varii sermones, ibid., B. Faelli, 1522: silloge in sei libri di discorsi pubblici tenuti in varie occasioni e praelectiones, alcune delle quali già stampate; l’ecloga pastorale di imitazione virgiliana per Giulio de’ Medici (cc. 65r-69r), databile intorno al 1515, è trasmessa anche dal Vat. lat. 5806 con il titolo Tropheum Iulii Medicis.
Sia per le ristampe delle opere che per altri carmina di Pio sparsi in varie edizioni si rinvia all’elenco in CALMA, 2003, a cui sfugge solamente una poesia latina figurante nel frontespizio dell’edizione delle Historiae di Ammiano Marcellino (Bologna, G. Benedetti, 1517) curata dal suo scolaro Pietro Castelli.
Oltre alle lettere già menzionate e alle numerose dedicatorie comprese nelle sue opere, quel che resta delle lettere di Pio si trova in: Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, F.II.8 (26 ottobre 1496 a Isabella d’Este, ed. in Luzio, 1887, p. 29); Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Lat., X.174 (= 3621), c. 149r (a F. Beroaldo il Giovane, s.d. ma post 1502); Bergamo, Biblioteca civica, Azioni, 10, c. 54v (lettera di dimissioni al Consiglio della città, 27 ottobre 1507); Roma, Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat., 2163, c. 111r; 2029, cc. 461v-463r; Reg. lat., 2023, cc. 55r-57r (tutti contenenti la stessa lettera di Pio ad A. Bocchi del novembre 1512); Bologna, Biblioteca universitaria, Mss., 1998 (quattro lettere di Pio a G.A. Flaminio ed. in G.A. Flaminiio, Epistolae familiares, Bologna 1774, pp. 221 s., 418 s., 424-426, 479); 1993, c. 70r (a Girolamo Suardi, 16 agosto 1507); 1896, cc. 279v-280r (a Giovanni Garzoni, ed. in Del Nero, 1981, pp. 260 s.); Parma, Biblioteca Palatina, Pal., 1019, fasc. 12, cc. 2r (lettera di raccomandazione per il figlio Giulio Cesare, autografa, s.d.), 4r (a Nikolaus von Schönberg, autografa, s.d. ma post 1521), 3r e 5r-v (rispettivamente a Bembo e a Gian Matteo Giberti, ed. in Cian, 1903, pp. 220 s.).
Stando a quanto afferma Leonardo Marso nella sua orazione funebre (Novoa, 2010, p. 252), Pio avrebbe lasciato inedite delle Annotationes a Cicerone, della cui pubblicazione si era incaricato Tiberio Crispi. Dal Supplementum epitomes Bibliothecae Gesnerianae, Lyon, B. Honorat, 1585, p. 53, di Antoine du Verdier si evince che il tipografo Antoine Gryphe possedeva due raccolte manoscritte di carmina di Pio dedicate a Jean Grolier: tre libri di Epigrammata (una parte degli Elegidia?) e altrettanti di Sylvae, per cui resta il dubbio se debbano identificarsi con alcune delle prolusiones in versi raccolte nelle Praefationes gymnasticae sul modello delle Sylvae di Poliziano. A ogni modo il manoscritto in questione potrebbe corrispondere a un codice menzionato in un atto dell’Archivio di Stato di Bologna (Notarile, 7/7, b. 134, 7 giugno 1521, notaio Battista Bovi), tramite cui Pio incaricò un corriere di recapitare a Grolier un codice dello Pseudo Dionigi e una sua opera non meglio identificata copiata «manu propria».
Da escludere dalle opere di Pio (cfr. Benedetti, 2004b, p. 122 n. 21) è invece il poema adespoto sulla riconquista di Bologna da parte di Giulio II nel 1506 (Roma, Biblioteca apostolica Vaticana, Chig., I.VI.232): che Pio vi venga menzionato (cc. 43v-44r) e che il poeta si dica nato a Cremona (c. 113r) potrebbero essere indizi per avanzare la paternità di Baldassare ‘Tranquillo’ Molossi, che dal 1509 fu a Roma in qualità di precettore di Pier Luigi Farnese e pertanto quasi certamente conosciuto da Pio.
Da ultimo occorre chiarire che Pio non commentò Dione Cassio, né sue note figurano all’interno del Festo curato da Fulvio Orsini (Roma, G. Ferrari, 1581), come afferma Giovanni Fantuzzi (il quale, seguendo il Fabricius, attribuisce a Pio anche un’inesistente traduzione di Frontino); tantomeno tra i commenti di vari autori a Lucano (Paris, J. Bade, 1514), Ovidio (Metamorphoseos, Lyon, S. Bevilacqua, 1518, e De arte amandi et remedio amoris…, Milano, A. da Vimercate, 1521), Orazio (Freiburg, J. Faber, 1535), figurano nuove annotationes di Pio, come si continua a ripetere, ma le note di commento presenti sotto il suo nome sono in realtà estratte da sue opere già pubblicate.
Fonti e Bibl.: G.N. Pasquali Alidosi, I dottori bolognesi di teologia, filosofia, medicina e d’arti liberali, Bologna 1623, p. 95; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, VII, Bologna 1789, pp. 31-40, 87; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d’altri edificii di Roma, II, Roma 1873, p. 394; Der Briefwechsel des Mutianus Rufus [K. Muth], a cura di C. Krause, Kassel 1885, p. 344; A. Luzio, I precettori di Isabella d’Este, Ancona 1887, pp. 27-29; U. Dallari, I rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio bolognese dal 1384 al 1799, I, Bologna 1888, pp. 157, 176; II, ibid. 1889, pp. 9, 12, 15, 18, 22, 25, 29, 32, 35, 39, 42, 46, 49, 59, 69; A. Luzio - R. Renier, La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d’Este Gonzaga, II, Il gruppo ferrarese, in Giornale storico della letteratura italiana, XXXV (1900), pp. 220-222; V. Cian, Per la storia dello Studio bolognese nel Rinascimento. Pro e contro l’Amaseo, in Miscellanea di studi critici edita in onore di Arturo Graf, Bergamo 1903, pp. 201-222; P. Barsanti, Il pubblico insegnamento in Lucca dal secolo XIV alla fine del secolo XVIII, Lucca 1905, pp. 135 s.; E. Raimondi, Codro e l’Umanesimo a Bologna, Bologna 1950, ad ind.; P. Giovio, Opera, VIII, a cura di R. Meregazzi, Roma 1972, p. 124; E. Raimondi, Il primo commento umanistico a Lucrezio, in Id., Politica e commedia, Bologna 1972, pp. 101-140; V. Del Nero, Note sulla vita di G.B. P. (con alcune lettere inedite), in Rinascimento, 2 s., XXI (1981), pp. 247-263; Id., G.B. P. tra grammatica e filosofia: dai primi scritti al commento lucreziano del 1511, in Sapere è/e potere. Discipline, dispute e professioni nell’Università medievale e moderna. Il caso bolognese a confronto, I, a cura di L. Avellini, Bologna 1990, pp. 243-257 (a cui si rinvia anche per i lavori precedenti sul commento a Lucrezio); I maestri della Sapienza di Roma dal 1514 al 1787: i Rotuli e altre fonti, a cura di E. Conte, I, Roma 1991, pp. 5, 10, 14; L. Chines, I Lettori di Retorica e humanae litterae allo Studio di Bologna nei secoli XV-XVI, Bologna 1992, pp. 56-58; F. Cortesi-Bosco, Sulle tracce della committenza di Lotto a Bergamo: un epistolario e un codice di alchimia, in Bergomum, XC (1995), 1, pp. 16-19, 40; P.O. Kristeller, Iter Italicum. A cumulative index to volumes I-VI, London-Leiden 1997, s.v. Pius, Iohannes Baptista; S. Benedetti, Itinerari di Cebete. Tradizione e ricezione della Tabula in Italia dal XV al XVIII secolo, Roma 2001, pp. 111-155; C. Dionisotti, G.B.P. e Mario Equicola, in Id., Gli umanisti e il volgare tra Quattro e Cinquecento, Milano 20032 (I ed. Firenze 1968), pp. 70-113; S. Benedetti, La Cebetis Tabula e G.B. P. tra «vocabuli exquisiti» e «curiositas» erudita, in Roma nella svolta tra Quattro e Cinquecento, a cura di S. Colonna, Roma 2004a, pp. 183-207; Id., Per l’oratoria accademica di primo Cinquecento: la praelectio romana di G.B. P. (1512), in Per M. Petrucciani, a cura di A. Barbuto, Roma 2004b, pp. 117-146; B. Kobusch, Das «Argonautica»-Supplement des G.B. P. Einleitung, Edition, Übersetzung, Kommentar, Trier 2004; J. De Pins, Letters and Letter Fragments, a cura di J. Pendergrass, Genève 2007, pp. 67 s.; F. Bacchelli, L’insegnamento di umanità a Bologna, in Storia di Bologna, III, 2, a cura di A. Prosperi, Bologna 2008, pp. 167-172; C. Carlsmith, A Peripatetic Pedagogue: G.B. P. in Bergamo, 1505-1507, in La dimensione individuale nella storia (secoli XV-XX). Studi in onore di A. Jacobson Schutte, a cura di R.A. Pierce - S. Seidel Menchi, Roma 2009, pp. 45-55; S. Signaroli, Maestri e tipografi a Brescia (1471-1518). L’impresa editoriale dei Britannici fra cultura umanistica e istituzioni civili nell’occidente della Serenissima, Travagliato 2009, pp. 71-75; J.W. Novoa, Leonardo Marso’s «Oratio» for the Death of G.B. P., in Bruniana & Campanelliana, XVI (2010), pp. 247-253.