SCALABRINI, Giovanni Battista
– Nacque l’8 luglio 1839 a Fino Mornasco nella diocesi di Como, da Luigi Scalabrini, vinattiere, e da Colomba Trombetta.
Terzo di otto figli, frequentò la locale scuola elementare e l’imperiale regio ginnasio liceale prima di entrare nel 1857 al seminario minore. Due anni dopo passò al seminario maggiore e nel 1863 fu ordinato sacerdote. Chiese di essere ammesso al seminario lombardo per le missioni estere, ma il vescovo di Como lo destinò come supplente alle parrocchie locali e poi al seminario minore, del quale divenne rettore nel 1867. In questa funzione conobbe Geremia Bonomelli, il suo grande amico della maturità, cui affidò nel 1868 un corso di esercizi spirituali.
Nel 1870 fu spostato alla parrocchia operaia di S. Bartolomeo, dove continuò a interessarsi dell’insegnamento, fondandovi un asilo (1874) e preoccupandosi dell’educazione religiosa dei giovani. A tale scopo nel 1875 pubblicò il Piccolo Catechismo, che lo fece conoscere in Vaticano e fra l’episcopato, non solo lombardo. Intanto il suo ordinario gli chiese di seguire la fondazione di istituti cattolici nella diocesi. Allo stesso tempo si occupò anche della gestione di strutture sanitarie e dell’organizzazione di associazioni operaie. A metà decennio divenne assai noto per la difesa di Pio IX in una serie di conferenze nella cattedrale di Como, pubblicate come Le glorie del Papa nel Concilio Vaticano (1874). Don Giovanni Bosco segnalò il volume al pontefice, che nel dicembre lo designò a vescovo di Piacenza. Il 30 gennaio 1876 fu consacrato a Roma dal cardinale Alessandro Franchi, prefetto di Propaganda Fide, conosciuto quando aveva tentato di diventare un missionario all’estero. Presto il nuovo vescovo avrebbe dimostrato di non aver rinunciato a quella aspirazione missionaria.
Scalabrini entrò nella diocesi con la fama di intransigente e vi morì nel 1905 con la fama di liberale ben disposto verso il governo italiano. Nella ricchissima bibliografia su di lui questo passaggio è ritenuto cruciale ed è spiegato non tanto con una scelta a favore del liberalismo, cui pure gli altri fratelli propendevano, ma con l’impegno a favore dei poveri, dei bambini e dei malati, esplicitato già nella parrocchia comasca e poi ripreso sin dalla prima lettera pastorale. Era e rimase un conservatore moderato, che, per aiutare i diseredati, aveva bisogno di un accordo con lo Stato, sia pur minimo. Per questi ultimi doveva ‘transigere’, anche se personalmente non richiese neanche l’exequatur, infine concessogli dal governo senza alcuna esplicita domanda.
La moderazione nei riguardi dello Stato o quanto meno l’assenza di gesti eclatanti contro di esso erano inoltre legate alla volontà di non spaccare il proprio clero con confronti politici esiziali. Proprio per questo rispose con durezza ai tentativi di don Davide Albertario, direttore del milanese Osservatore cattolico, di coinvolgerlo, nel 1881-82, nella polemica contro Bonomelli, accusato di voler mettere a tacere il giornale temendone la posizione intransigente, nel frattempo destinato alla diocesi di Piacenza. Le posizioni dei due amici differivano sia in materia di politica religiosa sia in materia di rapporti con lo Stato, ma in ogni caso Scalabrini vedeva negli articoli di Albertario una indebita ingerenza nell’amministrazione delle diocesi e soprattutto un pericolo per la normale dialettica tra clero e ordinario. Pretese dunque che la S. Sede imponesse al sacerdote una ritrattazione pubblica. Si guadagnò così l’odio dell’ala albertiana del clero padano con la quale conflisse anche in merito agli interventi nel sociale.
Nell’amministrazione corrente, Scalabrini mostrò subito la volontà di comprendere le dinamiche e la realtà della propria diocesi. Ne percorse più volte, quasi senza soluzione di continuità, il territorio, effettuando cinque prolungate visite pastorali: 1876-80, 1882-87, 1888-91, 1893-99 e 1899-1905. Già nel corso della prima gli balzò agli occhi l’estrema povertà dell’area appenninica e la tradizionale spinta a migrare, nonché le difficoltà dei poverissimi parroci di montagna. Non rinunciò a quanto già sperimentato a Como, cioè alla creazione e gestione di scuole, strutture ospedaliere, associazioni operaie. Vi aggiunse, però, l’assistenza al clero più misero e l’attenzione alla mobilità umana. La sua stessa riflessione sulla maniera di impartire più efficacemente il catechismo fu influenzata da questa contingenza. Un suo appunto (Archivio Generale Scalabriniano, 3018/14: «Necessità di un Catechismo unico e universale») suggeriva, in vista di un incontro con il pontefice, la necessità di un catechismo ‘universale’. Per i lavoratori era, chiosava, normale andare «di città in città, di provincia in provincia, di regno in regno»; dunque l’insegnamento catechistico doveva essere uguale dovunque.
I primi cinque anni di lavoro diocesano avevano impegnato il vescovo su molti fronti e gli avevano provato il bisogno continuo di denaro e di appoggi, anche governativi. Cercò quindi di formare una rete cattolica ben inserita nella società locale e in grado di garantire sostegno politico e finanziario. Dapprima la sua iniziativa si concentrò sull’insegnamento del catechismo: nel 1876 emanò di conseguenza le Regole per le scuole della dottrina cristiana, poi regolarmente aggiornate grazie anche alla discussione di tutti i vescovi emiliani. L’insegnamento del catechismo lo spinse a pensare anche all’istruzione tout court e quindi a un possibile spazio cattolico nel sistema scolastico. Per propagandare le proprie idee ricorse alla stampa, pubblicando le proprie riflessioni (Il catechismo cattolico, 1877) e riorganizzando i periodici di ispirazione cattolica. Per ogni iniziativa creò apposite commissioni, composte da membri del clero e dell’aristocrazia locale e coordinate con le associazioni ‘di base’ fondate nello specifico settore. In questo modo la vita e la presenza della diocesi divenivano avvertibili anche oltre le attività parrocchiali e si intersecavano con l’attività politica vera e propria, tanto che Scalabrini iniziò a proporre, in contrasto con la S. Sede, la partecipazione elettorale a fianco delle forze più moderate o comunque antisocialiste.
Il vescovo tornò più volte sul tema delle relazioni con lo Stato e la società, soprattutto nei tre sinodi diocesani (1879, 1893 e 1899). Tuttavia nella prima metà degli anni Ottanta dovette anche preoccuparsi di eventi, quali la carestia dell’inverno 1879-80 o le minacce di colera del 1884 e del 1885. Nella seconda metà del decennio divenne invece sempre più centrale la questione migratoria, messa in evidenza anche dallo sviluppo delle statistiche nazionali.
Forse non si migrava più di prima, ma era ormai evidente che i contadini di tutto il Nord stavano pagando un prezzo assai alto per l’unificazione politica ed economica nazionale. Secondo il vescovo non si doveva condannare la scelta migratoria, tanto più che aveva una tradizione plurisecolare tra Lombardia ed Emilia. Bisognava invece agire sui due aspetti della questione: da un lato, bisognava aiutare i poveri a non essere schiacciati nella modernizzazione dell’economia italiana e impedire che fossero sfruttati dal mondo (agenti, compagnie navali, intermediari) che si arricchiva sui flussi migratori; dall’altro, si doveva proteggere i fedeli dai pericoli di Paesi anticlericali (la Francia o quelli dell’America Latina) o protestanti (Germania, Regno Unito, Stati Uniti), mantenendone la coesione all’estero e dunque l’italianità, che diveniva essenziale nella preservazione del cattolicesimo.
Il problema era chiaro anche a Bonomelli e persino in Vaticano, anche se qui si nutriva qualche dubbio sul fatto che si dovesse difendere l’italianità per proteggere la fede dei migranti. Quando Scalabrini si rivolse a Leone XIII e a Propaganda Fide, questi gli diedero comunque retta e fu possibile attuare un piano di azione, dopo aver risolto con Bonomelli una divisione delle competenze: al vescovo piacentino le Americhe; a quello cremonese l’Europa. Scalabrini fu incaricato da Propaganda Fide di fondare un istituto che assistesse gli emigranti nel Nuovo Mondo e di gestire un collegio a Piacenza per formare i missionari necessari. Il papa approvò il progetto il 25 novembre 1887 e lo presentò ai vescovi d’Oltreoceano il 10 dicembre 1888 (Quam aerumnosa). Inizialmente era previsto un esperimento quinquennale, ma presto il pontefice si rese conto della necessità di costante attenzione alle migrazioni italiane (Rerum Novarum, 1891). Ai primi missionari dell’Istituto piacentino si aggiunsero quindi gli accordi con Francesca Saverio Cabrini a partire dal 1889 e più tardi la nascita di suore scalabriniane (1895). Nel 1892 i missionari legati al progetto divennero parte di una nuova congregazione religiosa intitolata a s. Carlo Borromeo e nel 1894 furono incaricati di intervenire non soltanto nelle terre di immigrazione, ma anche nei porti di partenza (Genova) e di arrivo (New York). Nel frattempo l’esperimento era divenuto decennale, per poi protrarsi indefinitamente nel tempo.
Per coordinare l’assistenza ai migranti fu creato un patronato apposito, la Società S. Raffaele sul modello dell’omonima associazione tedesca. Scalabrini fu allora coinvolto da esponenti di quest’ultima negli scontri con i vescovi statunitensi e brasiliani, ritenuti poco interessati agli immigrati, che avrebbero dovuto essere assistiti nella loro lingua. A questo punto la situazione divenne esplosiva sia Oltreoceano sia in Vaticano, dove i missionari scalabriniani furono accusati a più riprese di eccessivo nazionalismo. Scalabrini dovette quindi precipitarsi più volte dal pontefice e dal segretario di Stato e inoltre recarsi negli Stati Uniti (1901) e in Brasile (1904).
Non tralasciò, tuttavia, gli altri impegni a favore dell’emigrazione, per esempio nel 1889 organizzò il primo congresso catechistico nazionale, né abbandonò i rapporti con gli altri membri dell’episcopato. Nondimeno la questione migratoria lo coinvolse sempre di più, anche per l’incessante partecipazione a convegni e conferenze, la creazione di giornali e bollettini, la stesura di numerosi scritti sul tema. Questa continua riflessione e i viaggi all’estero lo spinsero progressivamente a non concentrarsi sul solo caso italiano, ma a proporre al pontefice di costituire una commissione Pro emigratis catholicis che, per la sua dimensione internazionale, mettesse fine alle querelles nazionalistiche. Purtroppo, poco dopo aver presentato un memoriale in merito, Scalabrini morì a Piacenza il 1° giugno 1905.
Il suo istituto avrebbe conosciuto momenti procellosi e sarebbe stato persino commissariato. Tuttavia sarebbe sopravvissuto, spostandosi a Roma in contatto diretto con la S. Sede e con le istituzioni via via create da quest’ultima (ufficio della Concistoriale per i migranti, Prelato per l’emigrazione, Pontificio Collegio per l’emigrazione). Inoltre avrebbe allargato il suo raggio d’azione dal Nuovo al Vecchio Mondo e dall’ottocentesca emigrazione italiana alle nuove mobilità del nostro secolo.
Di conseguenza Scalabrini sarebbe stato beatificato nel 1997, dopo un lungo processo aperto nel 1936.
Fonti e Bibl.: La fonte principale è costituita dall’Archivio generale scalabriniano (AGS) a Roma. Una parte di questa documentazione, assieme a quella della diocesi piacentina, è stata utilizzata per il processo di beatificazione: Le Virtù del Servo di Dio Giovanni Battista Scalabrini, pro manuscripto, Roma 1985 (disponibile in AGS). Il postulatore del processo Mario Francesconi, CS, utilizza estratti di quei documenti nella monumentale biografia Giovanni Battista Scalabrini, Roma 1985. Questi materiali vanno integrati con quelli nell’Archivio segreto Vaticano, in particolare le relazioni diocesane nel fondo Congregazione del Concilio, e la corrispondenza con Leone XIII sull’emigrazione in Segreteria di Stato, 1894, rubr. 17, f. unico, cc. 79-150; per lo scontro con don Albertario Segreteria di Stato, Spoglio di Leone XIII, bb. 51-52, passim. Si veda inoltre la corrispondenza nell’Archivio di Propaganda Fide sull’intervento nelle Americhe: Acta, vol. 257, 1887, Rapporto sull’emigrazione italiana con sommario, soprattutto cc. 507-529, e Congressi, Collegi Vari, vol. 43: 5, Collegio di Piacenza per gli Emigrati Italiani in America dal 1887 al 1892. Per le accuse a missionari scalabriniani: Nuova Serie, vol. 332, 1905, Addebiti a carico dei Missionari Piacentini e loro opere, cc. 1-398. Alcuni importanti carteggi sono editi: Carteggio Scalabrini Bonomelli (1868-1905), a cura di C. Marcora, Roma 1983, e P. Colbacchini, Con gli emigrati negli Stati di S. Paolo, Paranà e Rio Grande do Sul 1884-1901. Corrispondenza e scritti, a cura di G. Terragni, Napoli 2016; si veda anche Giovanni Bosco, Epistolario, IV (1873-1875), a cura di F. Motto, Roma 2003, sulla designazione a vescovo di Piacenza. La congregazione scalabriniana ha pubblicato le Opere del suo fondatore (I-XIII, Roma 1980). Inoltre sono stati raccolti: le Lettere Pastorali, a cura di O. Sartori, Torino 1994, e Scalabrini e le migrazioni moderne. Scritti e carteggi, a cura di S. Tomasi - G. Rosoli, Torino 1997. Sulle migrazioni si vedano anche i testi in Studi Emigrazione, 1968, n. 11-12, doppio numero monografico: La società italiana di fronte alle prime migrazioni di massa. Il contributo di Mons. Scalabrini e dei suoi primi collaboratori alla tutela degli emigranti, a cura di A. Perotti.
La bibliografia su Scalabrini è vastissima, ma schedata sino al 1985 nella già citata biografia di Francesconi. Dopo questa data si consultino: S. tra vecchio e nuovo mondo, a cura di G. Rosoli, Roma 1989; G. Rosoli, Insieme oltre le frontiere, Caltanissetta-Roma 1996; P. Borzomati, G. B. S. Il vescovo degli emarginati, Soveria Mannelli 1997; A. Perotti, S. e le migrazioni nel contesto storico delle migrazioni europee in America, Roma 2004; L’ecclesiologia di S., a cura di G. Parolin - A. Lovatin, Città del Vaticano 2007; R.I. Zanini, Della stessa forza di Dio: S., Cinisello Balsamo 2011; B. Rossi, Un’opera ben più vasta. Gli inizi della Congregazione Scalabriniana e l’Opera di Patronato S. Raffaele, Roma 2014; G. Terragni, S. e la Congregazione dei missionari per gli emigranti, Napoli 2014; S. e Bonomelli, a cura di F. Baggio, Roma 2015. Molto materiale su Scalabrini e la sua congregazione si trova nelle voci di Migrazioni. Dizionario socio-pastorale, a cura di G. Battistella, Roma-Cinisello Balsamo 2010, e nelle annate di Studi Emigrazione.