TAGLIASACCHI, Giovanni Battista
Figura di primo piano nell’ambiente artistico parmense ed emiliano del primo Settecento, assurse ai fastigi della fama già in vita, per la sua opera pittorica, svolta quasi esclusivamente nel Parmense e nel Piacentino.Pietro Zani lo ricorda come «pittore di storia tanto sacra, che profana», «pittor-ritrattista», «disegnatore», qualificandolo «celebre» (1824).
Nacque a Borgo San Donnino (attuale Fidenza) intorno al 27 agosto 1696, giorno in cui venne battezzato nella parrocchia della Cattedrale, da famiglia benestante, figlio di Giovanni Maria, orefice, e di Lidia Arcari Scarabelli.
Iniziò la sua formazione a Parma, nella bottega di Giacomo Maria Giovannini, pittore di corte.
Nel 1715 passò a Bologna, dove studiò presso Giovan Gioseffo dal Sole, «che gl’insegnò tutto quel bello di Guido ch’egli cotanto sfoggiava e che il discepolo apprese ben tosto» (Scarabelli Zunti), e dove frequentò presumibilmente i corsi dell’Accademia Clementina.
A causa della cagionevole salute, alla morte del maestro (1719) fu richiamato dai genitori in patria.
Nella città natale esordì come artista autonomo nel 1721, quando consegnò ai padri cappuccini la pala d’altare con la Madonna col Bambino e santi (inaugurata il 21 gennaio) secondo uno stile elegante, evocando modelli classicistici emiliani. L’opera fu ammirata dal duca Francesco Farnese e gli valse la protezione dello stesso regnante, favorevole al progetto del giovane di portarsi nell’Urbe «acciocché maggiormente profitti in così bella e nobile professione della pittura» (documento del 16 gennaio 1721 reso noto da Cirillo - Godi, 1979).
Su tale scorta, e alla luce di certi romanismi rilevati nei suoi dipinti, studiosi moderni, tranne tuttavia Eugenio Riccomini e Ferdinando Arisi, hanno sostenuto l’ipotesi del viaggio a Roma, già immaginato da Corrado Ricci (1896), pur non concordando sul tempo in cui avrebbe avuto luogo: o subito dopo gli anni bolognesi (Ponzi, 1987); o fra il 1723 e il 1725 (Cirillo - Godi, 1979; Giusto, 1990; Crispo, 2012); o, ma in modo dubitativo, nel 1725 (Latimbri, 2007). La questione a ogni modo rimane aperta, per mancanza di prove indiscutibili sulla presenza del pittore nella capitale pontificia.
Tra il 1722 e il 1727 Tagliasacchi fu impegnato a eseguire per l’oratorio di S. Giuseppe a Cortemaggiore le due grandi tele con lo Sposalizio di Maria Vergine e il Transito di s. Giuseppe e le due minori raffiguranti la Visitazione e il Riposo durante la fuga in Egitto, che confermano una sensibile matrice accademica bolognese.
Sono sue le tre tele conservate presso la Cattedrale di Fidenza, provenienti dalla soppressione napoleonica, e raffiguranti rispettivamente S. Giovanni Battista, S. Placido e S. Flavia. La prima opera è databile al terzo decennio del secolo XVIII, mentre le altre due sono espressive di un fare pittorico più disinvolto. La figura della santa, raccolta in una fisionomia languidamente sfatta, si avvicina alla tipologia di repertorio adottata per le Vergini dal pittore tedesco Ignazio Stern (Leandri, 2010).
Implica piuttosto un modello dalsoliano l’Immacolata nel dipinto con s. Liborio in S. Lorenzo a Cortemaggiore (intorno al 1727; Giusto, 1990).
Punto fermo nella produzione dell’artista, l’Immacolata in S. Francesco a Fidenza, del 1728, si differenzia solenne e incisiva, proponendo un esemplare di sottile raffinatezza, con palesi riferimenti parmensi, indice di una ricerca in atto, cui si ricollegano le due grisailles raffiguranti Rebecca al pozzo e Mosè salvato dalle acque di collezione privata milanese (Latimbri, 2007).
Sulla scia romana riporta invece la Gloria di s. Ignazio commissionata dai gesuiti piacentini (oggi in Villa Mater Dei a Varese), che ha per modello un dipinto di soggetto analogo di Giacinto Brandi.
Tagliasacchi lavorò molto per committenti religiosi, eseguendo opere di notevole fattura, assai ricercate, con un rinnovato interesse per le cinquecentesche glorie parmensi (Correggio e Parmigianino).
Collocabile intorno al 1727 è la Madonna con s. Felice e altri santi alla Galleria nazionale di Parma, fra le tele più caratteristiche dello stile maturo dell’artista, che si rivela anche nella peculiare tipologia della figura mariana «modulata ad anfora» (Cirillo - Godi, 1979) e in un atteggiarsi sciolto e aggraziato.
Lo schema si ripropone in creazioni di bella esecuzione quali la Madonna e santi di Vigoreto e l’Immacolata coi ss. Fedele e Felice di Genivolta (1730 circa), riconosciute da mons. Franco Voltini (Ponzi, 1987, p. 48; Guazzoni, 1987) e nella cosiddetta Madonna dello Zitto di Piacenza, già nota a Luigi Lanzi, che vi sottolineava ascendenze dalla cultura romana (1809, p. 113).
Riflessi dell’attenzione per Stern appaiono con maggior evidenza nella paletta con Gesù e le ss. Gertrude e Margherita, probabilmente del 1729, in S. Sisto a Piacenza, e pure nell’Assunta con i santi protettori di Piacenza, nella Cattedrale della stessa città, composizione affollata nel solco della tradizione pittorica bolognese, il cui bozzetto si conserva nella collezione Molinari Pradelli di Bologna (intorno al 1730; Magnabosco, 1984).
Del 1730 è l’ovale col Beato Fedele da Sigmaringa nella chiesa fidentina di S. Francesco, offerto per carità ai cappuccini.
Dipinto di grande impegno e rilevanza, il S. Andrea Avellino nel duomo di Fidenza, commissionato nello stesso anno, fu celebrato con un sonetto da Carlo Innocenzo Frugoni.
Esemplare per l’originalità dello stile, che intesse forme rarefatte e schiarite, ricordando ancora Stern, è la Cena in Emmaus ordinata nel 1732 per l’altare del Ss. Sacramento in Cattedrale a Piacenza, e ora nella chiesa del Corpus Domini, giudicata da Gaspare Landi il capolavoro dell’artista.
Una Madonna col Bambino e santi firmata e datata 1737 nel recto, individuata in una collezione privata a Neuilly-sur-Seine (Parigi) da Lucia Fornari Schianchi (2001) e poi passata sul mercato londiese (Sotheby's, Londra, 7 dicembre 2006, lotto 213), va riconosciuta tra i «parecchi dipinti appena compiuti» giacenti nello studio del pittore alla sua morte, di cui offrono testimonianza le fonti, un gruppo che comprendeva anche alcune tele non ancora terminate. Il quadro fu elencato in un inventario dei beni della duchessa Enrichetta d’Este ritrovati nel 1740 nel suo palazzo di Piacenza detto «di Madama» (Leandri, 2014).
L’artista attese anche a un ritratto della duchessa, identificabile con il dipinto esistente presso l’Ordine costantiniano di S. Giorgio a Parma (Giusto, 1990).
Si ricordano inoltre, tra le opere incompiute, una Beata Vergine della cintura, commissionata assieme a un S. Agostino dal priore degli Eremitani di Parma nel dicembre 1736 e identificata con la tela usata a guisa di stendardo, presso le Cappuccine parmensi (Godi, 1979b), di qualità inferiore rispetto a un’altra versione in collezione privata parmense.
Nel 1979 è stato individuato nella Casa di Riposo di Fidenza un Cristo in croce con la Beata Vergine e s. Agostino, non datato (ibid.), ma presumibilmente identificabile con quello ordinato per una chiesa di Milano, ricordato sempre tra i quadri lasciati incompiuti.
S’inserisce nel catalogo grafico del pittore, già delineato da Giovanni Godi (1979a), la stampa ricavata da un rame, inciso con molte probabilità dallo stesso Tagliasacchi, in cui compare l’immagine della Beata Vergine della Crocetta (Gubitta, 2007).
Tagliasacchi si qualificò anche come eccellente ritrattista eseguendo, tra gli altri, tre ritratti del vescovo Gherardo Zandemaria (Parma, palazzo vescovile; Piacenza, seminario; Borgonovo Val Tidone, collegiata) e un’effige di Lavinia Ferrarini Dodi, datata 1734, apparsa sul mercato antiquario bresciano (Capitolium Art, Brescia, 14-22 novembre 2009, n. 374), segnalandosi pure una replica in collezione privata piacentina (Latimbri, 2012). Anche questi dipinti sono esemplari di un’arte raffinata, messa a punto guardando ai grandi maestri emiliani del Seicento (Annibale Carracci, Guido Reni, Guercino) e non solo, e raggiungendo esiti di squisita eleganza e armonia aggraziata.
Tagliasacchi morì il 3 dicembre 1737 nel palazzo del marchese Fabio Scotti a Castelbosco di Campremoldo Soprano nel Piacentino.
L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, IV, Bassano 1809, pp. 112 s.; P. Zani, Enciclopedia metodica critico-ragionata delle belle arti, parte I, XVIII, Parma 1824, p. 111; E. Scarabelli Zunti, Documenti e memorie (ms. fine sec. XIX), VII, cc. 207 ss.; C. Ricci, La Regia Galleria di Parma, Parma 1896, p. 165; A. Pettorelli, G.B. T., in Strenna piacentina, 1938, pp. 144-152; A. Bergamaschi, L’arte nella chiesa e nel convento dei Cappuccini di Fidenza, Fidenza 1968; E. Riccomini, I fasti, i lumi, le grazie: pittori del Settecento parmense, Milano 1977, pp. 43-56; F. Arisi, in Società e cultura nella Piacenza del Settecento (catal.), Piacenza 1979, I, pp. 115 s., III, pp. 17 s.; G. Cirillo - G. Godi, Apporti al catalogo e alla storia della pittura parmense del ’700, in Parma per l’Arte, XI (1979), pp. 19-23; G. Godi, G.B. T. grafico, in Gazzetta di Parma, 6 aprile 1979a, p. 3; Id., Ritrovamenti sul Tagliasacchi, ibid., 11 maggio 1979b, p. 3; G. Ponzi, in L’arte a Parma dai Farnese ai Borbone (catal., Parma), Bologna 1979, pp. 54-58; O. Magnabosco, in La raccolta Molinari Pradelli. Dipinti del Sei e del Settecento (catal., Bologna), Firenze 1984, p. 111; V. Guazzoni, in Genivolta, Soresina 1987, p. 146; G. Ponzi, G.B. T., 1696-1737 (catal.), Fidenza 1987 (con bibl.); M. Giusto, in La pittura in Italia. Il Settecento, II, Milano 1990, pp. 875 s.; F. Arisi, in Storia di Piacenza, IV.2, Piacenza 2000, pp. 1030-1035; L. Fornari Schianchi, Tagliasacchi, Peroni, Callani: aggiunte al catalogo della pittura parmense del Settecento, in Scritti di storia dell’arte in onore di Sylvie Béguin, Napoli 2001, pp. 505 s.; A. Aimi, Storia di Fidenza, Parma 2003, pp. 112-114; E. Gubitta, G.B. T.: grazia e maestria…, Fidenza 2007 (con bibl.); B. Latimbri, Apporti e osservazioni su G.B. T., in Strenna piacentina, 2007, pp. 87-96; Ead., Nuovi documenti relativi a G.B. T. (1697-1737), ibid., 2008, pp. 50-55; A. Leandri, Dipinti provenienti dalla soppressione napoleonica a Fidenza, in Aurea Parma, XCIV (2010), pp. 43-46; A. Crispo, in Quadri di un’esposizione… (catal.), a cura di A. Mazza, Bologna 2012, pp. 201 s.; B. Latimbri, Nel 1734 il fidentino G.B. T. ritrae Lavinia Ferrarini Dodi, in Il Risveglio, 12 ottobre 2012, p. 8; A. Leandri, Un dipinto di G.B. T. nell’appartamento privato di Enrichetta d’Este a Piacenza, in Strenna piacentina, 2014, pp. 95-102.