VALENTE, Giovanni Battista
VALENTE, Giovanni Battista. – Nacque a Cicagna (Genova) il 23 gennaio 1872 da Carlo, falegname intagliatore, e da Maria Dondero, ultimogenito di cinque figli.
Cresciuto in una famiglia di solida religiosità, della quale si nutrì nella sua formazione, compì gli studi nel seminario di Chiavari fino ai diciassette anni, quando lo abbandonò non avvertendo la vocazione, per proseguirli, grazie all’interessamento del fratello Luigi, all’epoca viceparroco a Genova, presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Genova. In quel periodo ebbe modo di ascoltare Giuseppe Toniolo, che segnò la sua formazione nell’aprirsi a un impegno sociale più pronunciato. Nel 1897, sempre a Genova, fondò Il Popolo italiano, giornale ispirato agli ideali della democrazia cristiana, di cui divenne direttore. Il foglio si trasferì a Torino, dove venne fuso con Democrazia cristiana, assumendo un carattere ancora più deciso a sostegno del movimento trascinato da don Romolo Murri, al quale Valente, per motivare lo spostamento nella capitale del Regno, aveva scritto della necessità di lasciare «questa città così positiva e incapace, col pericolo prossimo di vedersi esaurire o l’energia, la fibra psicologica o fisica, o quella [...] monetaria» (lettera del 15 maggio 1898, in R. Murri, Carteggio, 1970-2006, II, p. 87). Non a caso il 15 maggio 1899, sul Popolo italiano, come si continuò a chiamare, fu reso pubblico il primo manifesto sociale del movimento, passato alla storia come Programma di Torino e scritto insieme a Franco Invrea, nel quale non mancavano ambivalenze che tenevano conto del retroterra complessivo del mondo cattolico, come l’apertura al corporativismo, ma anche affermazioni audaci, tra le quali la fiducia nelle libertà politiche o l’antimilitarismo (Dalla prima Democrazia Cristiana..., 1983, pp. 265-267).
Il legame con il sacerdote marchigiano si rafforzò con la chiamata a Roma a coordinare Cultura sociale, dopo la chiusura del suo foglio. Ritenendola poco efficace nel sorreggere la propaganda, Valente convinse Murri a dare vita a Cultura del popolo, che tuttavia durò dal 1900 al 1901, per lasciare poi spazio a Il Domani d’Italia, un settimanale a forte tiratura per sostenere la struttura di «una ventura organizzazione di classe» (Il programma, in Il Domani d’Italia, 3 febbraio 1901), superando in tal modo le titubanze iniziali verso un modello conflittuale. Dopo la Instructio della congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari sulla democrazia cristiana, resa nota agli inizi del 1902, il periodico fu inglobato nell’Opera dei congressi, perdendo la sua autonomia. Valente fondò allora a Roma Il Garofano bianco, stampato a Tortona con l’appoggio del vescovo locale, come edizione modificata del settimanale della diocesi. Nel 1903 scrisse l’opuscolo didascalico All’osteria della luna, nel quale con l’artificio letterario di un dialogo con un operaio socialista esponeva i principi del movimento sociale cristiano. Dopo la crisi dell’organismo di coordinamento del mondo cattolico, senza seguire Murri nella tensione con la gerarchia ecclesiastica, nel 1904 Valente fu ad Ancona, redattore capo del quotidiano Italia nuova, per poi tornare l’anno seguente a Roma a fondare il settimanale Vita nuova!, che ebbe esistenza breve. Nel 1905 accettò l’invito del sacerdote tedesco Karl Sonnenschein, conosciuto anni prima, a trasferirsi a Elberfeld per dirigere i sindacati cristiani italiani in Germania. A contatto con le condizioni degli emigrati, di cui promosse attivamente la tutela, Valente maturò una più chiara propensione sindacale, che si affinò nella collaborazione con la Zentral Verband der Christlichen Gewerschaften, un’organizzazione di matrice interconfessionale, autonoma dai partiti e indipendente dalla gerarchia ecclesiastica. Lì conobbe l’italiana Lidia Fantoni, che sposò a Torino nel 1908 e con la quale ebbe cinque figli: Silvio, Clara, Giulio, Marco e Giorgio.
Dopo aver diretto l’organo in lingua italiana del sindacato, nel 1913 Valente tornò in Italia, con l’obiettivo di porre le basi per un moderno sindacalismo attraverso Il Lavoro italiano, che assorbiva quattro testate di organizzazioni differenti. Il momento più importante fu il Convegno sociale e sindacale cristiano dell’estate dello stesso anno, nel quale tenne la relazione ufficiale.
Assunta la direzione dell’Ufficio del popolo di Genova, nel 1916 Benedetto XV, il quale lo aveva particolarmente apprezzato al di là della conterraneità, operò per la nomina dell’esponente ligure a segretario dell’Unione economico-sociale, presieduta dal conte Carlo Zucchini, che ne trasferì la sede centrale nella città natale di Faenza. In quel ruolo Valente si prodigò, proprio nel corso della guerra, per accelerare il progetto di fondazione di una centrale sindacale bianca, ispirata al solidarismo cristiano, pur in una prospettiva globale dei problemi economici e sociali. Tra il 1917 e il 1918, dopo avere ottenuto l’assenso del papa, indisse una serie di riunioni allargate, alle quali parteciparono diversi dirigenti locali delle organizzazioni sindacali e non poche figure di rilievo nazionale, tra cui Giovanni Bertini, Augusto Ciriaci, Giuseppe Corazzin, Angelo Mauri e Umberto Tupini, per porre le fondamenta per la costituzione della Confederazione italiana dei lavoratori (CIL), su base associativa e su un’identità limpidamente economica, pur nel «rispetto dei sentimenti morali, religiosi e italiani» (Lo statuto, in La Confederazione italiana..., 1981, pp. 17 s.). Pur avendo una spiccata apertura operaia secondo gli intendimenti originari, la CIL si appoggiò sulla consistente base rurale preesistente delle organizzazioni ‘bianche’. Valente, poco dopo, in occasione dell’anniversario dell’enciclica Rerum novarum, ebbe a lanciare un manifesto di mobilitazione per liberare i lavoratori italiani, attraverso la «sacra causa», dal «giogo poco men che servile» in cui erano sprofondati: «la classe operaria impari a maneggiare la potente ma difficile arma della propria organizzazione, perché questo nostro baluardo sempre meglio s’innalzi e si rinforzi a difesa e a protezione del lavoro, non contro, ma entro la legge che governa la Vita» (Aspetti e momenti..., 1968, p. 166).
La Commissione esecutiva provvisoria lo nominò segretario generale, ruolo che ricoprì fino al 21 dicembre 1918. Pochi mesi dopo anche Corazzin fu sostituito alla guida della struttura centrale, per lasciare spazio a un triumvirato composto da Giovanni Gronchi, Ulisse Carbone e lo stesso Valente. La soluzione temporanea durò per circa un anno, fino al I Congresso della Confederazione, che nel marzo del 1920 si celebrò a Pisa, sancendo la nomina di Gronchi alla massima carica. Valente assunse la segreteria generale della Confederazione per la mutualità e le assicurazioni sociali e la direzione del Domani sociale, che al contempo assurgeva a organo della CIL.
La nomina di Gronchi, stando almeno alle sue annotazioni autobiografiche, fu imposta da Luigi Sturzo, ritenuto senza mezze misure di «temperamento dittatoriale» nel soverchiare l’autonomia del sindacato a favore del Partito popolare italiano (Aspetti e momenti..., 1968, pp. 207-209). Probabilmente non fu l’incrinatura dei rapporti a compromettere l’elezione di Valente nel 1921 alla Camera dei deputati nella lista dello scudo crociato, dopo che nel gennaio del 1919 era stato tra i fondatori del soggetto politico, di cui poi fu anche consigliere nazionale per un anno. Resta il fatto che Valente, all’indomani della fondazione del Partito di Sturzo, mentre aveva auspicato «relazioni di buon vicinato», non aveva mancato di precisare in una dichiarazione resa al Tempo che «organizzazione economica e organizzazione politica agiscono in piani differenti», lasciando a «una buona convenzione» la definizione dei rapporti di interesse comune «con piena salvaguardia della reciproca, specifica autonomia» (ibid., p. 206).
In quel periodo, comunque, Valente promosse alcune iniziative di carattere politico, come il tentativo, attuato attraverso la mediazione dell’onorevole Livio Tovini, di presentare una proposta di legge per la rappresentanza di categoria nell’assemblea legislativa o l’azione per il riconoscimento giuridico dei sindacati. Sul tema della gestione e della proprietà aziendale, la CIL avanzò anche, senza successo, una proposta al governo Giolitti, nella fase più acuta dell’occupazione delle fabbriche del biennio rosso. Il partecipazionismo operaio fu al centro dell’interesse di Valente, il quale presentò un apposito ‘Programma’ al Congresso internazionale dei sindacati cristiani, che si tenne a Innsbruck dal 21 al 23 giugno 1922.
Si era alla vigilia dell’ascesa del fascismo, dalla cui pressione squadrista Valente cercò di salvaguardare l’intelaiatura organizzativa della CIL. Al Consiglio nazionale della struttura, del 22 dicembre 1922, propose comunque una «unione sindacale» comprendente anche la componente socialista e fascista, per una «dignitosa pacificazione», attraverso un «mutuo incontro e riconoscimento» che, dentro condizioni ben delineate, senza accedere all’unità, salvaguardasse la «libertà sindacale» (La Confederazione italiana..., 1981, pp. 506 s.). Nel 1926 Valente arrivò anche a mostrare interesse verso il sistema corporativo del regime, inizialmente concedendo fiducia a Benito Mussolini. Le ‘leggi fascistissime’, con lo scioglimento forzato di tutte le organizzazioni, lo costrinsero a cercare lavoro. Già nel 1924 aveva tentato di istituire una cassa previdenziale per il clero, che più di dieci anni dopo, con la mediazione di monsignor Nazareno Orlandi di Siena, si sarebbe risolta in un fallimento. Nel 1926, su interessamento di Giuseppe De Michelis, fu assunto al Commissariato generale dell’emigrazione a Salerno, dal quale due anni dopo venne rimosso, formalmente per una riduzione del personale, in realtà perché non gradito a livello politico. Nel 1932 accettò l’aiuto di padre Pietro Tacchi Venturi per entrare come corrispondente vaticano del Popolo d’Italia, il quotidiano fondato da Mussolini e divenuto organo del regime. L’esperienza, tuttavia, durò poco, per la sostituzione con un giornalista pienamente allineato. Nel 1939 fu assunto all’ufficio stampa del ministero delle Finanze, dal quale fu licenziato nel 1943. Durante l’occupazione nazista della capitale, riprese la collaborazione con il quotidiano cattolico romano L’Avvenire, sul quale affrontò ripetutamente i temi sindacali a lui cari. Non mancò di riflettere in prospettiva, come appare in Dopoguerra e ricostruzione, apparso in forma completa postumo nella sua autobiografia, alla quale si dedicò fino all’ultimo. Dopo la liberazione di Roma (giugno 1944), riprese a tessere i contatti per la riorganizzazione sindacale, rimanendo diffidente sull’ipotesi di unità sostenuta dall’amico Achille Grandi, succedutogli a suo tempo alla segreteria della CIL. Dopo aver perso nel 1941 il figlio Silvio in Albania durante un combattimento aereo, Valente fu colpito da un primo infarto, che si ripeté nel settembre del 1944.
Morì nella sua abitazione romana il 23 novembre successivo, dopo aver accentuato il ritiro solitario.
Fonti e Bibl.: Molte lettere di Valente, presso la fondazione di Urbino a lui intitolata, sono state pubblicate in R. Murri, Carteggio, I-IV, a cura di L. Bedeschi (poi di S. Urso), Roma 1970-2006. Altre missive, depositate nel rispettivo fondo archivistico alla Biblioteca apostolica Vaticana, si trovano ora in G. Toniolo, Lettere, raccolte da G. Anichini, ordinate e annotate da N. Vian, Città del Vaticano 1952-1953. La fitta rete di contatti tenuti da Valente ha lasciato tracce consistenti nella corrispondenza con i principali protagonisti del movimento cattolico, rinvenibili presso i rispettivi archivi, tra cui Achille Grandi, Angelo Mauri e Filippo Meda (Milano, Archivio per la storia del Movimento sociale cattolico in Italia), Luigi Sturzo (Roma, Istituto Luigi Sturzo), Carlo Zucchini (Faenza, Biblioteca Carlo Zucchini). Documentazione relativa all’impegno nell’Unione economico-sociale e nella CIL si trova nell’Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI (ISACEM). Presso l’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia Mario Romani sono conservati cospicui materiali sulla sua militanza sindacale. L’intenso coinvolgimento è documentato in La Confederazione italiana dei lavoratori 1918-1926. Atti e documenti ufficiali, a cura di A. Robbiati, Milano 1981. Importante è il suo scritto, Aspetti e momenti dell’azione sociale dei cattolici in Italia 1892-1926 (Saggio autobiografico), a cura di F. Malgeri, Roma 1968. Per gli aspetti biografici sono da tenere presenti gli affondi della figlia Clara Valente: G.B. V. mio padre, edizione fuori commercio (copia in Biblioteca dell’ISACEM), e in versione ridotta G.B. V., mio padre, in Orientamenti sociali, XXXIV (1978), 1, pp. 85-91. L’insieme del suo percorso è ricostruito dettagliatamente in Dalla prima Democrazia Cristiana al sindacalismo bianco. Studi e ricerche in occasione del centenario della nascita di G.B. V., Roma 1983, mentre non va tralasciato il pur sintetico M. Guasco, G.B. V. nella storia del movimento cattolico in Italia, in Humanitas, XXXIII (1978), giugno, pp. 326-330. A un aspetto specifico è dedicato P. Capitelli, La «Democrazia cristiana» nella diocesi di Tortona durante l’episcopato di mons. Igino Brandi (1890-1914), in Julia Dertona, s. 2, XXII (1975), 53-54, pp. 75-100.