Giovanni Battista Vasco
Giovanni Battista Vasco appartiene a pieno titolo al gruppo di intellettuali piemontesi e lombardi che animano la diffusione delle idee illuministiche nella seconda metà del Settecento. Il suo contributo alla teoria economica si caratterizza per l’originalità e l’autonomia di pensiero con cui giunge a formulare idee molto innovative sulla gestione liberistica dell’economia, sulla moneta, sulla disoccupazione e la povertà. A questo si associa una vasta e approfondita attività di pubblicista che porta Vasco a contatto con il panorama culturale europeo del suo tempo.
Giovanni Battista Vasco (indicato anche con il nome di Giambattista) nasce a Torino il 10 ottobre 1733. È il secondogenito del conte Nicolò e di Angelica Misseglia. Il primogenito è Dalmazzo Francesco, a cui viene assegnato il feudo appartenente alla famiglia, a Bastia. Le famiglie materna e paterna appartengono alla nobiltà sabauda che si distingue nel servizio all’amministrazione del Regno. Nello stesso anno di nascita di Giovanni Battista, il padre è trasferito da Pinerolo a Torino per ricoprire l’incarico di sovrintendente generale della Real casa, una mansione di rappresentanza delle prerogative della corona nella città (Venturi 1963, p. 758).
La condizione di secondogenito e l’intelligenza e vivacità intellettuale indirizzano il giovane Vasco alla carriera negli ordini religiosi. Nel 1744, a soli 11 anni, espone in latino delle tesi di teologia al cospetto del nunzio apostolico Ludovico Merlini (Perna 1991, p. 1033). Nel 1750 si laurea in legge a Torino. L’anno successivo veste l’abito di domenicano, con il nome di Tommaso, a Garessio (oggi in provincia di Cuneo). Nel 1755 viene trasferito a Bologna, dove consegue la laurea che dà accesso al lettorato. Nel 1760 viene destinato al convento di San Domenico a Genova, dove rimane fino al 1764, anno in cui ricopre la cattedra di teologia scolastica e storia ecclesiastica all’Università di Cagliari.
Le informazioni sulla formazione intellettuale di Vasco sono scarse; in particolare, non si hanno notizie accurate sulle esperienze che lo portano negli anni successivi ad aderire con entusiasmo al movimento riformatore del secondo Settecento (Venturi 1963, p. 759; Perna 1991, p. 1034). L’esperienza in Sardegna dura solo due anni, ed è per lui fonte di soddisfazione e di inquietudine allo stesso tempo. Infatti, da un lato egli matura una visione sempre più articolata sulla situazione di arretratezza dell’economia sarda, venendo a contatto con le condizioni dei contadini e dei pastori di quella regione, e, dall’altro, benché le sue lezioni siano molto seguite, cresce in lui un grande senso di insofferenza, legato ai rapporti con i colleghi, alla mancanza di una biblioteca e alle precarie condizioni di salute (Perna 1991, p. 1034).
Tra il 1766 e il 1772 Vasco vive tra Cremona e Milano, e partecipa da vicino, con la sua attività di saggista e pubblicista, alle attività del gruppo di riformatori lombardi. Intrattiene rapporti diretti con Cesare Beccaria e con i fratelli Pietro e Alessandro Verri. In questi anni cerca di accedere, senza successo, a un incarico di insegnamento universitario. Nel 1772 pubblica Della moneta. Saggio politico, per sostenere la sua candidatura alla cattedra di economia pubblica, già ricoperta da Beccaria, che viene poi assegnata ad Alfonso Longo. Rientra a Torino e, con difficoltà, cerca di partecipare alla vita culturale della città e di ottenere riconoscimenti ufficiali. Nel 1774 abbandona il saio e rimane legato al vincolo di sacerdote secolare (Venturi 1963, p. 762).
Negli anni Ottanta, dopo aver atteso per quattro anni, viene associato all’Accademia delle scienze di Torino, a cui partecipa con inchieste tecniche di argomento agronomico e sull’industria serica. Fra il 1787 e il 1788 è, assieme al fratello Dalmazzo, redattore della «Biblioteca oltremontana», rivista pubblicata da un gruppo di giovani aristocratici con l’obiettivo di sprovincializzare l’ambiente culturale torinese (Perna 1991, p. 1006).
Nel 1791 la repressione postrivoluzionaria colpisce duramente i fratelli Vasco. Dalmazzo viene incarcerato con un’accusa di attività sovversiva e muore pochi anni dopo. Giovanni Battista, dopo aver trascorso tre anni a Milano, trova ospitalità presso l’amico Nicolao Incisa della Rocchetta, nella cui tenuta, presso Rocchetta Tanaro (oggi in provincia di Asti), muore l’11 novembre 1796.
Secondo Franco Venturi (1963, p. 757), Vasco è «il maggiore economista piemontese del Settecento». Questo apprezzamento è comunque postumo. In vita, Vasco ha dovuto combattere con tenacia contro un ambiente culturale che non gli ha mai riconosciuto uno spazio di parola ufficiale, né a Milano né a Torino. La sua storia sembra proprio racchiudersi in questa ricerca continua e infruttuosa di una posizione nella classe dirigente del tempo. L’originalità e l’importanza del suo lavoro vengono alla luce solo nel secolo successivo.
All’inizio dell’Ottocento, le opere principali di Vasco vengono conosciute grazie alla loro pubblicazione in Scrittori classici italiani di economia politica (nei tomi dal 33 al 35), raccolta curata da Pietro Custodi, il quale, nell’introduzione al tomo 33 (1804, p. VIII), auspica che tale pubblicazione serva a onorare la memoria di Vasco e a «vendicarla così dall’ingiusta trascuranza de’ suoi contemporanei».
Nel corso dell’Ottocento, l’analisi del lavoro di Vasco è poco approfondita. Francesco Trinchera, per es., nel suo Corso di economia politica (1854, p. 500), analizza le opere di Vasco in poche pagine, e conclude la sua rassegna dicendo che, a eccezione del saggio sulla moneta, egli «non va certo ricordato per originalità d’idee e vedute nuove, avendo egli poco più poco meno ripetute le cose stesse da altri già dette».
Di tono molto più elogiativo è il saggio commemorativo di Casimiro Danna (1862, pp. 3-40), pubblicato in occasione dell’inaugurazione di un monumento dedicato a Vasco presso l’Università di Torino.
Complessivamente nell’Ottocento, oltre alla vicenda biografica, Vasco viene generalmente ricordato come precursore del liberismo (Perna 1991, pp. 1039-40). Questo è un tema ricorrente nelle sue opere, e si dipana su diversi temi di ricerca, dalla moneta alla disoccupazione e alla povertà.
Il primo lavoro di Vasco sui temi economici, che segna una svolta decisiva rispetto al percorso intellettuale che lo aveva portato ad approfondire gli studi di teologia, è I contadini. La felicità pubblica considerata nei coltivatori di terre proprie (1769). Il saggio è scritto in risposta a un quesito della Società libera economica di San Pietroburgo sull’utilità pubblica che deriva dalla proprietà della terra ai contadini. Il quesito proposto era di grande attualità alla fine del Settecento, e su questo tema si approfondivano e articolavano nel dibattito europeo istanze egualitarie e riformiste. In questo scritto Vasco si occupa del tema con competenza, citando Pietro Verri, Beccaria, ma anche Jean-Jacques Rousseau, Bernard Le Bovier de Fontenelle e Voltaire.
Per Vasco la questione della proprietà delle terre è un tema strettamente politico. Per ragionare sulla politica si possono seguire due strade: la prima è quella di ragionare «intorno all’indole, al carattere, al cuore insomma, alla natura dell’uomo» (I contadini, in Opere, a cura di M.L. Perna, 1° vol., 1989, p. 39); la seconda è quella di derivare i propri precetti dalla storia. Vasco si propone di utilizzare il primo metodo di indagine, lasciando ad altri le «istoriche cognizioni». Non ha bisogno della storia per indagare i comportamenti umani, perché questi sono immutabili:
in tutti i tempi e in tutti i luoghi il cuor dell’uomo è il medesimo, ed è comune in tutti e simile la sorgente di tutte le passioni, di tutte le virtù, di tutti i vizi (p. 39).
Questa premessa metodologica denuncia lo sforzo di astrazione di Vasco che è funzionale alla dimostrazione dell’assoluta scientificità delle sue conclusioni sul tema della proprietà della terra.
Il lavoro è diviso in due parti. Nella prima si analizza il «bene pubblico» che deriva allo Stato dal fatto che i contadini siano proprietari delle terre; nella seconda si propone una misura quantitativa delle dimensioni massime e minime di terra da assegnare ai proprietari.
L’obiettivo della proposta politica è di accrescere la «felicità» della popolazione. Su questo tema, molto discusso nella seconda metà del Settecento, Vasco offre la sua personale visione, spiegando che la felicità di una nazione non dipende dalla disponibilità di beni materiali. Cita le Meditazioni sulla felicità (1763) di Pietro Verri, in cui si spiega che «l’infelicità è l’eccesso dei desideri sopra le forze», ma aggiunge che questi concetti, troppo astratti, non possono essere compresi da tutti, per cui offre una definizione di felicità più operativa, che riguarda il modo di procurare allo Stato «la copia dei beni e la diminuzione dei mali» (p. 42). I beni sono «la libertà e la ricchezza» e i mali diminuiscono all’aumentare dei beni. Nel Piano di giurisprudenza politica (1771), Vasco scriverà che «la politica non è che l’arte di governare una nazione, che vuol dire renderla felice» (in Opere, cit., 1° vol., p. 223).
A partire da questi presupposti, Vasco costruisce il suo ragionamento sull’opportunità di assegnare la proprietà delle terre ai contadini. Questo farebbe aumentare la «libertà della nazione» e la ricchezza dello Stato perché, e su questo tema Vasco tornerà anche negli anni successivi con argomenti chiaramente fisiocratici, «le vere ricchezze di uno Stato consistono sempre nei prodotti del terreno» (I contadini, cit., p. 46; v. anche Progetto per la semplificazione de’ tributi in Savoia, 1781, in Opere, cit., 1° vol., p. 399).
Vasco spiega che la produttività della terra aumenta se questa è coltivata dai proprietari, perché essi beneficiano maggiormente dell’aumento della produzione generato dall’incremento degli investimenti e dall’utilizzazione dell’«arte dell’agricoltura». I contadini non hanno questi incentivi se non sono proprietari, e i proprietari, se non sono agricoltori, difficilmente si interessano dei miglioramenti della produttività. In conclusione, solo se i contadini saranno proprietari «migliorerà l’agricoltura e si accresceranno così le ricchezze dello Stato» (I contadini, cit., p. 48). I vantaggi che deriverebbero allo Stato sono molteplici: sarebbe controllato il ribellismo dei senza terra (pp. 49-51), lo Stato sarebbe meglio difeso militarmente perché più popolato (pp. 51-57) e anche la difesa dei confini da parte dei contadini sarebbe più «valorosa» (pp. 57-62).
Nella seconda parte del saggio, Vasco indica i limiti massimi e minimi da porre al possedimento delle terre, che dovrebbero essere stabiliti tramite una legislazione diretta e indiretta. Egli definisce anche come unità teorica di misura del terreno il «manso», vale a dire «una limitata misura di terre, e principalmente quella che poteva essere da un uomo solo coltivata o che bastava pel mantenimento di una famiglia» (p. 69). Non è quindi sufficiente per Vasco essere semplicemente a favore di una distribuzione delle terre ai contadini, tema peraltro molto diffuso fra gli illuministi della scuola di Antonio Genovesi. Il suo discorso è portato alle estreme conseguenze: a ogni famiglia va assegnato almeno un manso, fino a un massimo di otto-nove, mentre per i celibi il tetto massimo è di quattro mansi.
Vasco è consapevole che questo piano di riforma non si può adottare laddove sono ormai consolidati i diritti di proprietà, ma esso è realizzabile nelle «nuove società d’uomini» come in America (p. 78). In tutti gli altri casi, che sono la maggioranza, occorre predisporre leggi indirette per promuovere la divisione dei terreni accentrati nelle mani di un solo proprietario e, soprattutto, per indurre i proprietari a coltivare personalmente le terre.
In queste pagine prende spazio anche una difesa accorata dei contadini, in cui si cerca di combattere «l’opinione volgare che riguarda il contadino come un uomo della più bassa lega» (p. 84).
Nelle pagine sulle leggi indirette, Vasco aderisce alla visione egualitaria del fratello Dalmazzo, che nei suoi scritti aveva proposto l’abolizione del diritto di redazione del testamento, allo scopo di evitare la concentrazione delle proprietà e la disparità delle ricchezze.
Accanto alle questioni della proprietà della terra e della sua distribuzione, l’altro tema ricorrente nelle opere di Vasco è l’analisi delle questioni monetarie e del debito pubblico. Il suo primo contributo in merito è Della moneta. Saggio politico (1772). Questa tematica era ampiamente dibattuta nell’ambiente milanese degli anni Sessanta del Settecento, e anche in questo caso il contributo di Vasco si distingue per l’originalità della tesi avanzata e per i suggerimenti operativi, vale a dire la proposta di politica monetaria che contraddistingue la trattazione (Faucci 2000, pp. 118-20; Marrocco 1978, pp. 57-61; Venturi 1969, pp. 443-522, 685-702).
Con stile estremamente sobrio e chiaro, Vasco spiega che
il valor vero della moneta non è altro un rapporto ai generi con cui si cambia, ossia che la moneta vale precisamente tutto ciò che si suole esibire in commercio per acquistarla (Della moneta, in Opere, cit., 1° vol., p. 334).
La sua proposta è di creare una moneta a corso legale, coniata con un metallo convenzionale come il rame, a cui ancorare il valore di tutte le altre monete. Egli è consapevole che il «disordine» generato dalla circolazione monetaria può essere superato solo utilizzando una misura convenzionale per misurare il cambio con altre monete.
Propone inoltre l’adozione della progressione decimale nello stabilire i diversi tagli delle monete, perché in questo modo vengono semplificate le operazioni di calcolo. Secondo Vasco, per l’economia dello Stato è controproducente cercare di controllare la circolazione delle monete straniere attraverso leggi ad hoc. Tutti gli interventi producono nel sistema di circolazione della moneta delle distorsioni che si riversano sull’economia reale e rallentano la produzione. Per questo egli conclude che «il ben pubblico richiede la più estesa libertà in materia di monete, eccettuatane la sola fabbricazione, che dev’essere diritto privativo del principe» (p. 335).
Nel 1790 Vasco torna a occuparsi di questioni monetarie in Della cartamoneta. Saggio politico, in cui esprime il proprio punto di vista sull’uso della cartamoneta (vale a dire le cambiali e tutte quelle forme di obbligazioni a pagare che il possessore del titolo di credito ha diritto a incassare) e sulla formazione del debito pubblico (Marrocco 1978, pp. 129-33).
L’obiettivo del saggio è quello di confrontare i benefici e i rischi che sono connessi alla diffusione della circolazione della cartamoneta. Vasco è contrario all’espansione di questo modello di moneta, perché essa è basata sulla fiducia. Il valore della cartamoneta è ancorato solo all’opinione pubblica: «essa è per sua natura vacillante e può divenire disfavorevole anche senza giusto motivo» (Della cartamoneta, in Opere, cit., 2° vol., 1991, p. 499). Questa incertezza, data anche dal fatto che la cartamoneta può essere facilmente falsificata, potrebbe compromettere l’intero sistema monetario nel caso in cui si diffondesse un’ondata di sfiducia.
Quindi, mentre Vasco è favorevole alla circolazione di una moneta metallica a corso legale, nutre molte perplessità su un sistema basato sulla cartamoneta che, alla fine del Settecento, non era percepito come sufficientemente affidabile. Per corroborare questa sua posizione, cita un passaggio di An inquiry into the nature and cause of the wealth of nations (1776) di Adam Smith, in cui anche lo scozzese avverte la problematicità della diffusione di questi mezzi di pagamento (libro 1°, II, cap. III).
L’ultimo saggio in cui Vasco si occupa di questioni monetarie è L’usura libera (1792), una memoria scritta in risposta al concorso bandito dall’imperatore Giuseppe II nel 1789 su «che cos’è l’usura e quali sono i mezzi di moderarla senza leggi penali» (L’usura libera, in Opere, cit., 2° vol., p. 657). Nella memoria, dopo una dettagliata ricostruzione delle definizioni e delle prassi adottate nel passato in materia di usura, Vasco argomenta che «l’usura non è vietata dalla legge naturale o delle genti», e prosegue affermando che
chi si priva per qualche tempo del suo danaro per darlo altrui, ha diritto ad esigerne quella mercede che l’altro è pronto ad offerirgli, il che vuol dire che il contratto usurario deriva come ciascun altro dalla legge naturale (p. 713).
In virtù del fatto che l’usura è stata inserita progressivamente negli apparati giuridici delle diverse nazioni, Vasco arriva a sostenere che l’introduzione di una legge che la vietasse in modo indiscriminato sarebbe nociva per lo Stato. L’usura
facilita la circolazione del danaro, e lo fa comunemente passare […] dagli scrigni […] nelle mani industriose di chi lo impiega nell’agricoltura, nel commercio, nelle manifatture, nelle arti (p. 725).
La soluzione prospettata da Vasco, ancora una volta, si colloca nel solco della liberalizzazione del mercato dei capitali. Il ragionamento è serrato:
1°. l’uso del danaro ha nel comune commercio un prezzo come ogni altra cosa venale; 2°. il prezzo di ogni cosa venale non è arbitrario, ma determinato dal confronto del bisogno dei ricercatori con quello degli esibitori; 3°. dunque da questo confronto sarà anche determinato il prezzo dell’uso del danaro; 4°. quanto saranno maggiori e più premurose le esibizioni in confronto delle ricerche del danaro, tanto minore sarà il prezzo dell’uso del medesimo o sia l’usura; 5°. quanto più libera sarà la contrattazione dei mutui, tanto sarà maggiore il numero e più cospicua la premura delle esibizioni; 6°. dunque quanto saranno i contratti di mutuo più liberi, tanto minore sarà l’usura (p. 736).
In questo passaggio viene spiegato, con chiarezza e assoluta modernità, il funzionamento del mercato dei fondi mutuabili. Il costo del denaro (l’usura), al pari del prezzo degli altri beni rintracciabili in commercio, è determinato dai comportamenti di offerta e domanda di fondi mutuabili da parte dei detentori di capitale, da un lato, e degli imprenditori dall’altro. Il costo del denaro, vale a dire il tasso di interesse, si mantiene tanto più basso quanto maggiore è la quantità di capitali messi a disposizione per gli investimenti. Quindi, in definitiva, la soluzione al problema dell’usura, intesa come degenerazione del mercato dei capitali con tassi di interesse eccessivi, va rintracciata per Vasco nella liberalizzazione dei mercati dei capitali.
L’ultimo tema di cui Vasco si occupa con continuità nella sua produzione da saggista, è quello dell’analisi del mercato del lavoro, e in particolare dei problemi della disoccupazione, della povertà e della scarsa mobilità dei lavoratori fra i diversi settori produttivi. Nel 1788 scrive la memoria Risposta al quesito proposto dalla Reale Accademia delle Scienze con suo programma de’ 4 gennaio 1788. L’Accademia torinese aveva posto un quesito relativo al problema della disoccupazione dei lavoratori della seta, che si trovavano in una condizione di «estrema indigenza» a causa della crisi dell’industria serica piemontese del 1787. Il settore aveva subito un drastico ridimensionamento a causa della scarsità di materia prima, dovuta alle avverse condizioni atmosferiche. Vasco contribuisce con una risposta che viene pubblicata prima della scadenza del bando. La memoria non risulta fra le vincitrici, ma viene comunque segnalata dalla commissione del concorso (Perna 1991, pp. 1008-1010).
Nella memoria Vasco dichiara di non essere d’accordo con la posizione maggioritaria secondo cui sarebbe necessario l’intervento dei proprietari dei filatoi o dello Stato per compensare la caduta del reddito dei lavoratori disoccupati a causa della crisi.
Se fossero i nostri operai gratuitamente soccorsi, si correrebbe grave rischio che molti di essi abbracciassero il mestiere di mendico, che mancasse negli anni seguenti a’ filatoi il necessario numero di operai, che restasse aggravata la società d’un maggiore numero d’oziosi (Risposta al quesito, in Opere, cit., 1° vol., p. 757; v. anche Mémoire sur le causes de la mendicité et sur les moyens de la supprimer, 1790, in Opere, 2° vol., pp. 513-55).
Secondo Vasco, se la disoccupazione è temporanea, si potrebbero comunque tenere occupati i lavoratori anche «a cose inutili», pur di evitare che rimangano inattivi. A questo proposito egli propone che durante il periodo di disoccupazione i lavoratori possano essere impiegati per apportare agli impianti dei «miglioramenti», intesi sia come restauri degli opifici sia come applicazione di nuove tecnologie alla produzione. Gli interventi potrebbero accrescere la produttività del filatoio nel momento in cui si ripristinassero le normali condizioni della produzione (Risposta al quesito, cit., p. 759).
Se la disoccupazione dei lavoratori non è temporanea, allora lo Stato deve evitare di intervenire per sostenere il reddito dei disoccupati, perché questo porterebbe un danno alle casse dell’erario. L’alternativa potrebbe essere la migrazione dei disoccupati verso altri settori produttivi, se questo non sarà ostacolato dalle regole delle corporazioni dei mestieri (p. 785; v. anche Delle università delle arti e mestieri, 1793, in Opere, cit., 2° vol., pp. 799-843).
Infine Vasco s’interroga sulla stessa opportunità di sovvenzionare un settore produttivo in perdita, e propone una sorta di analisi costi-benefici per stimare quali benefici derivino al Piemonte dalla produzione di questo settore rispetto ai costi di mantenimento di un settore in crisi. Se i costi superano i benefici, allora si potrebbe pensare a un sistema di emigrazione assistita degli operai (Risposta al quesito, cit., pp. 785-87).
Tutte le opere di Vasco, a eccezione della trascrizione delle lezioni di teologia presso l’Università di Cagliari, sono state pubblicate in Opere, a cura di M.L. Perna, 2 voll., Torino 1989-1991; la curatrice ha inoltre redatto una bibliografia completa e commentata nel 2° vol., pp. 971-1032.
A tale edizione si rimanda per le opere citate nel presente saggio. In particolare:
I contadini. La felicità pubblica considerata nei coltivatori di terre proprie, 1769, 1° vol., 1989, pp. 39-89.
Piano di giurisprudenza politica, 1771, 1° vol., pp. 223-58.
Della moneta. Saggio politico, 1772, 1° vol, pp. 261-340.
Progetto per la semplificazione de’ tributi in Savoia, 1781, 1° vol., pp. 399-417.
Risposta al quesito proposto dalla Reale Accademia delle Scienze con suo programma de’ 4 gennaio 1788, 1788, 1° vol., pp. 753-95.
Della cartamoneta. Saggio politico, 1790, 2° vol., 1991, pp. 445-504.
Mémoire sur le causes de la mendicité et sur les moyens de la supprimer, 1790, 2° vol., pp. 513-55.
L’usura libera, 1792, 2° vol., pp. 657-782.
Delle università delle arti e mestieri, 1793, 2° vol., pp. 799-843.
P. Custodi, Notizie di Giambattista Vasco, in Scrittori classici italiani di economia politica, a cura di P. Custodi, t. 33, Milano 1804, pp. V-VIII.
F. Trinchera, Corso di economia politica, 2° vol., Torino 1854.
C. Danna, Intorno al monumento a Giovanni Battista Vasco inaugurato il 3 di giugno 1862 nella regia Università di Torino, Torino 1862.
F. Venturi, Giambattista Vasco. Nota introduttiva, in Illuministi italiani, 3° vol., Riformatori lombardi, piemontesi e toscani, a cura di F. Venturi, Milano-Napoli 1963, pp. 757-68.
F. Venturi, Settecento riformatore, 1, Da Muratori a Beccaria, Torino 1969.
G. Marrocco, Giambattista Vasco, Torino 1978.
M.L. Perna, Nota ai testi, in G. Vasco, Opere, 2° vol., 1991, pp. 1033-43.
R. Faucci, L’economia politica in Italia. Dal Cinquecento ai nostri giorni, Torino 2000, pp. 117-22.