Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’esordio di Giovanni Bellini è influenzato dalla cultura tardo-gotica del padre, dal quale ben presto si emancipa sulla scia dei dipinti di Andrea Mantegna e delle sculture padovane di Donatello. Il suo delicato lirismo, che abbraccia insieme uomo e natura, conoscerà un nuovo sviluppo con l’arrivo a Venezia di Antonello da Messina tra il 1475 e il 1476. All’inizio del Cinquecento, Bellini saprà cogliere prontamente le novità della pittura giorgionesca.
Giovanni Bellini, figlio del pittore tardo-gotico Jacopo Bellini a capo di un’affermata bottega artistica di cui fa parte anche il fratello maggiore Gentile (1430 ca.-1507), è il protagonista indiscusso della pittura veneziana del primo Rinascimento.
Raro esempio di longevità artistica, ha saputo continuamente rinnovarsi nel corso degli anni.
I suoi esordi sono sotto l’egida del padre, che compie una prima, cauta apertura al nuovo linguaggio rinascimentale quattrocentesco. Tuttavia i due caratteri fondamentali della rinascenza, la riscoperta dell’antico e l’osservazione della natura, sono ancora svolti da Jacopo con una sensibilità tardogotica, in chiave decorativa e fantastica. L’influenza del padre sul figlio si eserciterà, più che attraverso le opere pittoriche, mediante il patrimonio dei suoi disegni, oggi conservati in due volumi al Louvre di Parigi e alla National Gallery di Londra. Da questi Giovanni trarrà spunto per alcuni dipinti giovanili.
Nella prima opera nota dell’artista, il San Girolamo nel deserto (Birmingham, Barber Institute of Fine Arts), firmata, la dipendenza dai modi del padre appare evidente nell’esile figura del santo e in quella stilizzata del leone, la cui criniera si arriccia con effetto ornamentale simile a quanto vediamo in un disegno di Jacopo della raccolta parigina. Nuova, invece, è la vibrante materia pittorica che caratterizza l’orizzonte avvolto nella luce del crepuscolo.
Il progressivo avvicinamento di Giovanni Bellini all’arte di Andrea Mantegna, diventato suo cognato dopo il matrimonio nel 1453 con Nicolosia, sorella dell’artista veneziano, determina un primo importante momento della sua maturazione artistica.
Il rigore classicista di Mantegna, cui si aggiunge la riflessione sulle sculture di Donatello a Padova, si coniuga in Bellini con un’innata vocazione naturalistica.
L’influenza della pittura aspra e prospettica di Mantegna si coglie nell’Orazione nell’orto. In parte ispirato a un disegno del padre, il quadro è stato posto a confronto con la versione dello stesso tema, realizzata da Andrea Mantegna: in Bellini le figure sono significativamente più piccole rispetto al paesaggio, sul cui orizzonte risalta una resa mirabile della luce crepuscolare.
A questa fase della prima maturità, fra gli anni Cinquanta e Sessanta del Quattrocento, appartengono diverse opere destinate alla devozione privata, una tipologia che costituirà parte rilevante della produzione artistica di Giovanni Bellini e i cui modelli iconografici avranno larga diffusione anche al di fuori di Venezia, in particolare la Madonna col Bambino e il Cristo morto sul sepolcro.
Il primo tema si pone in continuità con i modelli della bottega paterna e dei Vivarini, mentre il secondo, come risulta evidente nel Cristo morto sorretto da due angeli (Venezia, Museo Civico Correr) si ispira ai rilievi donatelliani per la chiesa del Santo a Padova, al cui intenso pathos drammatico Bellini sostituirà progressivamente un’intonazione più lirica e struggente.
Agli inizi degli anni Settanta, Bellini attinge una più matura visione classicista. Si veda l’ancona per l’altar maggiore della chiesa di San Francesco a Pesaro con l’Incoronazione di Maria tra i Santi Paolo Pietro Girolamo e Francesco (Pesaro, Museo Civico; la cimasa con l’Imbalsamazione di Cristo si conserva alla Pinacoteca Vaticana). Il punto di vista ribassato conferisce monumentalità alle figure, mentre lo spazio viene scandito dalla rigorosa definizione del trono marmoreo, che incornicia anche il paesaggio sullo sfondo.
La consapevolezza dei propri mezzi espressivi porta Bellini a confrontarsi in quegli stessi anni con un nuovo modello di pala d’altare, quello della sacra conversazione in uno spazio unificato, sull’esempio di Piero della Francesca nella pala della Pinacoteca di Brera.
Tra il 1475 e il 1476 Antonello da Messina soggiorna nella città lagunare, stimolando un’ulteriore evoluzione del linguaggio di Bellini. La qualità luministica della pittura di Antonello, dovuta anche all’uso della tecnica a olio sino ad allora poco praticata, la nitida spazialità di derivazione pierfrancescana e l’abilità nel ritratto, vengono assimilati dal pittore veneziano determinando un rinnovamento della pittura lagunare.
La pala d’altare che Antonello esegue per la chiesa veneziana di San Cassiano, di cui si conservano solo tre frammenti al Kunsthistorisches Museum di Vienna, sviluppa, in base a quanto si è riusciti a ricostruire dell’originale, il modello della sacra conversazione in uno spazio architettonico unificato con risultati inediti sul piano luministico-spaziale.
Sulla base di queste premesse, Bellini realizza il capolavoro per la chiesa veneziana di San Giobbe, raffigurante la Madonna col Bambino tra i santi Francesco, Giovanni Battista, Giobbe, Domenico, Sebastiano e Luigi di Tolosa (Venezia, Gallerie dell’Accademia). La pala diviene modello normativo per numerose opere di soggetto analogo. Di impianto monumentale, ora parzialmente decurtata della centinatura, la pala era in origine collocata entro un altare marmoreo, tuttora esistente, con il quale costituiva un perfetto accordo con gli elementi architettonici della cornice scolpita, formando così una contiguità illusiva tra spazio reale e spazio dipinto.
Quest’opera si poneva in rapporto con l’architettura reale della chiesa, servendo da elemento di armonizzazione dell’ambiente nel bilanciare lo spazio della cappella prospiciente, sul lato opposto della navata. In questo modo la raffigurazione non è più avulsa dallo spazio e dal tempo reale come negli antichi polittici, ma sembra svolgersi qui e ora, dinanzi agli occhi del fedele. Anche quando Bellini dovrà tornare all’uso della tipologia più arcaica del trittico, come nella Madonna col Bambino e i santi Nicola da Bari, Pietro, Marco e Benedetto (Venezia, chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari), firmata e datata 1488, egli adotterà una soluzione analoga attraverso il raccordo con la cornice lignea, secondo un’idea già svolta da Mantegna nella Pala di San Zeno (Verona, chiesa di San Zeno).
Nel campo della ritrattistica, le opere di Antonello da Messina determinano il superamento del modello araldico di profilo a favore dell’impostazione di tre quarti di derivazione fiamminga. A Venezia solo Giovanni Bellini aveva già cominciato a confrontarsi con quest’ultima tipologia nel Ritratto di Jörg Fugger del 1474 (Pasadena, Norton Simon Foundation).
A differenza dei fiamminghi, però, negli straordinari esempi di Antonello il dettaglio fisionomico viene subordinato a una percezione psicologica del carattere. Bellini raggiunge il suo apice con il Ritratto del doge Leonardo Loredan (Londra, National Gallery), eseguito agli inizi del Cinquecento, in cui caratterizzazione naturalistica e idealizzazione coesistono in perfetto equilibrio. La fama raggiunta da Bellini ritrattista è testimoniata dalla richiesta di Isabella d’Este (1474-1539) a Cecilia Bergamini, in data 26 aprile 1498, di avere in visione il suo ritratto eseguito da Leonardo (1452-1519) – la celebre Dama con l’ermellino, Cracovia, Museo Czartoryski –, per poterlo confrontare a “certi belli retracti de man di Zoanne Bellino”.
Il processo di rinnovamento coinvolge anche le opere destinate al culto privato, come la Madonna col Bambino, detta degli Alberetti, firmata e datata 1487 (Venezia, Gallerie dell’Accademia), in cui la solennità della posa frontale si coniuga con la spontaneità dei gesti e degli sguardi.
La tendenza a trattare il tema religioso in chiave intima e contemplativa si avvale, nelle opere di dimensioni più grandi, di ambientazioni naturali e paesaggistiche. Ciò permette di conferire alla dimensione sacra dei personaggi una più marcata umanità che ne facilita la comunione empatica con il riguardante, calando la dimensione dell’evento soprannaturale in contesti di poetica quotidianità. Così è per il San Francesco in estasi (New York, Frick Collection) o per l’Allegoria sacra (Firenze, Galleria degli Uffizi), dove l’ambientazione naturale amplifica la complessa simbologia religiosa.
Analogamente, nella Resurrezione (Berlino, Staatliche Museen) per l’altare dedicato a Marin Zorzi nella chiesa di San Michele in Isola, compare un paesaggio colto alle prime luci dell’alba, dove è riconoscibile la collina di Monselice nel padovano, mentre nella Trasfigurazione (Napoli, Museo di Capodimonte) per la cappella della famiglia Fioccardo nel duomo di Vicenza, il monte Tabor si trasforma in un ameno altipiano da cui si osservano sullo sfondo monumenti ravennati quali il mausoleo di Teodorico e il campanile di Sant’Apollinare in Classe, tra greggi di pecore e mucche al pascolo.
A partire dal 1479 Bellini parteciperà a più riprese, soprattutto negli ultimi due decenni del Quattrocento, alla decorazione perduta della Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, costituita da 22 grandi tele raffiguranti la mediazione svolta dalla Serenissima in una contesa tra papa Alessandro III e l’imperatore Federico Barbarossa avvenuta nel 1177, rappresentazione fondata solo in parte su accadimenti reali.
Assorbito da questo importante impegno fino alla fine del secolo, Giovanni Bellini finirà col trascurare le pale d’altare. In questo tipo di produzione gli subentra Giovanni Battista Cima da Conegliano, che saprà introdurre nuovi modelli compositivi e iconografici.
Agli inizi del Cinquecento si impone a Venezia il nuovo linguaggio classicista di Giorgione fecondato dall’opera leonardesca. Ormai anziano, Giovanni Bellini si dimostra ancora straordinariamente recettivo e in grado di assimilare la rivoluzione tonale di Giorgione, rivisitando le iconografie tradizionali della Madonna col Bambino e della Sacra Conversazione, nelle quali la natura tende a farsi sempre più presente. Così la Madonna col Bambino non si colloca più dietro un parapetto, ma appare nella Madonna del prato della National Gallery di Londra seduta a terra mentre, vicino a lei, si svolge la vita della campagna. Analogamente nella Madonna col Bambino tra i santi Pietro, Caterina, Lucia e Girolamo del 1505 (Venezia, chiesa di San Zaccaria) o in quella con San Girolamo, Cristoforo e Luigi di Tolosa firmata e datata 1513 (Venezia, chiesa di San Giovanni Crisostomo), all’architettura chiusa della pala di San Giobbe si sostituisce quella aperta su un paesaggio naturale, che, attraverso i riverberi luminosi delle superfici musive, giustifica, come già per il Trittico dei Frari, una luce più diffusa e avvolgente, i cui esiti cromatici sono ora del tutto simili a quelli della nuova pittura giorgionesca.
Negli ultimi anni di attività a Giovanni Bellini vengono richieste anche opere a soggetto profano. Per il camerino del duca di Ferrara Alfonso I (1476-1534) nel 1514 realizza il Festino degli dei (Washington, National Gallery), opera che il duca fa modificare, una prima volta dall’artista di corte Dosso Dossi, e successivamente da Tiziano.
Nella sua lunga attività pittorica Giovanni Bellini sa unire elementi diversi dell’arte italiana del Quattrocento, assimilandoli in un linguaggio che sarà quello della pittura veneziana del Rinascimento. Una pittura fatta di sensibilità luministica, nella quale il colore tende a sostituirsi al chiaroscuro nella definizione plastica delle forme, e di grande attenzione ai valori naturalistici: il paesaggio non è più uno sfondo ma diventa protagonista insieme alla figura umana. Entro queste coordinate, prima Giorgione e poi Tiziano muoveranno il loro cammino, facendo di Venezia uno dei principali centri di rinnovamento dell’arte italiana ed europea agli inizi del Cinquecento.