BELTRAME, Giovanni
Nacque l'11 nov. 1824 a Valeggio sul Mincio, da Giorgio, falegname, e da Rosa Marchesini. Studiò e divenne sacerdote (1849) grazie all'istituzione fondata da don N. Mazza. Nel 1853, col compagno di collegio don Antonio Castagnaro, raggiungeva nel Sudan la missione dell'Africa centrale, per continuarne l'attività e individuare una località idonea alla fondazione di una stazione missionaria italiana.
Prospettatasi, in seguito alle spedizioni dell'esercito egiziano nel Sudan, la possibilità di inviare missionari nell'Africa centro-orientale, Gregorio XVI, con un decreto del 3 apr. 1846, vi aveva istituito un vicariato apostolico. La prima spedizione del missionario polacco Massimiliano Ryllo era arrivata l'11 febbr. 1848 a Khartum, allora poco più di un villaggio abitato da 15 mila persone in massima parte schiavi. La missione si rese benemerita anche nel campo delle esplorazioni geografiche, compiute lungo il Nilo Bianco, soprattutto per merito di A. Vinco (già alunno del "Mazza"), fin nel territorio dei Bari, di cui egli, profondo conoscitore della loro lingua e dei loro costumi, fu valido protettore e amato confidente fino alla morte (1853). Quando il Vinco, per la malferma salute, fu costretto a rientrare per qualche tempo a Verona, svolse un'attiva propaganda tra gli allievi dell'istituto Mazza, il cui fondatore, animato dal desiderio di avere una missione per il suo collegio, inviò il B. nel Sudan.
Durante l'anno trascorso a Khartum, dove il 6 febbr. 1854 moriva il Castagnaro, il B. raccolse informazioni sugli usi e sui costumi delle popolazioni del Nilo Azzurro, zona che lo sloveno I. Knoblecher, succeduto nella direzione della missione al Ryllo morto nel 1848, decise di affidare alle cure dei missionari italiani. Il 4 dic. 1854 il B., lasciata Khartum, compì il primo viaggio nel Sennâr e, lungo il Nilo Azzurro, per Karkoj, Roseires e Famaka, superando non lievi ostacoli, arrivò ai confini con l'Etiopia, nei territori abitati dagli Sciangala e dai Beni Sciangûl, questi ultimi fino allora visitati soltato da due europei, J. Russegger e P. Tremaux. Raccolta una larga messe di notizie geografiche, etnografiche e linguistiche, pubblicate poi in due volumi, il 5 apr. 1855 il B. rientrò a Khartum, dove già lo avevano dato per morto. Eliminata la possibilità di fondare una stazione missionaria tra quelle genti per la mancanza di dirette e agevoli comunicazioni con la capitale del Sudan, egli, prima di rientrare temporaneamente in Italia, ottenne, in linea di massima, dal Knoblecher il permesso di stabilirsi tra i Denka, sulla riva destra del Nilo Bianco.
Nel novembre del 1857, ad Assuan, il Knoblecher, ormai affranto dalle febbri e dai disagi, e sulla via del definitivo ritorno in Europa, s'incontrò con il B. accompagnato da altri quattro missionari italiani - Francesco Oliboni, Angelo Melotto, Alessandro Dal Bosco e Daniele Comboni - destinati, insieme con l'artigiano Isidoro Zili, a organizzare la stazione di Santa Croce-Angweng tra i Denka Kic. La località fu raggiunta il 14 febbr. 1858; appena un mese dopo vi si spense l'Oliboni preceduto, nella morte, dal fondatore della stazione, B. Mozgan. Il 15 genn. 1859 il B., il Melotto e il Comboni lasciarono Santa Croce per esplorare il Sobat e il territorio dei Denka Abialang; il 4 aprile erano di ritorno a Khartum dove, a distanza di poco più di un mese, si spegneva il Melotto, mentre il Comboni era costretto a rientrare per qualche tempo in Italia per rinfrancare le sue forze stremate.
Poiché le malattie e i disagi continuavano a mietere vittime, il nuovo pro-vicario Mattia Kirchener provvide a radunare in una località meno insalubre, Shellâl, tutti i missionari, ai quali fu consentito di raggiungere le varie stazioni soltanto durante la stagione asciutta, da novembre a marzo. Anche il B. dovette evacuare Santa Croce e, più a sud, Gondokoro, tra l'unanime rimpianto delle popolazioni che si vedevano private della protezione dei missionari. Per circa due anni, fino al febbraio 1862, rimase a Shellâl, intento a riordinare, tra l'altro, le sue note linguistiche ed etnografiche sui Begia e, soprattutto, sui Denka, del cui linguaggio curò una grammatica e un vocabolario.
Il 7 febbr. 1862 il B. lasciò per sempre l'Africa e, attraverso la Palestina e la penisola balcanica, fatta una sosta a Vienna, arrivò a Verona nel 1863. Qui si prodigò per salvare da una grave crisi finanziaria gli istituti creati da don Mazza, morto nel 1865, dei quali divenne superiore nel 1900. Per quasi un trentennio, dal 1869 al 1896, fu anche attivo insegnante nelle scuole. Scrittore forbito e fecondo, buon conoscitore delle principali lingue straniere e dell'arabo che aveva studiato a Venezia, oltre a essere insignito della commenda dell'Ordine della Corona d'Italia, fu membro effettivo dell'Istituto veneto di scienze, lettere e arti e dell'Accademia di agricoltura, scienze e arti di Verona; nel 1880 la Società geografica italiana lo proclamò socio d'onore.
Morì a Verona l'8 apr. 1906.
Il B. pubblicò le sue osservazioni geografiche, etnografiche, linguistiche e di viaggio su vari periodici: gli Atti d. Ist. veneto, il Boll. d. Soc. geogr. ital., la Riv. Orientale; suoi sono inoltre Lettera scritta dall'Africa Centrale, pubbl. con annotazioni di F. Nardi, Padova 1858; Relazioni del viaggio dei RR. missionari da Chartùm a Santa Croce, Milano 1858; Di un viaggio sul Fiume Bianco nell'Africa Centrale, Verona 1861; Il Sennaar e lo Sciangallah, Memorie, Verona 1879, voll. 2.
Bibl.: G. Branca, I viaggiatori ital. del nostro secolo, in Bollett. d. Soc. geogr. ital., II (1869), pp. 316-324; F. Cardon, I viaggi dell'abate B. sul Fiume Azzurro (1854-1855) e sul Fiume Bianco (1858-1860), in Nuova Antol., 1° dic. 1881, pp. 521-547; G. Biadego, Don G. B., in Bollett. d. Soc. geogr. ital., s. 4, VII (1906), pp. 487-490; G. Bolognini, Della vita e degli scritti di don G. B., missionario, Verona 1910; D. Lupi, G. B., missionario ed esploratore ital. in terra d'Africa, Verona 1938; S. Zavatti, Dizionario generale degli esploratori, Milano 1939, p. 45.