BEMBO, Giovanni
Nacque a Venezia nel 1473 da famiglia nobile di mediocre fortuna, sebbene il padre Domenico - la madre era Angela Corner (o Cornaro) - con i commerci e con l'esercizio degli uffici avesse di che far vivere dignitosamente i suoi. Il B., infatti, poté ricevere una buona educazione umanistica: ebbe per maestri, a Venezia, Benedetto Brugnolo da Legnano e, per breve tempo, Arsenio Apostolio, da cui apprese le lettere greche.
Nella giovinezza errabonda e inquieta, nell'ostentato atteggiamento polemico verso il ceto sociale cui apparteneva - il patriziato veneziano - la vita dell'umanista reca il segno d'una personalità non comune, insofferente delle regole di condotta imposte agli uomini del suo rango; ma lascia intravedere anche uno spirito forse non sempre equilibrato.
Recatosi a Corfù, probabilmente per mercanteggiare, continuò a studiarvi il greco sotto la guida di Giovanni Mosco; e qui, all'età di ventiquattro anni, si unì con una diciassettenne di umili origini, Chiara, nativa dell'isola. Subito dopo, per ordine paterno, navigò fino a Lepanto, forse per motivi commerciali. Dopo una sosta ritornò a Corfù, ove rimase ancora alcuni anni; finché, caduta nel 1499 Lepanto in mano ai Turchi, volle tornare in Italia, non sappiamo se per fuggire i pericoli della guerra, o perché erano cadute le supposte ragioni commerciali del suo soggiorno nell'isola ionia.
Con una navigazione avventurosa, seguito dalla fedele compagna, costeggiò l'Albania, visitò Ragusa e risalì la Dalmazia fino a Zara; poi, attraversato l'Adriatico, toccò Ancona, Senigallia, Fano e infine Pesaro. Qui Giovanni Sforza era intento a premunirsi contro l'imminente offensiva di Cesare Borgia: e in quel piccolo esercito mercenario si arruolò appunto il B., con un atto davvero inconsueto per un patrizio veneto, cui non si addiceva certo di militare sotto un principe straniero, e tanto meno come sempiice soldato (sebbene il B. racconti con una certa pompa d'aver conseguito ben due magistrature, mentre era in forza al presidio di Caridelara, piccolo borgo fortificato a pochi chilometri dalla città: quelle di "scriba exercitus" e di "praefectus annonae". A Candelara il B. trascorse tranquillamente l'inverno, trovando anche il tempo di tenere quotidiane lezioni di teologia ai frati del locale monastero di S. Francesco. Nel 1500, tornata la buona stagione, Giovanni Sforza licenziò le sue milizie, ma il B. fu trattenuto a Pesaro da alcuni cittadini, che gli fecero assegnare una casetta con giardino, affinché vi aprisse una scuola. Per alquanti mesi, dunque, divise il suo tempo tra le lezioni a circa 70-80 fanciulli e la conversazione con gli amici, tra i quali egli ricorda in particolar modo Lorenzo Astemio e i dotti fanesi Antonio Gambitello e Ludovico Paliolo (Paliolus).
Questo primo periodo della sua vita, più "irregolare" e meno gravato dalle responsabilità familiari, andava però volgendo al termine. Quello stesso anno Pesaro cadeva nelle mani del Valentino; e, poco appresso, al mutato clima politico si aggiungevano vicende private. Chiara gli diede una figlia, Faustina, e proprio allora lo raggiunse la notizia della morte del padre, avvenuta mentre si trovava provveditore a Soncino. Egli dovette chiudere in tutta fretta la scuola e accorrere a Venezia, anche perché lo Stato, creditore d'una grossa somma nei confronti del defunto, minacciava di confiscare la casa con cortile e la bottega, sole proprietà della famiglia. Il B. riuscì ad evitare il sequestro, e in quella casa abitava ancora trent'anni dopo. A Venezia, dove si fece raggiungere da Chiara e dalla figlioletta, fissò stabilmente dimora. Nel 1502 raccolse e fece pubblicare in unico volume le annotazioni sopra antichi scrittori dovute a Marc'Antonio Sabellico, Filippo Beroaldo, Battista Pio, Angelo Poliziano (è la prima centuria dei Miscellanea), Domizio Calderino e Battista Egnazio. Con quest'ultimo fu anche legato da particolare amicizia, come con diversi altri esponenti dell'ambiente umanistico-veneziano, tra i quali: Aldo Manuzio, Girolamo Amaseo e fra' Giocondo, il celebre architetto veronese.
Il B. tentò poi una prima volta la carriera degli uffici. Il Sanuto lo annovera il 16 genn. 1504 tra i candidati alla carica di camerlengo di Rimini e lo dice giudice del Piovego. Ma il B. racconta soltanto di essere stato eletto provveditore alla Giustizia vecchia e che dopo quarantacinque giorni si dirnise "da quella iniquità", fosse per il disgusto - come egli fa intendere - per il corrotto costume giudiziario veneto, risolventesi nella sistematica impunità dei nobili, oppure attratto da un'occasione di maggiore guadagno e più confacente alla sua indole irrequieta e avventurosa. Fatto sta che nel 1505 assunse il comando d'una galea mercantile, agli stipendi d'una società costituita da Carlo Contarini, Battista Morosini, Giorgio Corner (il potente senatore, fratello dell'ex regina di Cipro) e Giovanni Querini, un tempo suo condiscepolo nell'Accademia del Brugnolo. Navigando di conserva con un'altra galea, comandata da Sebastiano Dolfin, il B. intraprese così quel viaggio durante il quale raccolse larga messe di notizie epigrafiche. Costeggiò la Puglia, la Calabria e la Sicilia (ove vide in particolare Siracusa e le sue antichità), e passò poi in Africa, le cui coste nord-occidentali visitò dalla Grande Sirte, soffermandosi in particolare a Tripoli, a Tunisi e tra le rovine di Cartagine; infine raggiunse la Spagna mediterranea, ove visitò Granata, Malaga, Valenza e le vestigia di Sagunto. Dopo undici mesi di viaggio fece ritorno a Venezia. Nei sei anni seguenti fu tre volte avvocato grande delle curie di Palazzo, ufficio modesto, ma che gli permise di raccogliere alcuni risparmi, con cui poté edificare una casa.
Giunto intanto all'età di quarantatrè anni, si decise a sposare legalmente la donna con la quale viveva da quasi quattro lustri: passo al quale fino allora non aveva voluto determinarsi, perché aspirava ad ottenere alcuni benefici ecclesiastici, tra cui l'abazia di S. Andrea di Busco, in quel di Oderzo, che tutti insieme rendevano oltre mille ducati, benefici già da lui goduti mentre era adolescente. Ora rompeva gli indugi per poter iscrivere nel libro d'oro della nobiltà - in cui venivano accolti soltanto i figli legittimi - il bimbo che stava per nascere, assicurandogli così i privilegi cui dava diritto l'appartenenza alla classe dirigente veneziana: verso la quale il B. ostenta nella sua lettera autobiografica grande disprezzo, non sappiamo quanto sincero. Non solo infatti approfittò dei vantaggi della sua condizione sociale, ma non gli fu neppure estraneo l'orgoglio per le tradizioni familiari, tipico della coscienza aristocratica (per es. ad un figlio precedente, morto ad un anno d'età, aveva imposto il nome di Cornelio, volendo ricordare che per parte di madre discendeva dal doge Marco Corner). Non senza contrasti, tuttavia, riuscì a far iscrivere nel libro d'oro il neonato, Domenico.
Intanto la famiglia continuava a crescere (erano nate altre tre figlie: Polimnia, Urania e Angela) e nel 1525, dopo varie altre candidature sfortunate, al B. riuscì di farsi eleggere rettore di Skiathos e Skopelos, due piccole isole dell'Arcipelago, presso l'Eubea (Negroponte). Si riprometteva di ricavarne un discreto guadagno, ben contento inoltre di allontanarsi dall'Italia mentre la guerra si annunciava nuovamente all'orizzonte, ma lo attendeva una disgraziata esperienza, che pose fine alla sua già poco fortunata carriera di magistrato.
Il governo delle due isole si rivelò tutt'altro che riposante, per le continue scorrerie dei pirati, ed unico conforto il B. poté trarre soltanto dalla raccolta di iscrizioni antiche. Ma il peggio venne quando il segretario gli rese gravida la figlia Urania, ed egli, con una sentenza certo senza precedenti nella giurisprudenza veneziana, fece evirare il seduttore sulla piazza, di fronte al popolo. Il suo operato fu severamente biasimato dai patrizi veneti, e il Maggior Consiglio bocciò sistematicamente ogni sua candidatura a nuove cariche. Da ciò, almeno in gran parte, deriva l'esacerbato risentimento che, a dieci anni di distanza, gli dettava ancora gli sprezzanti giudizi e le dure condanne nei confronti dell'aristocrazia veneziana.
Da quel momento il B. visse appartato dalla vita pubblica, dedito agli studi letterari e alle cure della famiglia (oltre a quelli sopra nominati, aveva avuto altri quattro figli: Modestino, Giovanni Battista, Prudenzio, Talia, alcuni dei quali morti in età infantile). A lui diversi eruditi del Settecento, dal Muratori, al Foscarini e al Mazzuchelli, attribuirono la cosiddetta Cronaca Bemba (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, Mss. It., VII, cod. CXXV, 7460; cc. 426r-568v), di cui una parte fu pubblicata nella prima ediz. dei Rer. Italic. Script., XII, coll. 515 ss., ma che secondo il Thiriet non è altro che una copia della cronaca di Daniele Barbaro. Nel 1536 gli morì la moglie, e a pochi giorni di distanza la figlia Angela, quindicenne. Egli si spense a Venezia il 22 sett. 1545.
Il B. trascrisse varie iscrizioni durante i suoi viaggi del 1505 e del 1525-1526: esse (assai più latine che greche) sono, assieme alla sua lettera-autobiografia, a Monaco, Staatsbibliothek, cod. Lat. Monac. 10801 (Inscriptiones antiquae ex variis locis sumptae a Ioanne Bembo... MDXXXVI). Ma la maggior parte di tali iscrizioni non furono da lui trascritte direttamente, bensì tratte da raccolte precedenti o da appunti di amici. Questo si vede chiaramente a proposito delle iscrizioni di Roma per le quali si è giovato della silloge signoriliana, dell'amico fra' Giocondo, di Ciriaco d'Ancona (o direttamente, ovvero tramite G. Giglio); dei pari è incerto se le non moltissime iscrizioni da lui descritte con minuti ragguagli siano state viste da lui direttamente o non ne abbia avuto notizia da qualche amico.
Non molto importante, dei resto, il contributo dei B. alla conoscenza delle iscrizioni d'Italia, eccettuata Salerno (ove però, per sua stessa ammissione, la trascrizione delle epigrafi era dovuta a Benedetto Masciani da Pisa) e l'Istria in genere: Zara, Parenzo (ove fu nel 1526), Pola (ove fu nel 1505), ecc.: ma anche qui è da notare che le iscrizioni di Pola in parte furono da lui viste direttamente, in parte desunte dalla silloge di M. Sanuto (1483). Più cospicua invece la messe di iscrizioni da lui trascritte in Spagna nel 1505 (Malaga, Valencia, Sagunto), alcune delle quali da lui solo tramandate (Corpus Inscript. Lat., II, nn. 3756, 3899, 3942). Assai modesto infine il frutto epigrafico della sua permanenza a Skiathos e a Skopelos (l'antica Peparethos): Inscr. Graecae, XII, fasc. 8, nn. 636 e 646 (quest'ultima era già stata trascritta, e meglio, da Ciriaco).
Il valore delle copie epigrafiche del B. è vario: talora sono copiate con molta accuratezza, tenendo conto della divisione delle linee, ecc.; altre volte invece non mostra la medesima acribia. In genere egli risulta molto impreciso nella descrizione del monumento, nelle indicazioni di sito e, soprattutto, nella indicazione della sua conoscenza diretta, o mediata, della iscrizione riferita.
Fonti e Bibl.: Princ. fonte è la lettera autobiogr., indirizzata nel 1536 ad Andrea Anesi di Corfù (lo stesso cui dedicò il volume da lui curato nel 1502), ed. da Th. Mommsen, Autobiographie des Venezianers G. B. (1536), in Sitzungsberichten der k. Akad. der Wissenschaften, Philos. Classe, I (1861), pp. 584-6°9. Su questa lettera si basa sostanzialm. I. Morelli, Dissertaz. intorno ad alcuni viaggiatori eruditi venez. poco noti, in Operette, II, Venezia 1820, pp. 37-59. Cfr. inoltre: M. Sanuto, Diarii, V, Venezia 1881, col. 817; XXXI, ibid. 1891, col. 425; E. Hübner, in Corpus Inscript. Lat., II, p. VII; Th. Mommsen, ibid., V, pp. 5 s.; X, p. XXX; J. Henzen, ibid., VI, p. XLVIII; A. Silvagni, Inscr. Chr. Urbis Romae, I, Romae 1922, p. XLI, n. 41, A. Degrassi, Inscr. Italiae, X, 1, Romae 1947, pp. XII s., G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, p. 731; M. Foscarini, Della letter. veneziana, Venezia 1854, pp. 71 s.; P. Amat di S. Filippo, Studi biografici e bibliografici, sulla storia della geografia in Italia, Roma 1882, I, p. 243, P. Donazzolo, I viaggiatori veneti minori. Studio bio-bibliografico, in Memorie d. Soc. geogr. italiana, XVI (1928), pp. 70 s.; F. Thiriet, Les chroniques vénitiennes de la Marcienne et leur import, pour l'histoire de la Romanie gréco-vénitienne, in Mélanges d'arch. et d'hist. publiés par l'École française de Rome, 1954, p. 258.