BERNARDINI, Giovanni
Nacque a Lucca nel 1486 da Martino e da Caterina, figlia naturale di Iacopo da Ghivizzano. Nel 1514 Sposò Chiara, figlia di Bartolomeo di Francesco Cenami, uno dei maggiori esponenti dell'aristocrazia mercantile lucchese. Da questa, che gli portò una dote in denaro di 1200 ducati e un corredo del valore di 700 ducati, il B. ebbe quattro figli: Ludovico, che prese gli ordini dei serviti, Iacopo, Bianca Maria e Giuseppe.
Il B. tenne compagnia con Iacopo Bernardi e, in società con Vincenzo Guinigi, esponente di primo piano del gruppo oligarchico, fu il principale della compagnia "Giovanni Bernardini e Vincenzo Guinigi ", che aveva filiali in Anversa e Lione e operava su una vasta gamma di attività, dal commercio di commissione all'attività manifatturiera, alle operazioni cambiarie è ai prestiti ai re: come quello accordato al re di Francia, nelle mani del commis à l'éxtraordinaire de guerre, Martin de Troyes, che venne rimborsato nel febbraio 1538 con un pagamento di 1752 scudi, 11 soldi e 6 denari.
Anziano già nel 1513, il B. fu presente a più riprese nel Consiglio, fino ad essere eletto nel 1517 gonfaloniere. Eletto ancora a questa carica nel 1523, venne chiamato ripetutamente agli uffici più importanti e delicati della vita pubblica. Allorché Francesco I, forte dell'appoggio di Enrico VIII, lanciò i suoi eserciti attraverso l'Italia contro le armate imperiali, per far fronte alla grave situazione militare e politica creatasi ai confini di Lucca, si costituì, il 2 marzo 1538, la magistratura straordinaria dei Dodici, di cui il B. fu chiamato a far parte. Contro questa magistratura, delegata dei più ampi e discrezionali, poteri, si determinò a Lucca un vivissimo malcontento, temendosi che la rinuncia di potere dei normali organi politici dello Stato potesse sfociare in un regime tirannico. In questo clima si scatenò in città una vera e propria campagna libellistica contro i pericoli di involuzione tirannica, con scritture "infamatoriae et aptae ad inducendum seditionem, contra quietem, et pacern civitatis" (Riformagioni pubbliche, XXXIV,f. 222). L'anno dopo, in un momento particolarmente difficile e delicato. mentre i principati italiani si apprestavano a porsi sotto la tutela imperiale e Firenze era assediata, il B. perveniva per la terza volta al gonfalonierato. Durante l'assedio di Firenze, Lucca, che tra i profughi medicei contava fin il duca Alessandro, era diventata il centro dello sforzo imperiale, militare e finanziario, poiché, attraverso i canali di Napoli e Milano, vi affluivano i rifornimenti e i finanziamenti per la guerra. E tuttavia a Lucca, anche per questo accusata di tenere il piede in due staffe, v'era chi forniva aiuti ai repubblicani fiorentini, e, tra questi, il banco del B. e di Vincenzo Guinigi, che aveva accordato una sovvenzione al commissario di Pisa. Un dato, questo, che, se non è probante di una deliberata politica di equidistanza, lascia tuttavia intravedere lo scarso entusiamo del ceto dirigente lucchese, pur così ostile a Firenze, per le vicende della guerra imperiale.
Nel gennaio 1531 si costituì a Lucca la commissione incaricata di redigere, di concerto coi consoli in carica, le nuove norme statutarie per l'esercizio dell'industria serica, e il B. ne fece parte insieme con altri due esponenti dell'antica magistratura dei Dodici, Martino Buonvisi e Bonaventura De Micheli, e con Stefano di Michele Burlamacchi, Iacopo Arnolfini e Francesco Balbani.
La gestione un po' troppo esclusiva del potere della Repubblica da parte dei grandi mercanti affiorò subito nei provvedimenti che questa magistratura straordinaria cercò di mettere in atto, allo scopo di fronteggiare la depressione dell'economia lucchese determinata dalla contrazione del commercio serico per la diminuita richiesta sul mercato estero. Diretti a limitare la produzione, senza troppo preoccuparsi degli effetti nell'occupazione, questi provvedimenti subordinavano interamente i problemi del settore alla legge dei mercanti e alle esigenze del capitale commerciale. Facevano, per questo, obbligo ad ogni tessitore che volesse produrre in capite, di possedere almeno un telaio; prescrivevano l'imposizione del marchio e vietavano al produttore di vendere in proprio, essendo lo smercio del prodotto una facoltà esclusiva dei mercanti. Questo divieto rispondeva, in particolare, alla necessità dei grandi mercanti di ridurre la produzione, elevandone insieme la qualità, allo scopo di soddisfare la ridotta e più esigente domanda estera. Da questa visione così esclusiva prese avvio l'opposizione convergente di numerosi strati sociali cittadini - dagli artigiani direttamente colpiti alle medie e piccole famiglie cittadine - che, sulla protesta e sull'azione dei testori, innestarono una linea di rivendicazioni politiche dirette ad ottenere una più ampia partecipazione al governo dello Stato.
Il B., che nel giro di pochi anni aveva partecipato in primo piano alle drammatiche vicende della Repubblica, dopo questa rivolta, che fu detta degli Straccioni, sembra appartarsi nella sfera delle sue personali attività. Rieletto gonfaloniere di giustizia nel 1537 e nel 1543, nel marzo 1541 fu al centro della dolorosa vicenda di Giovanni e Nicolao Boccella, che "gravati di debiti ", contratti soprattutto col B., e non "avendo denaro contante ", furono costretti a vendere i loro beni, acquistgiti in parte dal fratello del B., Martino.
Nel testamento, rogato il 20 luglio 1541, il B. legò il suo patrimonio al figlio Giuseppe, già attivamente partecipe degli affari paterni. Morì "di goccia senza sacramenti" il 14 ott. 1547 (Baroni, f. 423).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Consiglio Generale, Riformagioni pubbliche, 23 marzo 1528, XXXIV; Lucca, Bibl. governativa, ms. n. 1105: G. V. Baroni, Notizie genealogiche delle famiglie lucchesi. Famiglia Bernardini, ff.376-396, 423-424; G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca dall'anno MIV all'anno MDCC…, in Arch. stor. ital., X(1847), pp. 225-227 (Documenti); G. Carocci, La rivolta degli Straccioni in Lucca, in Riv. stor. ital., LXIII(1951), 1, pp. 29 ss.; D. Gioffrè, Gênes et les foires de change de Lyon à Besançon, Paris 1960, p. 44; M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1965, pp. 115, 120, 148.