BONIFACIO, Giovanni Bernardino
Nacque il 25 apr. 1517 da Roberto e dalla gentildonna napoletana Lucrezia Cicara, divenendo ben presto unico erede per la morte dei fratelli e per la rinuncia delle sorelle .
La famiglia del B., di antica nobiltà, era tra le più cospicue del Regno da quando Roberto Bonifacio aveva ottenuto in feudo perpetuo la signoria di Oria dall'ultimo re aragonese, nel 1500, e poi il titolo marchionale da Carlo V, nel 1522, ampliandosi con l'acquisto di Francavilla e Casalnuovo. I Bonifacio avevano rapporti con l'ambiente dei letterati napoletani e mantenevano una tradizione di cultura: così il B., scolaro dell'umanista pugliese Quinto Mario Corrado, compiuti i quattordici anni, partì dalla Terra d'Otranto insieme con un precettore, per viaggi di studio a Roma, in Francia e in Spagna.Morto il padre nel 1536, il B. entrò in possesso del patrimonio, col titolo e le cariche annesse. I primi anni della sua signoria fanno pensare a un'oculata ricostituzione e amministrazione dei beni ereditati: nel '37 riscattò Casalnuovo, gravato di ipoteca sotto Roberto, nel novembre 1538 confermò gli antichi privilegi di Oria e ne concesse di nuovi; contemporaneamente condusse a termine la costruzione dell'imponente castello. Ma sempre nel '38 scoppiò una lite fra il giovane marchese e i cittadini di Oria, i quali, convinti che la universitas fosse stata lesa nei suoi diritti, ne fecero valere le ragioni al tribunale dei viceré. Più tardi il B. intervenne nel dissidio sorto fra le città di Oria e di Brindisi dopo l'unificazione delle due sedi vescovili, istigando i ribelli contro l'arcivescovo Francesco Aleandro, che nel 1545 si vide negare la riscossione delle rendite; ma questi ottenne da Roma un breve monitoriale che intimava alla città e al marchese di tornare nell'antica obbedienza. Poi, dal 1549 al '52, si trovò in lite con una sorella che rivendicava l'eredità paterna, sostenendo che la rinuncia, fatta e confermata quando era in vita ilpadre Roberto, le era stata estorta con la violenza. Nel 1551 il viceré Pietro di Toledo minacciava di privare il B. della carica di "grassiero" o "capitano della grassa", per la quale gli era affidato l'approvvigionamento della capitale; come questo, anche l'altro ufficio del B., di giustiziero degli scolari dell'università di Napoli, era ereditario nella sua famiglia. Ma il marchese, in quegli anni, trascurò i suoi doveri ed anzi sembrò rompere con l'ambiente napoletano per ritirarsi nei suoi feudi pugliesi; le cui condizioni, peraltro, non erano più floride, giacché Oria era stata impegnata a una famiglia del luogo e Casalnuovo era passato alla moglie di Giovan Bernardino, Beatrice della Marra. Il complesso dei feudi dei Bonifacio, era stato offerto dal marchese, che non sperava di avere discendenza, all'imperatore Carlo V: ma la pratica di donazione, in corso nel 1546, non giunse mai a termine. La vita di ritiro e di studio in Terra d'Otranto durò quasi un decennio: l'arricchimento della grande biblioteca coincide con questo periodo, denso di rapporti con letterati e umanisti di varie parti d'Italia, alcuni dei quali erano probabilmente sovvenzionati dal nobile mecenate, che ne otteneva in cambio dedicatorie molto lusinghiere. Nel 1533 Paolo Manuzio gli dedicava un'edizione delle rime del Petrarca, nel 1550 Lelio Carani una traduzione di Sallustio, nel 1551 Lodovico Dolce la sua tragedia Ifigenia.
Ma ora anche l'ortodossia del marchese di Oria era gravemente sospetta. Nei suoi ultimi anni amava raccontare un episodio dell'adolescenza che era quasi un'anticipazione del successivo allontanamento dalla Chiesa di Roma, ricca di fasto e di vuote cerimonie; ma dallo stesso discorso riferito dal Welsius risulta che il B. ebbe un'educazione cattolica. Più tardi, nell'ambiente napoletano, avvenne il primo incontro con l'eresia: una relazione anonima di parte gesuitica pone il B. tra i frequentatori della casa di Giovanni Maria Bernardo, che formavano un circolo valdesiano di letterati e colti gentiluomini. Questo documento contiene certo alcuni elementi inaccettabili, come la fuga del marchese a Ginevra, dove in realtà egli non soggiornò mai; tuttavia è testimonianza della sua connessione con gli ambienti valdesiani di Napoli e, al tempo stesso, della triste fama di scetticismo libertino che non tardò a circondarlo dopo che scelse l'esilio. Vi si racconta come, entrato in chiesa in compagnia di altre persone, rifiutasse l'acqua benedetta che gli veniva offerta, "dicendo essere cosa soperstitiosa l'uso di questa acqua sacramentale"; per di più leggeva durante il servizio divino i Tristia di Ovidio, rilegati in pelle come fossero un messale (N. A. De Bobadilla... gesta et scripta, pp. 17-21). Ancora, riferisce un tardo biografo che egli ascoltava le prediche di Lorenzo Romano, il quale, "capitato nel regno, insegnava occultamente gli errori di Ulrico Zuinglio... e leggeva a molti la logica di Filippo Melantone" (Tafuri, p. 135).
Le difficoltà incontrate nell'amministrazione del patrimonio familiare, il latente conflitto con la corte vicereale, l'adesione sincera, sebbene non precisata dogmaticamente, ai motivi dell'evangelismo italiano, maturarono nel B. il progetto di allontanarsi dal Regno. Libero da legami affettivi e familiari - era rimasto vedovo, giacché della moglie non si ha più notizia -, raccolse ingenti somme e una notevole quantità di libri, che portò sempre con sé nel suo lungo esilio. Èignota la data della sua partenza da Oria: nell'ottobre 1556 si trovava ancora nei suoi feudi, ma già pensava di stabilirsi definitivamente a Venezia. Soggiornò effettivamente sulla laguna, ma nell'estate del '57 raggiunse Basilea insieme con due schiave berbere che lo servivano, due ex monaci, l'uno nativo di Oria, l'altro di Sicilia o di Puglia, e un francese che viaggiava anch'egli al suo seguito; il 15 agosto interveniva a un banchetto offerto dall'università di Basilea.
Subito si accese a Napoli la lotta per i beni dell'eretico: nell'ottobre, cedendo alle pressioni del viceré, il vicario di Alfonso Carafa, arcivescovo di Napoli, dava istruzioni perché fosse aperto un processo a carico del marchese di Oria: gli risultava, però, che gli ufficiali del viceré non si preoccupavano tanto della purezza della fede, quanto di mettere le mani sui beni dei Bonifacio. D'altra parte, anche i Carafa, sostenuti da Paolo IV, nutrivano pretese sul marchesato di Oria; il B. fu citato, nell'ottobre 1557, dinanzi all'Inquisizione napoletana, e la questione dell'eredità si concluse con un accordo fra le due parti contendenti, per cui i suoi beni furono devoluti alla corona. Solo nel 1562 essi vennero concessi al conte Federico Borromeo, per passare infine alla famiglia, Imperiali. Anche i benedettini del convento napoletano dei SS. Severino e Sosio rivendicarono i beni burgensatici dei Bonifacio, in nome di una clausola del testamento di Roberto che li assegnava al loro convento, qualora la sua discendenza si fosse estinta. Nel 1583 i monaci trovarono testimoni della pretesa morte dell'ultimo dei Bonifacio; ma l'anno seguente la notizia fu smentita dai Torrigiani di Norimberga, e nel 1589 il provinciale dei gesuiti in Polonia comunicò che il marchese viveva ancora, residente in prossimità di Vilna. Solo nel 1604 i monaci napoletani ricevettero dal nunzio in Polonia un documento comprovante la sua morte.
L'ambiente italiano di Basilea, che si raccoglieva intorno all'umanista Bonifacio Amerbach, era lacerato al momento dell'arrivo del B. dall'irrequietezza degli esuli, in aperto conflitto con Calvino fin dal processo contro Serveto, e dal dissidio sorto fra Celio Secondo Curione e Pier Paolo Vergerio. Il marchese di Oria entrò subito nel vivo di queste polemiche, legandosi di amicizia col Castellione e con Mino Celsi; è escluso che egli abbia contribuito alle spese di stampa del De haereticis,an sint persequendi - come ha ritenuto il Buisson -, perché nel 1554, quando l'opera fu pubblicata, si trovava ancora nei suoi feudi pugliesi, ma certo aderì senza riserve al suo contenuto, se ne regalò un esemplare all'amico Bonifacio Amerbach, aggiungendovi di suo pugno una dedica molto significativa. Appena giunto a Basilea, pubblicò alcuni opuscoli del conterraneo Antonio De Ferrariis, detto il Galateo, esprimendo nelle dedicatorie il lamento per la perduta libertà dell'Italia e del Regno, e la sua ammirazione per lo Stato veneziano; poi il suo soggiorno fu turbato da una polemica letteraria col Curione, e da una visita dei gesuita Alfonso Salmerón, che, trovandosi in Svizzera, fece un tentativo per ricondurlo in seno alla Chiesa. Il B. non prese fissa dimora nella città degli Amerbach, ma si portò con continui spostamenti a Zurigo e a Worms, dove conobbe Melantone; non trascurava di arricchire la biblioteca, ottenendo dall'Amerbach alcuni autografi di Erasmo, e dal "praeceptor Germaniae" un esemplare della Confessione augustana da lui stesso firmato. Il motivo che lo indusse presto ad abbandonare la città elvetica fu probabilmente la rigida disciplina imposta alla vita culturale e religiosa della comunità. Il 2 apr. 1558 prese congedo dagli Amerbach con un ricco banchetto seguito da uno scambio di doni; in quel mese stesso raggiunse Venezia attraverso i Grigioni.
Passando per Lecco, terra imperiale, il B. si lasciò sfuggire alcune parole che tradivano il suo timore e furono subito notate: "S'io fusse preso, saria decapitato". Il 5 luglio fu denunciato all'Inquisizione veneta: il delatore indugiava a descrivere i gusti eccentrici del B., sistemato in una casa d'affitto con tre donne che erano la sua servitù; una delle quali era pronta a tradirlo, se lo stesso delatore la citava fra i testimoni. Possedeva libri proibiti ed era in contatto con evangelici: "E ancora vengono alcuni portando nove a lui di queste cose che fanno per conto de eresia, e disputano - insieme in casa" (Bertini, 1957, in app.). Fra i suoi intimi era il grecista Francesco Porto, nato a Creta da una famiglia originaria di Vicenza, già protetto dalla duchessa Renata d'Este ed ora coinvolto nel processo veneziano. Il marchese sventò la minaccia, avvertito tempestivamente da un senatore amico; dopo un soggiorno a Trieste, tornò a Venezia nella primavera del '60, forse per riprendere i libri che aveva abbandonati al momento della fuga improvvisa. Poi si staccò definitivamente dall'Italia.
Nei primi giorni del 1561 troviamo il B. a Kazimierz, presso Cracovia, donde scrive al Castellione, nel giugno di quell'anno, invitandolo a trasferirsi in Polonia e consigliandolo di concertare il viaggio con Lelio Sozzini: l'esaltazione delle libertà sarmatiche ("magnam, immo maximam haberes hic libertatem tua sententia arbitratuque vivendi, item scribendi et edendi. Nemo esset censor...": Cantimori, p. 267) fa pensare a difficoltà incontrate in Svizzera e deprecate insieme coi connazionali esuli. A Cracovia stringe rapporti con l'eretico saluzzese Giorgio Biandrata e con Jan Boner, membro influente del patriziato calvinista, e avvia trattative con la corte, poi interrotte, per un prestito contro vitalizio a Sigismondo Augusto.
Ma la libertà polacca non soddisfa a lungo lo spirito inquieto del marchese di Oria: soggiorna infatti a Brno più volte, nel settembre '62, nel settembre '63 e nell'aprile '64, sebbene non apprezzi neppure le condizioni politiche ed ecclesiastiche del marchesato moravo. L'editto di Parczów, che nell'agosto 1564 allontanava dal regno gli stranieri eretici, non reca al B. alcun disturbo; ma egli esprime il desiderio di abbandonare definitivamente la Polonia, per varie ragioni che non intende precisare, aggiungendo: "In primisque numero Dei voluntatem, quae sic iubet, videlicet ut haec sit mea peculiaris crux - christiane enim loquimur - nempe peregrinatio" (lettera a Basilio Amerbach da Cracovia, 27 apr. 1565, conservata a Basilea, Universitätsbibl., G. II. 31, f. 45r).
Gli anni seguenti vedono il B. impegnato in una vicenda continua di viaggi attraverso l'Europa protestante; egli stesso ne indica il motivo nell'irresistibile impulso del suo animo: "Nunquam peregrinari desistamus, donec inveniamus Eutopiam" (lettera a Bonifacio Amerbach da Kazimierz, 31 giugno 1561, ibid., f.30r). Passa da Lione a Parigi e a Londra; dal 1565 al '75 vive a Urrach, presso Basilea, in un podere acquistato per lui da Bonifacio Amerbach con denaro proveniente da banchieri di Anversa e di Londra; più tardi si sposta da Norimberga a Vienna, dalla Danimarca alla Svezia e all'Inghilterra; si spinge fino a Costantinopoli, in un viaggio irto di pericoli e disagi.
Nel 1584 era nuovamente in Polonia, ospite probabilmente dei Buccella; si stabilì poi presso Vilna, dove visse quasi poveramente, rinunciando ormai agli agi degli anni giovanili. Tornando da un ultimo viaggio in Inghilterra, fu colpito da una malattia agli occhi che lo lasciò cieco (e tale egli appare nel grande ritratto conservato nella biblioteca di Danzica); poi la sua nave fece naufragio dinanzi alle foci della Vistola, ed egli scampò alla morte perdendo buona parte dei suoi averi, ma salvando i libri, appena danneggiati dall'acqua. Si risolse quindi, nel 1591, a donare al Senato di Danzica la sua biblioteca, ricevendone in cambio un vitalizio di un fiorino d'oro mensile e un'abitazione nell'antico monastero francescano; nell'atto di donazione inserì una clausola per cui i suoi libri non potessero mai cadere nelle mani dei gesuiti. A Danzica il B. visse sei anni, visitato dai professori del collegio e da nobili cittadini, fino alla morte sopraggiunta il 24 marzo 1597. Fu sepolto a spese del Senato nella chiesa della Trinità.
Durante gli anni dell'esilio il B. strinse rapporti di amicizia con personalità di vario indirizzo religioso: fra i suoi intimi furono gli Amerbach di Basilea ed alcuni Italiani, come il romano Francesco Betti, legato a sua volta a Giacomo Aconcio, col diplomatico Vincenzo Maggi, con l'antitrinitario Silvestro Teglio, con lo storico Giovanni Michele Bruto. Il B. fu dunque in relazione continua con la società degli esuli italiani. Tuttavia rifiutò nettamente certe affermazioni ereticali; i Dialogi dell'Ochino lo scandalizzarono e gli parvero un'introduzione all'ateismo: "Sono introdutte più moglie: Cristo (horresco referens) non ha soddisfatto; il Padre non è placato; niun può aver certezza de la sua salute; ognun può salvarsi da se stesso, senz'altro; la Trinità (oimé meschino) è risoluta in fumo; Cristo (Signor non dormir più) è ridotto... ordine, com'a tutti gli altri e più presto ancora di tutti gli altri...". Riconosceva la necessità della disciplina ecclesiastica: "Io giudicava che la severità non fosse così necessaria, ma ora dico il contrario". "Queste cose", concludeva, "m'hanno fatto risolvere (per grazia però del signor nostro Gesù Cristo) ch'io mi sia dichiarato de la santissima confession augustana, ne la quale spero in esso che mi farà morire" (lettera a Bonifacio Amerbach da Brno, 25 apr. 1564, conservata a Basilea, Universitätsbibl., ff. 37r-38r). Gli inni religiosi del B. ribadiscono questa sua posizione ortodossa circa l'espiazione vicaria e la persona del Figlio: Cristo ha partecipato alla creazione del mondo ed è stato inviato dal Padre per riscattare l'umanità da un destino inevitabile di perdizione. Forse nella sua concezione del Figlio rivive il motivo erasmiano del "Christus pauper": "Ditissimus cum sis, tamen / Pauperrimus fis omnium" (Miscellanea hymnorum, p. 25). Ilsentimento religioso del B., maturato a contatto con i gruppi valdesiani di Napoli, respingeva dunque le dottrine sulla giustificazione e sulla Trinità formulate dall'Ochino e dai Sozzini, fermandosi su una posizione molto simile a quella degli umanisti riformati seguaci del Melantone. Lo accostava agli ambienti ereticali, invece, un vivo sentimento irenico, la perpetua insofferenza e la ricerca di un luogo ideale, meta dell'esilio. Il B. pregava fervidamente affinché Cristo strappasse dalle radici le discordie che dilaniavano la Chiesa, i falsi dogmi e le guerre crudeli. Nell'epigramma a Francesco Betti si mostrava preoccupato per le sorti della cristianità, e non sembrava riferirsi solo al mondo cattolico: "Hypocritae sancti dicuntur, deinde sophistae / Dogmata sacra docunt / ...Quod si forte bonus quis sese opponere tentet, / Sentiet exitium / Carcer et exilium, tormenta et flammae parantur, / Saevaque mors sequitur". Nell'epigramma De conditione hominum psorum giungeva alla conclusione che non esiste per i giusti alcun asilo sicuro a questo mondo, e che il solo porto tranquillo sarà nelle braccia di Dio (ibid., pp. 34 s., 58 s.).
Il B. è considerato il fondatore della biblioteca di Danzica. Nel 1555 il consiglio cittadino era entrato in possesso della raccolta, ricca di oltre mille volumi, del vecchio convento francescano; ma il suo carattere strettamente medievale non aveva consentito di usarla per il ginnasio di recente formazione, che doveva servire agli studi umanistici, nello spirito della dottrina evangelica. Inutilizzati, i libri andarono in gran parte dispersi negli anni successivi. La biblioteca fu aperta ufficialmente nel 1596, cinque anni dopo la donazione, ampliata con i lasciti di alcuni patrizi di Danzica. Nel fondo del B., che contava 1.043 opere in 1.161volumi, il settore "grammatici, poetae, mathematici, astrologi" era quello più largamente rappresentato (242titoli); venivano poi i teologi latini e greci (239 titoli), i filosofi (199), i medici (141), gli storici (129). Figurava un gruppo nutrito di autori italiani (72 titoli), mentre i giuristi erano mal rappresentati (solo 21 titoli). La biblioteca, dunque, rifletteva gli interessi religiosi e umanistici del marchese di Oria.
Edizioni: Antonii Galatei Liber de situ elementorum, Basileae, per Petrum Pernam, 1558;Id., Liber de situ Iapigiae, Basileae, per Petrum Pernam, 1558.
Opere: Lettera sullo studio della storia a F. Camerario, s. d., in Philippi Camerarii Operae horarum subcisivarum sive meditationes historicae auctiores quam antea editae, Francofurti 1658, Centuria I, pp. 9-16; Miscellanea hymnorum,epigrammatum et paradoxorum quorundam Domini Iohannis Bernhardini Bonifacii, a cura di A. Welsius, Dantisci 1599, pp. 25-94; Violae inferae (lamento in morte del suo cane), Danzica, Bibl. Polksiej Akademii Nauk, ms. 2437.
Fonti e Bibl.: La fonte principale per la biografia del B. resta il suo epistolario inedito, Basilea, Universitätsbibl., G. II. 31, ff. 1-198, che comprende le sue lettere a Bonifacio e Basilio Amerbach, 1557-1580; cfr. anche Calendar of State Papers and Manuscripts,relating to English Affairs, VI, 3, a cura di R. Brown, London 1884, pp. 1412-13; Epistolae P. Alphonsi Salmeronis, I, in Mon. Hist. Soc. Iesu, Matriti 1906, pp. 219; Der Briefwechsel der Schweizer mit den Polen, a cura di T. Wotschke, in Arch. für Reformationsgeschichte, Ergänzungsb. III, Leipzig 1908, pp. 414-15; Nicolai Alphonsi de Bobadilla... gesta etscripta, in Mon. Hist. Soc. Iesu, Matriti 1913, pp. 17-21. Altre notizie, soprattutto per l'epoca precedente al congedo del B. dagli Amerbach di Basilea, in S. Ammirato, Delle famiglie nobilinapoletane, I, Firenze 1580, p. 78; II, ibid. 1651, pp. 377 s.; A. Welsius, Oratio de vita et morteIohannis Bernhardini Bonifacii, in Miscellaneahymnorum..., pp. 1-24; G. B. Tafuri, Istoria degliscrittori del Regno di Napoli, III, 4, Napoli 1755, pp. 131-45; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, pp. 1655-57; G. Fontanini, Bibl. dell'eloquenza italiana... con le annotazionidel signor A. Zeno, II, Parma 1804, p. 319 e n. b;B. Papadia, Vite d'alcuni uomini illustri salentini, Napoli 1806, pp. 125-33; B. Palumbo, Storia diFrancavilla, Lecce 1870, I, pp. 86-103; II, pp. 437-47; E. Percopo, Dragonetto Bonifacio marchese d'Oria,rimatore napolitano del sec. XVI, in Giorn. stor. della lett. ital., V (1887), pp. 197-233; L. Amabile, Il S. Officio della Inquisizione in Napoli, Città di Castello 1892, I, pp. 226-28; F. Buisson, Sébastien Castellion. Sa vie et sonœuvre, Paris 1892, II, pp. 14-18 e passim; O. Günther, Der Neapolitaner J. B. B. Marchese vonOria und die Anfänge der Danziger Stadtbibliothek, in Beiträge zur Bücherkunde und Philologie A.Willmanns... gewidmet, Leipzig 1903, pp. 107-28; C. Villani, Scrittori ed artisti pugliesi antichi,moderni e contemporanei, Trani 1904, pp. 1216 s.; E. Gothein, Il Rinasc. nell'Italia merid., Firenze 1915, pp. 104-06; N. Barone, Il pal. Bonifacio aPortanova, in Napoli nobilissima, n. s., I (1920), pp. 83-87; F. C. Church, Iriformatori italiani, Firenze 1935, I, p. 393; II, passim; F.Schwarz, Die Anfänge der Danziger Stadtbibliothek, in Zentralblan für Bibliothekwesen, LII (1935), pp. 189-201; D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento, Firenze 1939, pp. 267 s. e passim; A.Borzelli, G.B.B. marchese d'Oria, Napoli 1941; B. P. Marsella, Il marchesato dei Bonifacio in Oria e il processo dell'univ. oritana contro Gian Bernardino, Roma 1953; A.Bertini, G. B. B. Sein Leben undSeine Beziehungen zu Basel, in Basler Zeitschriftfür Geschichte und Altertumskunde, XLVII (1948), pp. 19-84; Id., G. B. B.,marchese d'Oria, in Arch. stor. per le prov. napoletane, n. s., XXXVII (1957), pp. 191-265; I. Fabiani-Madeyska, OriaJ. B. B., in H. Jedrzejowska-M. Pelczarowa, Katalog inkunabułów Biblioteki miejskiej w Gdańsku, (Catalogo degli incunaboli della Biblioteca Civica di Danzica), Gdańsk 1954, pp. 297 s.; Id., B.G. B., in Słownik biograficzny pracownikózv ksia̢żkipolskiej. Zeszyt próbny (Diz. biogr. dei tipografi e bibliofili polacchi. Fascicolo sperimentale), Łódź 1958, pp. 181-87; C. De Frede, Rivolte antifeudali nel Mezzogiorno d'Italia durante il Cinquecento, in Studi in onore di A. Fanfani, V, Milano 1962, pp. 21-26; B. Nicolini, Ideali e passioninell'Italia religiosa del Cinquecento, Bologna 1962, pp. 155 s.; H. Barycz, W blaskach epoki odrodzenia (Nello splendore del Rinascimento), Warszawa 1968, pp. 229-51.