BEROALDI (Beroaldo, Beroardo, Beraldus), Giovanni
La data di nascita del B. non è nota con precisione, ma va posta fra il 1489 e il 1490; viene detto palermitano: certo quando il suo nome emerge a Roma, dov'era stato chiamato in Curia da Paolo III nel 1538 per la sua conoscenza del latino e del diritto civile e canonico, proveniva dal clero secolare di Palermo. Il 15 marzo 1548 fu nominato vescovo di Telese, suffraganeo dell'archidiocesi di Benevento, e prese residenza a Faicchio, nella diocesi stessa, pur rnantenendo alcuni uffici in Curia. Fu spesso incaricato di prediche ed orazioni in occasioni solenni, come l'Oratio de eligendo summo pontifice, tenuta dinanzi ai cardinali all'inizio del lungo conclave del 1549; nel 1557 tenne varie prediche nella cappella pontificia. Nello stesso anno fu incluso nella commissione incaricata da Paolo IV di istruire il processo per ribellione contro Carlo V e Filippo II, e il 14 ottobre 1557 fu nominato vescovo di S. Agata dei Goti. Nel 1560 gli fu concesso il privilegio di non essere obbligato a recarsi a Roma, sotto qualsiasi pretesto o imputazione, se non per mandato scritto, fornito della sottoscrizione autografa dei pontefice. Nell'ottobre dello stesso anno fu inviato a Trento, dove arrivò il 30 del mese, dopo esser passato da Roma nel settembre a ritirare la lettera di presentazione da Carlo Borromeo, e dove si fece conoscere fra i più ligi alle direttive di Roma, anche se alcune sue posizioni destarono qualche perplessità nei legati pontifici.
Nel gennaio 1562 questi appoggiarono la richiesta dei B. di un coadiutore, nella persona di un suo parente, Alessandro Beroaldo. La richiesta però fu respinta: il papa fece rispondere che sarebbe stato disposto a concedere al vescovo settantaduenne il coadiutore, ma non trovava opportuno fare una eccezione proprio in quel momento, mentre si discuteva della riforma della Curia. Probabilmente la richiesta fu respinta perché il B. chiedeva che al parente coadiutore fosse concesso il diritto di succedergli come vescovo. Comunque la risposta del pontefice sembra più un pretesto per evitare concessioni a persona di poca importanza, che richiamo a una prassi generale, perché molte concessioni del genere furono fatte sotto lo stesso pontefice, per quanto si trattasse di uno dei più deplorati abusi dei curiali.
Nei momenti critici del 1562 il B. è annoverato tra i prelati espressamente e formalmente obbligati dal papa a rimanere a Trento, con grande loro onore, come commenta il Pallavicino, perché ciò equivaleva a dichiararli "strumenti conosciuti dal Pontefice per non dannosi" alla causa della Sede apostolica. Ma gli storici moderni del concilio di Trento non riportano il suo nome neppure quando parlano dei prelati "zelanti".
Il B. si fece notare per l'intransigenza nella questione del calice ai laici e durante la discussione intervenne presentandosi come ben informato testimone del reale pensiero di Paolo III a tale proposito. Nella questione della residenza dei vescovi si dichiarò favorevole all'obbligo della residenza., proponendo però (unico fra i votanti) per iscritto alcune clausole tendenti a renderlo meno rigoroso, e chiedendo che l'adempimento dell'obbligo stesso non fosse affidato a visitatori apostolici, essendo secondo lui sufficiente il controllo del metropolitano, secondo uno schema che fu adottato da Pio IV e Pio V.
Anche a Trento il B. fu incaricato di tenere orazioni di circostanza. La più nota è quella per l'apertura della XIX sessione, pronunciata il 14 maggio 1562, pubblicata da I. Le Plat (Documenta ad historiam concilii Tridentini, I, Lovanii 1781, p. 406) e riprodotta dall'Ehses. In essa il B. denunciava l'invadenza delle dottrine ereticali che, o per la malvagità dei nemici della Santa Sede, o per la negligenza dei fedeli di essa, avevano varcato i confini d'Italia e si facevano sempre più vicine e minacciose; anche se per il momento molti eretici si tenevano celati per timore di venir puniti, alla prima occasione favorevole sarebbero passati all'attacco. Al concilio spettava vigilare e provvedere per impedire il sovvertimento e superare il momento di crisi.
In questo discorso il B. celebrò l'importanza del concilio in termini tali da destare i sospetti del Simonetta; egli infatti dichiarava "summam esse auctoritatem concilii", il che poteva significare che l'autorità del concilio era superiore a quella del papa. Il Seripando aveva avvertito il B. di non usare il termine "summam"; ma per parte sua non dava importanza alla cosa: "non è possibile questi humanisti ritirargli da le parole che hanno concetto nell'animo suo, ma che non intendono poi che cosa importino". Il Simonetta conservava invece i suoi sospetti: il B. aveva bensì lodato il papa, "ma dell'autorità sua non si è riscaldato".
Il B. ebbe anche l'incarico di pronunciare il discorso di complimento all'oratore di Filippo II, Galeazzo Brugora, e di rispondere alla nota dei Francesi del 3 giugno 1562, nella quale erano avanzate riserve circa la legittimità dei concili precedenti, che non sarebbero stati liberi bensì soggetti all'intervento di autorità e poteri esterni. A nome del concilio, egli scrisse un'orazione in cui ribadiva la legittimità e la dignità dei concili precedenti. L'oratore di Carlo IX, Guy de Faur, aveva nella stessa occasione esortato i padri conciliari a sospendere il concilio e ad indirne un altro, nel quale la libertà fosse garantita dalla presenza di delegati di professione luterana. Il B., favorevole all'invito dei luterani, si oppose però energicamente a qualsiasi proposta di dilazione, dicendo che non si poteva indugiare ulteriormente, e che anzi bisognava affrettare i lavori, "ne dum Romae consulitur Saguntum expugnetur". Già nel febbraio egli aveva votato contro il decreto che fissava il 14 maggio quale data di apertura della sessione successiva del concilio, e aveva chiesto per iscritto un abbreviamento del termine, dimostrando che la dilazione era infruttuosa per i luterani, di cui si auspicava l'intervento, e dannosa per i cattolici. Lasciò definitivamente il concilio nel giugno del 1563.
Il B. morì nella sua diocesi nel 1566.
Fonti e Bibl.: S. Merkle, Conc. Tridentinum, ed. Soc. Goerresiana, II, Friburgi Brisgoviae 1911, pp. CI, 26, 302, 307, 310, 317, 330, 359, 511;S. Ehses, ibid., VIII, Friburgi Brisgoviae 1919, pp. 313, 353, 493, 496, 519, 827; P. S. Pallavicino, Veraconcilii tridentini historia, Antverpiae 1673, II, pp. 180, 261, 281; III, p. 44;J. Susta, Die römische Curie und das Konzil von Trient unter Pius IV, I, Wien 1904, p. 149; II, ibid. 1919, pp. 2, 128-129, 217-219, 563; IV, ibid. 1914, p. 96;C. Eubel, Hierarchia catholica…, III, Monasterii 1923, pp. 97, 311; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., VIII, p. 873.