Bertoldi, Giovanni (Giovanni da Serravalle)
Commentatore della Commedia (Serravalle, presso San Marino, 1350 o 1360 - Fano 1445). Entrato nell'ordine dei frati minori, si fece notare ben presto per le sue doti di cultura, sicché negli anni attorno al '90 si recò a Roma, chiamato da Bonifacio IX perché esponesse come lettore di teologia i quattro libri delle Sentenze di Pietro Lombardo nelle scuole del Palazzo apostolico. Insegnò dal 1393 al 1397 teologia a Firenze nel convento del suo ordine, come afferma nel suo Commento. Dopo un pellegrinaggio in Terra Santa nel 1398, G. ebbe modo di ritornare abbastanza di frequente in Firenze. Verso la fine del 1410 fu creato vescovo di Fermo da Gregorio XII, a cui egli si era mantenuto fedele nel corso del grande scisma. Dal 1414 al 1418 fu al concilio di Costanza: qui, per esortazione di alcuni prelati inglesi, stese in pochissimo tempo una traduzione latina della Commedia (gennaio-maggio 1416) e il commento alle tre cantiche (febbraio 1416-gennaio 1417).
Il Commento di G. riprende quello famoso del suo maestro, Benvenuto da Imola, che egli dovette conoscere, secondo quanto ha potuto dimostrare il Barbi, attraverso la redazione trasmessaci dal codice Ashburnhamiano 839. Da tale fonte derivano non solo gli elementi per la spiegazione della lettera o le notizie su fatti e personaggi contemporanei al poema (per i quali sarebbe stato più difficile trovare più sicuri punti di riferimento), ma anche tutto quanto è detto a proposito dei numerosi riferimenti al mondo classico contenuti nella Commedia. Il suo commento tende costantemente ad ampliare quanto detto nel suo modello, rendendo esplicito ciò che in Benvenuto era appena accennato, a volte trasformando in vere e proprie novellette, non prive di una loro grazia e vivacità, gli accenni e le notizie sobriamente esplicative dell'Imolese. Neppure la sua stessa professione di religioso porta G. a insistere soverchiamente sui numerosi riferimenti teologici che il testo commentato poteva offrire. In conclusione, il Serravalle non apporta alcun sensibile progresso nella chiosa della Commedia: ciò spiega la sua scarsa diffusione, indicativa del fatto che, anteriormente al commento landiniano (veramente innovatore in senso umanistico) i lettori preferirono ricorrere alle precedenti chiose, come più opportune e più vicine al testo commentato. La vera importanza del commento di G. va dunque ricercata altrove, e cioè nel suo valore storico, dovuto all'ambiente del concilio di Costanza in cui il Commento dichiaratamente affonda le sue radici: e in effetti, in quell'atmosfera di riforma della Chiesa " in capite et membris ", il messaggio dantesco privato di quanto in lui vi era di troppo partigiano e contingente, acquistava all'improvviso una sua autorità e un suo significato. In effetti, in tutto il Commento sono moltissime le sottolineature esplicite e compiaciute dei numerosi appelli di D. per una riforma spirituale: in un passo è addirittura orgogliosamente proclamato che egli compone il suo commento in qualità di vescovo, e ne sono sottolineate le finalità morali: " vero ego audeo dicere ‛ episcopus scribens et glossans ' librum Dantis: miror quomodo homo qui istum librum studet vidit et intelliget, non melioret vitam suam ". La chiosa dei Serravalle dunque, nel suo robusto e vivace latino, era piuttosto destinata alla diffusione dell'opera dantesca in una provincia culturale non italiana, ma europea (tra l'altro il commento e la traduzione di G. costituiscono il primo e fondamentale momento della fortuna di D. in Germania): non a caso il vescovo francescano è il primo deciso divulgatore della leggenda di D. studente non solo a Parigi, ma anche a Oxford.
Il commento del Serravalle si situa quindi in una sua ben precisa dimensione, che non è, o non vuol essere, letteraria e retorica, ma piuttosto rivolta a trarre dal testo tutte le possibilità offerte da una moralità vivace e risentita. Agli stessi scopi di divulgazione risponde anche la versione latina della Commedia in una prosa vivace e colloquiale, mirante soprattutto a tenersi stretta alla lettera del testo, anche a costo di una " privatio dulcedinis complacentiae et pulchritudinis rytmorum " dallo stesso autore riconosciuta.
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