BOCCALINI, Giovanni
Figlio di Francesco e di una Francesca di ignoto casato, nacque probabilmente a Carpi, intorno al 1520.
La famiglia, di origine popolana, portava da due secoli il cognome di Ribaldi. Un rogito del 1324 menziona il casato già diviso in più rami, ma il più antico ascendente diretto di cui resti notizia è un Albertino, di mestiere sellaio, già defunto nel 1417, anno in cui suo figlio Paolo Annesio possedeva in Carpi una casa nel borgo di S. Antonio, esercitandovi l'arte paterna di pellicciaio e cuoiaio. Dalla moglie Agnesina Papazzoni Paolo Annesio ebbe sei figliuoli, che da lui furon detti dei Ribaldi "Poglianesi", ma uno solo di questi, Nicola, ebbe discendenza maschile. Menzionato in atti dal 1449 al 1483, anno in cui morì, costui ebbe in moglie una Giovanna Scaglia e lasciò la sua casa nel borgo di S. Antonio al figlio Giovanni, che vi impiantò una fornace e vi cosse stoviglie, traendo così dall'arte del vasaio o "boccalaria" il soprannome di Boccalino, perpetuatosi poi nel suo ceppo. Nel 1495 Giovanni vendette la fornace ed entrò al servizio di Alberto Pio, signore di Carpi, quale sovrintendente alla villa e alle terre che i Pio possedevano a Rovereto (fraz. di Novi di Modena), ma continuò ad aver casa a Carpi, dove morì nel 1505.
Al servizio dei Pio rimase l'unico figlio di Giovanni, Francesco, che abbracciò il mestiere delle armi: ricordato fra gli uomini d'arme sin dal 1502, divenne poi capitano dei balestrieri e servì per vent'anni il suo signore, fino al gennaio del 1523, quando truppe spagnole occuparono Carpi in nome dell'imperatore, spodestando Alberto Pio, colpevole di aver parteggiato per i Francesi. Genti fedeli al Pio tennero però la cittadella di Reggio fino al 13 agosto e la notte del 31 duecento fanti e venti cavalli comandati da Sigismondo Santi e dal Boccalino rioccuparono di sorpresa Carpi, restaurandovi la signoria del Pio e mettendo a sacco le case dei fautori imperiali. Fu un ritorno passeggero, perché la sconfitta di Pavia (24 febbr. 1525) fece crollare il sistema delle alleanze francesi in Italia: Carpi venne rioccupata dagli Spagnoli, fu duramente taglieggiata e il 31 dic. 1526 un decreto di Carlo V la assegnò definitivamente al dominio estense. Il fedele capitan Boccalino si vide sequestrare casa e poderi, dovette lasciare la città e, almeno dai primi del 1529, trovò sistemazione quale intendente dei Gonzaga in Rivarolo, dove si perdono le sue tracce.
Dei primi anni del B., dell'ambiente, degli studi non si ha notizia di sorta; l'unico scritto di sua mano finora rintracciato, una tarda lettera del 1575 al cardinale Giulio Della Rovere, mostra l'ortografia incerta e il lessico di un incolto, che non ha fatto buoni studi di umanità; nulla si sa dei suoi maestri, né delle sue prime prove di architetto. Egli sembra perciò uscire dal nulla, nel settembre 1555, quando il cardinale Rodolfo Pio, protettore della S. Casa di Loreto, lo nominò architetto di quelle insigni fabbriche, chiamandolo a succedere ad un altro carpigiano, Galasso Alghisi. Memore dell'antica fedeltà dei Boccalini al suo casato, il Pio rilasciava al B., il 21 ott. 1555, le patenti di nomina, che gli assicuravano le usuali provvigioni e uno stipendio annuo di 345 scudi, che gli venne poi corrisposto senza variazione di sorta per venticinque anni.
Nel complesso della S. Casa di Loreto l'opera del B. fu assai limitata poiché la costruzione, avviata nel 1468, era ormai tutta compiuta tranne che nella facciata esterna, per la quale il Bramante nel 1509 aveva delineato un progetto ampio e solenne. L'anno dopo lo stesso Bramante aveva fatto eseguire il modello in legno del palazzo apostolico destinato a cingere su tre lati la vasta piazza antistante il tempio, ma il progetto bramantesco venne modificato nel 1517 da Antonio da Sangallo, il quale previde un doppio ordine di portici e loggiati su tre lati della piazza, con forti torri quadre, angolari, e disegnò le porticine con finestrelle affiancate sotto un unico timpano, che vennero fedelmente eseguite sotto il porticato inferiore. Ma i lavori procedettero con estrema lentezza, tanto che nel 1556 non s'era andati oltre l'undicesimo pilastro del lato settentrionale. Il B. diede impulso a questa fabbrica, ma senza nulla mutare del progetto del Sangallo: più esecutore fedele, quindi, che ideatore. Completò la fiancata, eresse il loggiato superiore con i pilastri ionici, le solenni balaustrate su gradini, le sobrie finestre (ma solo le tre prime recano sul frontone il nome del Pio, che morì nel 1564, mentre le successive, che le ricalcano, sono posteriori al 1587), i solenni portali ispirati a un gusto manieristico non ancora trasmodante nel puro capriccio (due fogli con studi sono conservati al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi: inv. N 231 A e N 232 A). Molto più tardi il B. avviò anche la costruzione del lato ovest del palazzo, quello che fronteggia la chiesa, ma non dovette vederne compiuto neppure il piano terreno, perché la cornice del basamento esterno reca la data del 1579.
Alla morte del cardinal Pio (2 maggio 1564), la protezione della S. Casa passò al cardinale Giovanni Morone, che vi rinunciò con diritto di regresso, venendo sostituito (15 dicembre) dal cardinale Giulio Della Rovere. Sotto il nuovo protettore il B. conservò il suo ufficio, mettendo mano a numerosi lavori di modesto risalto. Sotto il governo di Pompeo Pallantieri (settembre 1564-aprile 1566) risarcì la copertura di piombo della cupola e la decorò all'interno di stucchi, fra i quali otto grandi stemmi papali e cardinalizi: furono ridipinti e dorati dal Pomarancio quando decorò la cupola, come appare dalla stima del 1615 pubblicata in occasione della distruzione totale della decorazione (Gianuizzi, 1895).
Ma l'attività maggiore del B. si svolse sotto il governo di Roberto Sassatelli (1569-1576), che avviò i lavori della facciata e fece costruire un apposito barcone per condurre attraverso l'Adriatico i grandi blocchi di pietra d'Istria necessari all'opera. Il B. si apprestò (1571) a realizzare, con scarso apporto personale, non il progetto del Bramante, bensì quello del Sangallo. La facciata da lui eseguita mostra infatti l'ordine inferiore scandito da quattro gruppi di lesene binate, con forte aggetto, che trovano esatto riscontro nei progetti del Sangallo; quanto all'ordine superiore col grande arcone centrale che spinge in alto il timpano, celando del tutto la vista della cupola, esso è da assegnare per intero a Lattanzio Ventura, se si avverte che il cornicione del primo ordine reca la data del 1583, posteriore d'un triennio alla morte del Boccalini.
Continuatore di opere da altri delineate, il B. si presenta come un tecnico di serio impegno, non privo di gusto imitativo, ma povero di cultura e inventiva, artefice probo, ma non artista. Gli altri lavori, di modestissimo rilievo architettonico, si riducono alla rustica edicola della fontana del Carpino (1572), a quella della Croce sulla via di Montereale con l'elegante croce a stile greca lobata (1573), alla Buffaloreccia, dotata di due vasche e di un elegante corpo ottagono centrale a cielo aperto, eretta al piede del colle per dissetare i bufali che trascinavano i massi destinati alla facciata. Il B. dovette poi attendere in quegli anni a lavori di sistemazione viaria (la spianata di monte Ciotto, i lastricati), alla conduzione di acquedotti, al risanamento delle paludi.
Poco si sa dell'attività del B. fuori di Loreto: nel 1578 disegnò un camino per una sala del palazzo comunale di Recanati, nel '75, per conto del cardinale Della Rovere, diresse lavori di restauro a Ravenna, dove sollevò il pavimento, consolidò le colonne e rinnovò la decorazione della basilica Ursiana, che minacciava rovina e venne poi demolita nel 1733. Nessun documento attesta che egli abbia lavorato per il Della Rovere o per altri in Roma, ma certo vi acquistò una casa e vi trasferì la famiglia: l'edificio sorgeva sul Corso, di fronte al palazzo Rucellai (oggi Ruspoli) sull'attuale largo Goldoni, accanto a un palazzetto dell'Ammannati (ora Ospizio Trinità di Castiglia) e doveva essere assai decoroso. se la volta dell'atrio venne ornata "con varie belle invenzioni e grottesche" da Antonio Tempesta (Baglione). Il 26 giugno 1576 il B. ottenne la cittadinanza romana. Le condizioni della famiglia non andarono mai al di là di una modesta agiatezza.
Il B. morì a Loreto il 22 dic. 1580; in quel mese apparve nel libro mastro della S. Casa l'ultimo accredito a suo favore per un totale di 466 scudi e 30 baiocchi.
Scarse notizie si hanno del suo nucleo famigliare (tratte dai Libri baptizatorum della S. Casa): della moglie ci resta forse il nome in un atto di battesimo del 1569, nel quale appare come madrina una "Giulia de l'Architetto"; dei figli s'ha memoria di un Adriano e di un Policarpo, viventi nel 1584; uno di questi, o forse un altro, innominato, abbracciò lo stato ecclesiastico e godette rendite d'una badia in Francia; un quarto, probabilmente il minore, fu il celebre Traiano; delle figlie, una Laura era viva a Loreto nel 1617, una Caterina vi sposò Rocco Serafini, capitano di cavalleria, ed è ancora citata in un atto del 1629. La discendenza dei Boccalini a Loreto si estinse solo nel 1893.
Fonti e Bibl.: Sulla famiglia: Carpi, Bibl. Comunale, Arch. Guaitoli, filze 102. VI, 124. XI; G. Maggi, Memorie istoriche della città di Carpi, Carpi 1707, pp. 95, 144-146; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, I, Modena 1781, pp. 285-7; G. Panciroli, Storia della città di Reggio, II, Reggio Emilia 1848, p. 194; A. Ricci, Storia dell'architettura in Italia, III, Modena 1859, pp. 182, 483, 509; P. Guaitoli, Di T. Boccalini e della sua famiglia, in Alberto Pio, II (1872), pp. 98-100, 124 s.; Id., Carteggio tra l'ab. G. Tiraboschi e l'avv. E. Cabassi, Carpi 1894-95, pp. 14, 17 s., 22, 66, 86, 137, 139 s., 182 s., 185, 312, 380-383, 638. Sui lavori di Loreto: Loreto, Arch. della S. Casa, Istrumenti, VI, cc. 234 s.; Ibid., Libri mastri, 1556-1580; Ibid., Liber baptizatorum, I, cc. 12, 93; V, cc. 82, 101; VI, cc. 46, 73; G. Vasari, Le vite..., a cura di G. Milanesi, IV, Firenze 1879, p. 521; V. Briganti, Breve compendio..., in G. Angelita, Historia della translatione della S. Casa..., Ancona 1582, p. 10; O. Torsellini, Lauretanae Historiae..., Romae 1597, p. 191; e le guide di Loreto posteriori sino a Floriano da Morovalle, Loreto nell'arte, Genova 1965, pp. 22, 44, 57. Vedi inoltre: P. Zani, Encicl. metodica... delle belle arti, I, 16, Parma 1823, p. 90; A. Ricci, Mem. stor. delle arti e degli artisti della Marca di Ancona, Macerata 1834, II, pp. 8 s., 185; G. Moroni, Diz. di erudiz. stor. eccles., XXXIX, Venezia 1846, pp. 269, 271; P. Gianuizzi, La Chiesa di S. Maria di Loreto, in La Rass. naz., IV (1884), pp. 429-457 (passim); Id., Dell'architetto di S. Casa..., in Arte e Storia, IV (1885), pp. 206 s.; Id., Nuovi doc. sugli affreschi del cav. Pomarancio già esistenti nella cupola di Loreto, in Nuova rivista misena, VIII (1895), pp. 39 s.; S. Serre, L'arte nelle Marche, Roma 1934, p. 54; Floriano da Morovalle, L'Arch. stor. della S. Casa di Loreto, Città del Vaticano 1965, pp. X, XV, XCI; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, XXVIII, p. 227 (sub voce Ribaldi, Giovanni). Sui restauri a Ravenna: Pesaro, Bibl. Oliver., cod. 375, IX, cc. 145 s. (lettera del B. al card. G. Della Rovere); G. Rossi, Historiae Ravennates, Venetiis 1589, p. 766. Sul camino di Recanati: M. Leopardi, Annali di Recanati, II, Varese 1945, p. 264. Sulla casa di Roma: G. Baglione, Le vite de' pittori..., Roma 1642, p. 315; F. Baldinucci, Cominciamento e progresso dell'arte dell'intagliare in rame..., Firenze 1686, p. 31; L. Salerno, in Via del Corso, Roma 1961, pp. 153 s. Sulla cittadinanza romana: Roma, Archivio Stor. Capitolino, Decreti, I, XXVIII (25-26 giugno 1576). Data della morte in G. Mestica, T. Boccalini e la letteratura critica e politica del Seicento, Firenze 1878, p. 90 (senza rinvio alla fonte).