BOLOGNA, Giovanni
Nato a Pontremoli da Paolo e da Teresa Mastrelli il 30 luglio 1781, fu educato dal fratello maggiore, arciprete. Studiò prima a Parma, poi a Pisa, dove si laureò in giurisprudenza nel 1805. Scrisse anche alcuni versi lodati dal Monti, ma abbandonò presto la letteratura e stabilitosi a Firenze fece pratica di avvocato nello studio di T. Poschi. Nell'ottobre 1811 fu nominato consigliere auditore della corte imperiale di Firenze e nel 1814, durante il breve periodo murattiano, fu promosso quarto sostituto procuratore generale della corte. L'aver sostenuto uffici sotto il governo francese non procurò danni alla sua carriera al ritorno dei Lorena. Infatti in quello stesso 1814 fu nominato segretario alla presidenza del Buon Governo, una magistratura che esercitava un largo potere giudiziario e politico su tutta la Toscana ma soprattutto svolgeva funzioni di polizia. Ivi rimase fino al 1823, ma nel frattempo fu commissario regio a Pistoia nel 1820-21.
Nell'aprile 1823 fu nominato auditore della Ruota criminale. In verità non aveva gran competenza in materia: lo riconosceva lui stesso e perciò chiese di mutare ufficio. Non gli fu concesso; si pose allora a un approfondito studio del diritto penale e vi si perfezionò talmente da conseguire nel 1827 la nomina a professore di diritto criminale a Firenze.
Non rimase molto tempo in cattedra: nell'agosto del 1832 infatti tornò al Buon Governo, questa volta, però, con l'incarico di presidente.
L'incarico non si presentava facile: il B. era chiamato a sostituire Torello Ciantelli che lasciava di sé un pessimo ricordo per aver introdotto in Toscana un regime di severità poliziesca fino allora ignoto. Il B. diede prova di mitezza, di prudenza e seppe superare bene il difficile periodo in cui l'attività mazziniana si fece più intensa e preoccupò maggiormente le polizie degli Stati italiani. Poi prese a occuparsi della riforma della polizia e del sistema carcerario, che era molto arretrato e, infine, dal 1838 partecipò agli studi per la riforma del codice penale.
Nel 1847 si dimise dalla presidenza del Buon Governo, soppressa subito dopo; passò alla Consulta, poi al Consiglio di Stato e continuò ad occuparsi della preparazione del nuovo codice penale.
Nei mesi più burrascosi del 1848-49 rimase a Firenze senza subire molestie da parte del governo Guerrazzi. Dopo la restaurazione tornò al Consiglio di Stato e nel 1850 fu nominato ministro degli Affari ecclesiastici, succedendo al Mazzei. Contrario di massima ai concordati e agli accordi verbali, trovò la situazione già compromessa dalle precedenti trattative e dalla ferma volontà del granduca di accettare le richieste pontificie. Cercò di difendere gli interessi della Toscana; nel conflitto fra il Baldasseroni e il granduca si schierò col primo, ma, legato da un vivo ossequio al principe, cedette e si rassegnò ad applicare le clausole di un trattato che non aveva interamente approvato. E così pure dovette accettare il ripristino della pena di morte, da lui osteggiata e inserita poi nel nuovo codice emanato nel 1853.
Ammalatosi alla fine del 1856, chiese i conforti religiosi e fu spinto a una ritrattazione della sua opera; il che poi provocò vivaci polemiche.
Il B. morì a Firenze il 5 gennaio dell'anno 1857.
Fonti e Bibl.: Le carte del B. si conservano alla Bibl. Marucelliana di Firenze. V. Monti, Epistolario, a cura di A. Bertoldi, Firenze 1930, V, pp. 201-202; M. Tabarrini, Notizie sulla vita del cons. B., Firenze 1857; G. Baldasseroni, Leopoldo II, Firenze 1871, passim; P. Bologna, G. B., la riforma penale inToscana e il Concordato del 1851, Firenze 1898; A. M. Bettanini, Il Concordato di Toscana, Milano 1933, pp. 143-144 e passim; R. Mori, Il Concordato del 1851 tra la Toscana e la S. Sede, in Archivio storico italiano, XCVIII (1940), pp. 41-82, passim; G. Baldasseroni, Memorie, a cura di R. Mori, Firenze 1959, passim; Atti della Reale Consulta di Statodel Granducato di Toscana, a cura di F. De Feo, Milano 1967, pp. XXX-XXXI; G. Martina, Pio IX e Leopoldo II, Roma 1967, p. 303 n. e passim.