GIOVANNI Bono (Giambono, Zanibono, Zannebono)
Nacque a Mantova, verosimilmente nel 1168 o nel 1169, forse da famiglia benestante, anche se è priva di fondamento documentario la tradizione tardiva secondo cui egli sarebbe appartenuto al casato nobiliare dei Bonomi. Il nome, invece, gli sarebbe derivato, secondo quanto afferma intorno alla metà del secolo XV il suo primo biografo, Antonino Pierozzi vescovo di Firenze, da quello dei genitori, Giovanni e Bona, e già nella documentazione antica appare sotto la forma di "Zanibonus", "Jambonus", "Zanebonus".
Alla morte del padre G., appena quindicenne, abbandonò la madre - che nel frattempo, come avrebbe notato l'antico biografo mirando a evidenziare un parallelismo tra la conversione di G. e quella di s. Agostino, continuava a pregare, nuova s. Monica, perché il figliuolo si volgesse a Dio - e prese a vagabondare per le piazze e le corti d'Italia guadagnandosi da vivere come giullare.
Ormai quarantenne, circa il 1208, G. si ammalò gravemente e, per adempiere a un voto fatto a Dio di abbandonare il secolo qualora gli fosse stata concessa la guarigione, si dedicò a una vita di ascesi e di penitenza dopo aver confessato i propri peccati al vescovo di Mantova. Intorno al 1211, morta la madre e lasciata la città natale, si ritirò in Romagna a far vita da penitente: dopo una prima sosta a Bertinoro si rifugiò in un luogo ancor più isolato, presso Butriolo, circa due miglia a sud di Cesena, nella valle del torrente Cesuola. Qui, come avrebbero notato con insistenza decine di testimoni al processo di canonizzazione, G. si dedicò a una severa ascesi contemplativa e penitenziale (digiuni, astinenze, mortificazioni corporali, lacrime di compunzione) e alla continua recita delle poche preghiere che aveva imparato a memoria (era infatti un illitteratus).
Ben presto la fama di santità, procuratagli dalla sua aspra disciplina ascetica, e la voce dei primi miracoli compiuti per sua intercessione richiamarono intorno al suo eremo e alla sua persona una folla crescente di fedeli e di curiosi di ogni ceto e condizione sociale, bramosi di vederlo, toccarlo e ascoltarne la vivente testimonianza di perfezione cristiana. Egli, infatti, era solito tenere dei brevi sermoni di carattere parenetico, che dovettero forse procurargli qualche problema con l'ordinario diocesano locale (fu chiamato a discolparsi di fronte al vescovo di Cesena riguardo a non specificati capitula), come paiono confermare anche indirettamente alcune dichiarazioni dei testimoni al processo di canonizzazione, nelle quali si sottolinea con sospetta insistenza come G. esortasse i suoi seguaci e ascoltatori a mantenersi fedeli alla Chiesa, obbedienti al papa (riconosciuto come vicario di Cristo e titolare della pienezza della potestà petrina di legare e di sciogliere in questo mondo), e soprattutto a riprovare e rifuggire gli eretici (catari e patarini) guardandosi da tutti quei figli della perdizione (inclusi i seguaci dell'imperatore scomunicato Federico II, che si recavano di persona, come tutti gli altri, a visitarlo presso l'eremo di Butriolo) i quali non avrebbero potuto salvarsi se non fossero ritornati all'obbedienza al papa e alla Chiesa di Roma.
La spiritualità di G. doveva altresì presentare, agli occhi dei contemporanei, sorprendenti analogie con quella coeva di Francesco d'Assisi: oltre all'esortazione al rispetto assoluto per il ministero sacerdotale (inclusi i chierici peccatori), si distingueva per l'intensa devozione eucaristica; più tardi, verso il 1238, anche G., come Francesco, forse amareggiato dai dissapori e dai primi conflitti insorti tra i frati, avrebbe rinunciato al governo della sua nuova religio eremitica. Non è forse un caso che, a partire dal Cinquecento, si sia diffusa la pia leggenda (basata su errati presupposti cronologici) secondo cui Francesco, nei due anni precedenti la fondazione dei minori, sarebbe stato discepolo di Giovanni Bono. Tra i minori e i seguaci di G. si sviluppò in seguito una penosa vicenda di concorrenza mimetica, foriera di una dura polemica.
Perlomeno dal 1217 si era stabilita intorno all'eremo di Butriolo una piccola comunità di asceti (chierici e laici) che seguivano l'esempio e l'insegnamento di G. e che premevano per vedersi riconosciuto il diritto a condividerne la specifica conversatio. Così, il vescovo cesenate Oddone acconsentì alla richiesta di G. di poter dare inizio a una vera e propria comunità (domus) presso la chiesetta edificata in onore della Vergine. A partire da quel momento sarebbero sorte analoghe fondazioni di domus a Bertinoro, Bologna, Mantova, e poi nelle Marche, in Toscana e nelle Venezie.
Come possiamo ricostruire dalla bolla Admonet nos cura di Innocenzo IV (14 apr. 1253), intorno al 1225 - anche in ottemperanza al precetto del concilio Lateranense IV che imponeva ai religiosi l'adozione di una delle regole approvate - i giamboniti ottennero dalla S. Sede di professare secondo la regula sancti Augustini e le specifiche costituzioni dell'Ordine, del cui tenore, però, sappiamo ben poco e che dovevano fissare le forme di ricaduta quotidiana del precetto di povertà mendicante (come nel caso della questua laicale), la formazione dei novizi, le mansioni e gli uffici dei conventi, i curricula studiorum, e così via. La scelta dell'abito, poi mutato e definito una volta per tutte dalla bolla Dudum apparuit di Gregorio IX, del 24 marzo 1240 (non più grigio ma nero, cinto da una correggia di cuoio che consentisse di vedere le calzature diverse da quelle francescane, maniche larghe e fluenti e un bastone di almeno 5 piedi di altezza), avrebbe comportato aspre polemiche per l'oggettiva concorrenza (con ampia ricaduta economica) che essa veniva a determinare a causa della foggia simile a quella dei frati minori. Tale vicenda, stando ad alcune testimonianze al processo di canonizzazione, avrebbe altresì causato penose sofferenze allo stesso G., che, pur sopportando pazientemente quelle tribolazioni, si sarebbe visto sottrarre numerosi frati, al punto che severe disposizioni papali sarebbero intervenute, in anni successivi, a disciplinare con la minaccia di scomunica e della prigione la deplorevole azione dei frati transfughi. Sempre nel 1225 G., forte ormai della sua fama di mediatore carismatico, fu incaricato di svolgere funzioni arbitrali nell'ambito degli annosi conflitti tra Ravenna e Cervia.
L'appartenenza di G. e dei suoi eremiti all'Ordine agostiniano risulta in ogni caso confermata da una carta del 17 ag. 1231 (Bibliotheca sanctorum, col. 629), in cui si ricorda una donazione di terreni e di boschi a tale Bartolo, fiduciario di G., priore dell'eremo di Cesena ("in nomine fratris Zaniboni, prioris heremi de Cesena ordinis S. Augustini"). Di tale responsabilità egli dovette rimanere titolare sino al 1238, quando, con la sua rinuncia alla qualifica di priore di Butriolo e del titolo associato di priore generale della Congregazione, e la sua designazione a succedergli (approvata dal locale vescovo Manzino) di frate Matteo da Modena, vennero alla luce i primi contrasti legati alla difficoltà di mantenere radicata in una mera dimensione diocesana una religio che si andava diffondendo ben al di là del territorio cesenate, e che già verso il 1240 appare embrionalmente articolata in tre province (Lombardia, Romagna transpadana e Romagna cispadana). A seguito delle richieste di due confratelli che si erano recati di persona a Lione presso la Curia di Innocenzo IV, gli eremiti di G., con la bolla Religiosam vitam eligentibus (26 apr. 1246), il cui tenore rispecchia il formulario proprio alle solenni approvazioni papali delle più importanti comunità religiose, ottennero dal papa alcune importantissime concessioni: un cardinale "governatore", nella persona di Guglielmo Fieschi, nipote del papa, la protezione apostolica su tutte le domus della Congregazione con la conferma dei loro beni e possedimenti, e la piena immunità dalla giurisdizione vescovile con l'assoggettamento diretto all'autorità pontificia. Di lì a qualche mese lo stesso Innocenzo IV, con la bolla Vota devotorum (26 sett. 1246), concedette ai frati sacerdoti, subordinandolo al permesso dei rispettivi ordinari e dei parroci titolari, il diritto di confessare e predicare.
Questi e altri provvedimenti configurarono una profonda trasformazione dell'originaria comunità di vocazione eremitica di G. sottoponendola a un processo inesorabile di clericalizzazione che l'avrebbe assimilata nello statuto e nei compiti pastorali di predicazione apostolica e di evangelizzazione ai due maggiori ordini mendicanti. Ne conseguì uno scisma apertosi nel 1249 con le dimissioni "per incapacità" dal generalato di frate Matteo da Modena, che convocò il capitolo generale da celebrarsi a Ferrara il 17 ottobre di quell'anno. Con le nuove procedure elettive il conferimento del titolo di priore generale della Congregazione al titolare della casa madre di S. Maria di Butriolo non sarebbe più stato automatico (significativa, in questo senso, anche la modifica apportata alla formula di professione religiosa, in cui veniva per sempre omesso il richiamo all'obbedienza al priore cesenate). La conseguenza fu che i frati di Butriolo non accettarono queste decisioni, che venivano a determinare l'obliterazione totale delle radici cesenati della comunità, e, con l'approvazione del vescovo locale Manzino, nominarono un proprio priore, nella persona di Marco da Cesena, secondo le vecchie procedure informali. La frattura venne sanata solamente tre anni più tardi, grazie alla mediazione del vescovo di Padova Giovanni Battista Forzatè e di frate Simone da Milano, con conseguente convocazione a Bologna di un nuovo capitolo generale, dove i due priori rivali si sarebbero dimessi consentendo l'elezione di un nuovo generale nella persona di Lanfranco da Settala, già priore della domus di S. Giacomo di Savena (Bologna) e futuro primo generale degli agostiniani.
Nel marzo 1256 i giamboniti, con altri gruppi religiosi regolari di matrice eremitica (brettinesi, eremiti di S. Guglielmo, eremiti del monte Favale), sarebbero confluiti nel grande Ordine degli eremitani di S. Agostino (bolla Licet ecclesiae di Alessandro IV, del 9 apr. 1256).
Nel frattempo, a scisma scoppiato, l'8 ott. 1249 G., ormai ottantenne, decise, fra lo sconcerto e lo smarrimento dei confratelli e di tutti i fedeli, di ritornare a Mantova, presso l'eremo di S. Agnese in Porto, dove morì il successivo 16 ottobre (e non il 23, come di solito si ritiene, secondo la menzione nel Martyrologium Romanum).
Nel 1251 iniziò il processo di canonizzazione, tenutosi a Mantova e a Cesena negli anni 1251, 1253 e 1254, nel corso del quale frati, chierici e laici - specialmente di umili condizioni sociali - con suggestive deposizioni diedero ampia testimonianza di prodigi taumaturgici operati da Giovanno Bono. Questo processo, però, si interruppe nel 1254 alla morte di Innocenzo IV (gli atti, conservati presso l'Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 3305, furono editi da E. Carpentier, sulla base di una buona trascrizione del secolo XVIII, in Acta sanctorumoctobris, pp. 771-785). Sisto IV con la Licet Sedes apostolica ne autorizzò il culto come beato. Nel 1585 i Gonzaga cercarono invano di ottenerne la canonizzazione.
Fonti e Bibl.: Bullarium Ordinis eremitarum S. Augustini. Periodus formationis (1187-1256), a cura di B. van Luijk, Würzburg 1964, pp. 22 ss. n. 22, 24 ss. n. 24, 66 ss. n. 78, 71 ss. n. 87, 79 ss. n. 102, 128 ss. n. 163; De B. Ioanne Bono… Commentarius praevius, a cura di E. Carpentier, in Acta sanctorum octobris, IX, Bruxellis 1858, pp. 693-746; Summarium vitae [tratto dalle Cronache di Antonino Pierozzi], ibid., pp. 746E-747; A. Calepino, Vita, ibid., pp. 748E-767; C. Ferrarini, La leggenda del b. Zannebono da Mantova, in Accademie e biblioteche d'Italia, X (1936), pp. 263-266; Propylaeum ad Acta sanctorum decembris. Martyrologium Romanum, Bruxellis 1940, p. 541; F.X. Roth, Der selige Johannes Bonus, in Cor unum, VII (1949), pp. 43-51, 69-76; B. Rano Gundín, Fr. Juan Bueno, fundador de la Orden de los eremitaños, in Archivo augustiniano, LVI (1962), pp. 157-202; K. Elm, Italienische Eremitengemeinschaften des 12. und 13. Jahrh. Studien zur Vorgeschichte des Augustiner-Eremitenordens, in L'eremitismo in Occidente nei secoli XI e XII, Milano 1965, pp. 503-528; L. Pellegrini, Alessandro IV e i francescani (1254-1261), Roma 1966, pp. 99-103; B. van Luijk, Gli eremiti neri nel Dugento, con particolare riguardo al territorio pisano e toscano. Origine, sviluppo ed unione, Pisa 1968, pp. 67-78; Federico da Mantova, Leggenda del beato Zannebono da Mantua [1512], in L. Pescasio, La "leggenda del beato Zannebono da Mantua", Mantova 1971; M. Goodich, The politics of canonization in the thirteenth century; lay and mendicant saints, in Church History, XLIV (1975), pp. 304 s.; A. Vauchez, La saintété en Occident aux derniers siècles du Moyen Âge d'après les procès de canonisation et les documents hagiographiques, Rome 1981, pp. 63, 129, 224, 226, 229, 275, 382-384, 386, 454, 506, 521, 553, 604, 658; M. Goodich, "Vita perfecta". The ideal of sainthood in the thirteenth century, Stuttgart 1982, pp. 41, 169; M. Vaini, Sant'Anselmo nella vita religiosa e culturale di Mantova nel Basso Medioevo, in Sant'Anselmo, Mantova e la lotta per le investiture, a cura di P. Golinelli, Bologna 1987, pp. 72-74; C. Casagrande, Forme di vita religiosa femminile solitaria in Italia centrale, in Eremitismo nel francescanesimo medievale, Assisi 1991, pp. 61 s.; G.G. Merlo, Tensioni religiose agli inizi del Duecento, in Id., Tra eremo e città. Studi su Francesco d'Assisi e sul francescanesimo medievale, Assisi 1991, pp. 75 s.; A.M. Kleinberg, Prophets in their country. Living saints and the making of sainthood in the Later Middle Ages, Chicago-London 1992, pp. 19 s., 42 s.; P. Golinelli, Dal santo del potere al santo del popolo. Culti mantovani dall'Alto al Basso Medioevo, in Id., Città e culto dei santi nel Medioevo italiano, Bologna 1996, pp. 58-66; F. Dal Pino, Papato e ordini mendicanti-apostolici "minori" nel Duecento, in Il Papato duecentesco e gli ordini mendicanti, Spoleto 1998, pp. 125 s., 142; L. Paolini, Insediamenti e sviluppi degli ordini mendicanti (secc. XIII-XV), in Storia dellaChiesa di Cesena, I, 1, Cesena 1998, pp. 199-205; Bibliotheca hagiographica Latina Antiquae et Mediae Aetatis, Bruxellis 1898-1901, nn. 4352-4353; Bibliotheca hagiographica Latina… Novum supplementum, a cura di H. Fros, Bruxellis 1986, n. 4352; Bibliotheca sanctorum, VI, coll. 629-631; Diz. degli istituti di perfezione, III, coll. 1161-1165; IV, coll. 1244-1246; Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXVI, coll. 850-852.