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BOTERO, Giovanni

di C. Ca., A. Mag. - Enciclopedia Italiana (1930)
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BOTERO, Giovanni

C. Ca.
A. Mag.

Nacque a Bene Vagienna (Cuneo) secondo ogni probabilità nel 1533. Nulla o quasi si sa della prima parte della sua lunga vita: poiché solo dopo i quarant'anni egli incominciò a scrivere e a far parlare di sé. È noto solo che egli fu educato dai gesuiti e fu gesuita egli stesso a Torino per alcun tempo, uscendo poi dall'ordine per attendere ad impegni che non conosciamo. Della sua cultura umanistica dette un saggio non privo di eleganza in un poemetto di 370 esametri da lui composto nel 1573 e fatto stampare a Cracovia, e in cui s'inneggia ad Enrico di Valois re di Polonia; poemetto che gli ha dato occasione di rievocare alcuni episodî della storia polacca, ma che egli ha affettato sempre di non ricordare e quasi di non riconoscere. Solo col 1576 s'incomincia ad avere di lui notizie continue. In quell'anno egli fu chiamato da S. Carlo Borromeo a Milano, e ne divenne segretario, vivendo quindi al seguito del cardinale. Se il cardinale lo fece venire da Torino, domandandone licenza al duca di Savoia, segno è che il Botero si era già reso noto, probabilmente per il fatto di essere appartenuto ai gesuiti e di avere studiato con loro. E dei gesuiti, allora, il Borromeo era caldo sostenitore: per l'appunto del Botero si deve essere valso anche per istradare all'esercizio della predicazione i religiosi. Gran parte, infatti, della produzione del Botero del tempo del suo servizio col Borromeo, durato sino al 1584, è d'indole religiosa: dei dieci e più scritti di questo genere da lui composti molti si aggirano appunto sulla predicazione. Tuttavia il Botero non era così esclusivamente religioso, per quanto di sentimenti saldissimi, da tramutarsi in missionario. Sotto questo rispetto egli è stato assai dissimile dal suo signore, e si può dire anzi che il Borromeo non abbia esercitato sopra di lui alcuna sensibile influenza, nel senso di mutarne l'abito mentale e le aspirazioni. Tutto ciò che accadeva interessava il B., e da ogni cosa egli prendeva argomento o motivo per indagare cause, per collegare fenomeni, per dedurre regole e principî. La sua osservazione si portava su tutto, ed è noto, ad es., che amava perfino intrattenersi alle porte delle città per interrogare i doganieri sulle merci che entravano, sui proventi che il dazio ne ricavava, sulle fluttuazioni dei prezzi ecc.: elementi questi che poi si disciplinarono insieme con altri nelle sue osservazioni di statistica. Oppure egli amava attingere le sue osservazioni conversando e discutendo con persone delle varie classi sociali. Così nacque ad es. nel 1583 la sua opera De regia sapientia, l'unica che in quel periodo non si riferisca ad argomenti religiosi.

Dal 1584 al 1586 il B. è in Francia per una missione segreta affidatagli da Carlo Emanuele I, della quale egli parla sommariamente in due sue opere distanti di tempo e da quell'avvenimento e fra di loro. Non si conosce nulla della natura dell'incarico adempiuto in tale occasione; tuttavia, anche ad onta dell'assoluta mancanza di documenti negli archivî di Torino, non è difficile supporre che il duca se ne sia servito per essere in contatto con la Lega cattolica, in un momento in cui, durante le guerre di religione, pareva profilarsi in Francia il pericolo d'una questione di successione. La lunga permanenza in Francia (e questo sembra essere stato il primo dei molti viaggi compiuti dal Botero in Europa) dimostra insieme l'importanza della missione e la fiducia che il duca Carlo Emanuele aveva riposto nell'abilità politica e diplomatica del gesuita.

Ritornato a Milano, rimase alcun tempo con Federico Borromeo, allora giovanetto, e lo accompagnò in un suo viaggio a Roma; ma qui egli si fermò. Da questo momento, dal 1586 cioè, s'aprì per lui come una nuova era, la più importante. Furono quattordici anni, nei quali, pur avendo la sua sede, diciamo così, ufficiale a Roma, non sono mancati frequenti viaggi che lo hanno portato in varie parti e dell'Italia e dell'Europa, dandogli occasione di approfondire le sue cognizioni in ogni campo e di scrivere le Relazioni. Questi viaggi furono fatti per incarico specialmente della "Propaganda" romana, allo scopo di riconoscere il vero stato del cattolicesimo nei varî paesi d'Europa.

Di questo periodo sono gli scritti più notevoli e caratteristici del B. Nel 1589 apparve a Venezia quello fondamentale Della Ragion di Stato, in dieci libri (tradotto dal Couring in latino nel 1616, oltre a numerose altre traduzioni di altri in varie lingue). Dello stesso anno 1589 è anche lo scritto sulle Cause della grandezza e magnificenza delle città (tradotto in inglese nel 1635); del 1591, 1592, 1593 le famose Relazioni universali, apparse in Roma in 3 parti e poi ivi stesso, in 4 parti nel 1595 (la prima edizione completa è quella di Venezia del 1596: poi ne seguirono moltissime, in 10 anni ben 17, e tre traduzioni in latino, e in quasi tutte le lingue europee; se ne fecero anche degli excerpta). Una quinta parte, rimasta inedita, è stata pubblicata solo nel 1895 dal Gioda.

Dopo il periodo romano B. ritornò a Torino, poiché vi fu chiamato dal duca Carlo Emanuele I come precettore dei suoi figli. Aveva allora quasi 60 anni, ma era robusto e tutt'altro che schivo di viaggiare. Per 8 anni adempì fedelmente il nuovo incarico, non esitando a spingersi nel 1603 fino nella Spagna, per accompagnarvi i principi sabaudi che vi si recarono per un lungo soggiorno. Dal 1607, liberato dalla funzione di precettore e rimasto con quello di segretario del duca, funzione quasi nominale, poiché gli fu lasciata quasi completa libertà, poté dedicarsi completamente agli studî. Alternò questa sua cura con frequenti conversazioni dotte, alle quali amò prendere spesso parte lo stesso duca: onde gli ultimi anni del B. passarono quietamente, tanto più che era stato beneficiato dal duca dell'importante abbazia di San Michele della Chiusa nel 1604. Morendo a Torino, il 27 giugno 1617, lasciò i suoi beni ai gesuiti e volle esser sepolto nella loro chiesa.

Nella Ragion di Stato a base della sua dottrina di governo, in contrapposto a quella del Machiavelli, egli pone a fondamento la religione: sennonché dal momento che lo stato, essendo dominio fermo sopra i popoli, deve dai governi essere conservato ad ogni costo, egli finisce per ammettere, anche in nome della religione, violenze e simulazioni, non dissimili da quelle che il Machiavelli, con altro intento e con altro animo, consentiva per il fine supremo della costituzione e conservazione dello stato. In sé stesso quindi il fondamento ideale e l'intento polemico di questa nuova Ragion di Stato risultano alquanto deboli e problematici, onde la fama che ha accompagnato questo scritto, in sé stessa esagerata, va ascritta piuttosto all'ambiente e al momento in cui l'opera è stata prodotta, vale a dire quando e a Roma e in quasi tutta l'Italia il pensiero politico soggiaceva a quello spirito di reazione religiosa che era il frutto e nello stesso tempo il fermento della Controriforma. Tanto più risalta questo aspetto, quando si noti che l'unica voce autorevole in contrario è data dal maggiore storico di quegli anni, dal veneziano Paruta, che visse nell'unica città e nell'unico stato che conservavano ancora un'indipendenza morale, Venezia. Infatti il Paruta, nel dissidio tra la ragione e la fede, si sottometteva a questa; pur tuttavia ha pensato líberamente in fatto di politica, senza in tutto subordinarla alla religione. Va però aggiunto che la Ragion di Stato è così ricca di osservazioni acute, è così piena di assennati giudizî intorno a tutti gli elementi vivi e attivi dello stato, che, anche a prescindere dal fondamento morale e religioso, l'opera è veramente di valore e di interesse.

L'attività poderosa del B. lasciò tracce feconde anche in altri campi. Così era rimasta fino allora quasi insospettata la visione ch'egli ebbe dei fenomeni economici, da lui chiaramente esposta nell'operetta Cause della grandezza e magnificenza delle città, dove non di rado egli manifesta vedute larghe e quasi precorritrici, fra l'altro sostenendo, contro i sistemi generalmente in uso al tempo suo, che le fonti della ricchezza degli stati non poggiano sopra l'abbondanza dei metalli preziosi, ma sullo sviluppo dell'industria e dell'agricoltura; e solo da poco tempo fu messo in rilievo che il B., nella sua instancabile eclettica operosità, fu il primo scrittore che tentò di coordinare le cognizioni positive che allora si potevano avere in fatto di oceanografia, in una Relazione sul mare. Le sue Relazioni universali, vero e completo trattato di geografia politica universale, basata sopra conoscenze positive e tali da riuscire utili soprattutto agli uomini di stato, segnano un nuovo indirizzo nella scienza.

Quest'opera si stacca nettamente dal carattere umanistico e storico delle cosmografie del sec. XVI, per offrire per la prima volta e quasi esclusivamente notizie concernenti lo stato presente. Essa consta di cinque parti: la prima è una descrizione geografica di tutti i paesi del mondo conosciuto; la seconda è un ragguaglio sistematico delle condizioni politiche degli stati più importanti; la terza e la quarta trattano delle credenze religiose di varî popoli e soprattutto della religione cristiana, con speciale riguardo alla diffusione del cristianesimo nel Nuovo Mondo. La quinta parte contiene una specie di supplemento, in cui si dà conto delle modificazioni intervenute nell'assetto e nello sviluppo politico degli stati sino a poco oltre il primo decennio del sec. XVII. Opera veramente grandiosa, per il modo come venne concepita e sistemata; da essa sono bandite le aridità di notizie schematiche, gli elementi di nomi e di cifre e quella strabocchevole superfluità di riferimenti storici che quasi sempre coprivano e nascondevano il contenuto geografico in opere che pure avevano il titolo di geografia; in essa l'autore bada soprattutto a porre in rilievo i rapporti fra l'uomo e l'ambiente, massime col clima, pur astenendosi, nella valutazione di questo elemento, dalle troppo facili applicazioni e generalizzazioni delle teorie aristoteliche degenerate al suo tempo in influenze astrologiche; e ciò che ancora più spicca in lui è l'esclusivo attenersi a fonti dirette e moderne, in sostanza al metodo e al fine che, in un campo assai più limitato, seguivano gli ambasciatori italiani del '500 nelle loro relazioni particolari. Per assolvere un tal compito occorreva certo una facoltà non comune di saper discernere i dati forniti dalle fonti, e un colpo d'occhio largo e sicuro nel saperne valutare l'importanza: e il B. ebbe veramente l'una e l'altro. L'opera sua aveva naturalmente un fine politico, ma il metodo era geografico. In tempi di poco posteriori, quando fu sentita la necessità di sistemare sempre più scientificamente codesto complesso di cognizioni ch'era indispensabile possedere allo scopo di nosse rempublicam, sorse la statistica, nel senso di una descrizione ordinata delle cose notevoli degli stati nell'attualità. Questa scienza, che si conservò poi a lungo sotto nomi svariati, trae le sue origini dalle Relazioni universali del Botero.

Bibl.: Per la vita e le opere v. Fr. Galeani Napione, Piemontesi illustri, I, Pisa 1810; P. Orsi, Saggio biografico e bibliografico su G. Botero, Mondovì 1882; C. Gioda, La vita e le opere di G. Botero, Milano 1895 (il vol. III contiene la 5ª parte delle Relazioni universali, il cui ms. andò distrutto, nel 1904, nell'incendio della biblioteca di Torino); E. Botero, Prudenza di Stato, o maniere di governo di G. Botero, Milano 1896; A. Breglia, A proposito di G. B. "economista", in Annali di Economia, IV, i, Milano 1928, pp. 87-128. Per il pensiero politico v. specialmente F. Meinecke, Die Idee der Staatsräson, Berlino-Monaco 1924. Per il B. come geografo v. R. Almagià, Il primo scritto italiano di Oceanografia, in Boll. d. Soc. geogr. it., 1905; A. Magnaghi, Le Relazioni universali di G. Botero, e le origini della Statistica e dell'Antropogeografia, Torino 1906.

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