BOVARA, Giovanni
Nacque a Malgrate (Como) il 30 sett. 1734, secondogenito di Cristoforo Bovara Rejna e di Teodora Brentano Riati, in una famiglia che, arricchitasi con il commercio della seta, già nei primi anni del sec. XVIII aveva raggiunto un discreto prestigio sociale. Avviato alla carriera ecclesiastica, studiò nel seminario milanese e, ordinato sacerdote nel 1758, fu accolto nella Congregazione degli oblati, come avveniva per i migliori studenti del seminario. A Milano fece parte dell'Accademia dei Trasformati, esercitandosi nella poesia latina e inserendosi nella famosa polemica che il Parini, appoggiato da altri letterati, sostenne contro il padre Branda. Nel 1769 fu nominato professore di istituzioni canoniche nell'università di Pavia.
Del suo insegnamento ci rimane l'aprolusione, che rivela favore per le rivendicazioni giurisdizionalistiche della politica governativa: notevole, per esempio, è il suo rifiuto delle dottrine di famosi canonisti, quali l'Ostiense e il Panormitano, che, a suo avviso, avevano ridotto la potestà laica a semplice ancillula di quella ecclesiastica. Nel 1772 fu nominato segretario di governo e passò ad insegnare istituzioni ecclesiastiche alle Scuole palatine.
In questo periodo il B. iniziò a lavorare per la riforma scolastica, che rimarrà il campo principale della sua attività fino al 1796. Tra il 1771 e il 1775 visitò numerosi istituti culturali della Lombardia austriaca, scuole preparatorie e di latinità, collegi di educazione e biblioteche pubbliche e private, e in qualità di delegato del Magistrato degli studi, in meno di due anni, attuò nelle province di Cremona, Lodi e Casalmaggiore la riforma che doveva servire di modello per il resto dello Stato.
Il B. - che aveva trovato in queste province poche scuole, la maggior parte delle quali a pagamento, dove si imparava a leggere su testi latini, e qualche cappellania scolastica di cui potevano beneficiare solo poche famiglie - istituì tre tipi di scuole: di tipo elementare per imparare a leggere, scrivere e far di conto; di grammatica italiana e latina di preparazione ai ginnasi; e, nei borghi più importanti, scuole di disegno ornamentale per l'artigianato e scuole di aritmetica e carteggio mercantile. Per i fondi necessari a questa operazione, secondo le indicazioni governative, egli riuscì ad ottenere il consenso dei vescovi alla soppressione delle confraternite inutili. Questo progetto, che il B. cercò invano di realizzare anche nella diocesi di Milano trovandosi di fronte alla resistenza dell'arcivescovo, fu in pratica ripreso quando nel 1786 furono create le scuole normali, che prevedevano la divisione in due bienni: il primo, inferiore, di tipo elementare; il secondo, superiore, diviso in due branche, una di indirizzo letterario che impartiva i rudimenti di grammatica italiana e latina (e costituiva l'anello di congiunzione tra le elementari e il ginnasio), l'altra di tipo tecnico che prevedeva lo studio dell'aritmetica, della geometria, della geografia e della meccanica.
Contemporaneamente il B. si occupò della riforma delle scuole superiori con il Piano generale della nuova sistemazione scientifica delle scuole medie e superiori di tutta la Lombardia, che dopo una critica alla vecchia scuola, ritenuta inadeguata alla cultura contemporanea, fissava come principî fondamentali l'avocazione allo Stato delle scuole; la secolarizzazione del corpo insegnante; l'introduzione delle discipline scientifiche (aritmetica, geometria, storia e geografia nei ginnasi; fisica sperimentale e storia naturale nei licei); uno studio più profondo della lingua italiana, che sarebbe stata usata anche nei corsi di filosofia.
Le ampie relazioni del B., pur riecheggiando idee ormai da anni in circolazione, rivelano la sua capacità di tradurre praticamente, alla luce della realtà lombarda, le linee generali della politica riformatrice scolastica del governo di Vienna. Vi troviamo prima di tutto l'interesse per l'istruzione popolare, che doveva essere laica: solo una scuola organizzata dallo Stato avrebbe potuto servire alla formazione di buoni cittadini, fedeli al principe e capaci di inserirsi nel moto progressivo della società. Era quindi importante la scelta e la formazione dei maestri che avrebbero dovuto seguire un metodo uniforme; una commissione letteraria avrebbe provveduto ai libri di testo e avrebbe compilato un piano di disciplina da osservarsi in tutte le scuole. A Brera venne istituito un ginnasio che doveva servire di modello agli altri dello Stato (i beni dei gesuiti furono utilizzati per la realizzazione della riforma). In luogo di quel complesso di istituzioni culturali che i gesuiti avevano a Brera, il B. avanzò la proposta, poi accettata, di creare una Reale accademia di scienze ed arti. Negli anni 1776-77 attuava la riforma delle scuole a Mantova e, nello stesso 1777, veniva nominato segretario degli Studi.
Lo stretto legame tra riforme scolastiche e riforme ecclesiastiche, in quanto il piano scolastico era collegato alla riforma parrocchiale, aveva fatto sì che il B., già alla fine degli anni '70, fosse considerato il principale responsabile della politica ecclesiastica. E, infatti, sugli aspetti più delicati di essa il B. scrisse importanti "consulte". In seguito alle polemiche suscitate dall'editto imperiale sui matrimoni del 1784, egli pubblicò anonime le Considerazioni sopra l'I.R. Costituzione riguardante i matrimoni, che sono senz'altro da considerarsi l'interpretazione autentica e la giustificazione teorica della legge che affermava la competenza del potere civile nella legislazione matrimoniale (C. A. Vianello, La legislazione...). E quando il governo trattò con la Repubblica di Venezia per far coincidere i confini, delle diocesi ecclesiastiche con quelli politici, fu il B. ad esporre le argomentazioni favorevoli ai diritti del principe e a sostenere inoltre la necessità di escludere qualsiasi ingerenza della corte di Roma in questo affare.
Fu questo il tema costante delle sue consulte e Giuseppe II non poteva trovare un avvocato migliore per affermare i suoi diritti sulla Chiesa lombarda. Per l'origine esclusivamente mercantile della fortuna che la sua famiglia si era conquistata, soprattutto negli anni '70, associandosi anche ai potenti Greppi, mancavano completamente al B. quei tradizionali legami con Roma che condizionavano i prelati provenienti dalla nobiltà milanese, i quali da diverse generazioni avevano avuto proprio dal pontefice le più ricche prebende.
Ma proprio di questi personaggi aveva bisogno il governo di Vienna e, quando nell'82 il Kaunitz ritenne necessario dare una dimostrazione del diritto imperiale di nomina ai benefici già in collazione pontificia, il B. fu considerato la persona più adatta ad essere investito di una abbazia secondo il nuovo sistema. Gli fu data l'abbazia di San Giovanni Evangelista di Appiano, il primo nucleo di una grande proprietà che egli e altri membri della sua famiglia avrebbero acquistato negli anni del dominio napoleonico.Con la riforma dell'amministrazione in Lombardia del 1786, fu istituita la Commissione ecclesiastica divisa in tre dipartimenti. Al B. venne affidato il terzo dipartimento, del quale rimarrà responsabile fino all'entrata dei Francesi, che riguardava gli studi, l'università e i relativi stabilimenti, i ginnasi, la censura dei libri, la polizia del clero secolare, delle monache e delle chiese della città e diocesi di Como, le accademie di belle arti di Milano e di Mantova. La riduzione delle parrocchie nella città di Como del 1788 è quindi opera sua; nulla si poté fare, per mancanza di fondi, circa la riorganizzazione parrocchiale nel resto della diocesi, pur avendo il B. denunciato le deficienze economiche e spirituali, in un piano molto particolareggiato. Sotto la sua supervisione furono istituite le scuole normali e quando, in seguito alla crisi in cui verranno a trovarsi queste scuole tra l'89 e il '90, iniziarono le critiche e i dibattiti, il B., pur riconoscendo realisticamente gli inconvenienti che ne erano derivati, continuò a difendere il principio che aveva informato il governo, cioè la diffusione dell'istruzione.
La sua capacità di adattare le direttive generali di Vienna all'ambiente lombardo risalta ancora una volta nella redazione del piano di studi per il seminario generale di Pavia (1786), voluto da Giuseppe II sul modello di quello già istituito a Vienna. I cambiamenti introdotti dal B., infatti, integravano con nuovi insegnamenti i corsi universitari già esistenti a Pavia dal 1773.
Un punto importante era l'istituzione della cattedra de locis theologicis, per lo studio delle fonti da cui, secondo il B., derivavano le vere massime della teologia: Sacra Scrittura, tradizioni, Padri, concili. Era contemplato altresì lo studio della patrologia e della storia della teologia. Per quest'ultima il B. osservava che "la storia fa riflettere agli abusi e difetti che si sono introdotti nella teologia o dall'ignoranza ed oscurità dei tempi o dallo spirito di partito". L'altro corso nuovo era quello di Sacra Scrittura e di lingue orientali, che già esisteva a Pavia, ma che il B. divise in due: uno per l'ermeneutica e la lettura della Bibbia, l'altro per l'insegnamento delle lingue greca ed ebraica. In generale, tuttavia, la riforma teneva conto di quelle che erano le tendenza teologiche dell'università pavese, in cui dominavano il rigorismo in morale e l'agostininismo in dogmatica. L'accettazione di questa teologia e l'inserimento di autori giansenisti tra le letture raccomandate ai chierici hanno forse contribuito a creare la fama di un B. giansenista; in realtà era solo un espediente politico, perché era in autori gallicani e giansenisti che si poteva trovare la migliore giustificazione del giurisdizionalismo.
La preoccupazione costante del B. fu infatti quella di contribuire a formare sudditi fedeli e obbedienti al sovrano. Nel 1791 è ancora questa preoccupazione che si riflette nel suo parere sull'introduzione in Lombardia del breve (10 marzo) di Pio VI indirizzato ai vescovi francesi. Il B., pur trovando in esso principî non accettabili, pensa che, data la diffusione delle idee della rivoluzione, non sia opportuno proibire un breve che, nel difendere i diritti della Chiesa, potrebbe tutelare quelli della sovranità.
Tra il 1796 e il 1802 il B. condusse vita ritirata; ma quando il Melzi, vicepresidente della Repubblica italiana, si trovò di fronte ai problemi riguardanti l'organizzazione ecclesiastica e i rapporti tra Stato e Chiesa, ottenne dal Bonaparte la sua nomina a ministro del Culto. La politica ecclesiastica del Melzi in realtà fu elaborata dal Bovara. Nel primo decreto sugli attributi del ministero del Culto, come nelle discussioni con Parigi preliminari al concordato, si sente la mano del funzionario giuseppino che giustamente pensava che nulla si dovesse cedere di quanto si era già acquisito al tempo del vecchio imperatore. Pure alcuni dei provvedimenti che sembravano essere una reazione alla politica ecclesiastica del periodo rivoluzionario, come il ridare ai vescovi la nomina dei parroci già di elezione popolare, non era che un richiamarsi all'esigenza già prospettata negli anni '80 quando, con la prospettiva di dare una congrua ai parroci, si tentava di togliere il giuspatronato che tradizionalmente apparteneva ad alcune comunità. Si ha l'impressione, sfogliando la raccolta dei numerosi provvedimenti in materia ecclesiastica di quegli anni, che il B. fosse consapevole, anche per l'appoggio incondizionato del Melzi, della possibilità di attuare quei principî che nel periodo austriaco erano rimasti in parte allo stadio di enunciazione teorica. Tuttavia, se il controllo sul clero sembrava più efficace ora che anche i vescovi erano considerati funzionari dello Stato, le stesse difficoltà finanziarie impedivano al B. di attuare quelle riforme delle strutture ecclesiastiche che egli instancabilmente riproponeva.
Il culmine del potere del B. si ebbe con la pubblicazione del decreto organico di esecuzione del concordato, decreto in cui erano stati inseriti tutti i punti da lui proposti durante le trattative con la Santa Sede ed esclusi dal testo del concordato. Ma la situazione cambiò con il ritiro del Melzi e il passaggio dalla Repubblica al Regno: l'annullamento del decreto organico e le decisioni prese durante la seduta del consiglio di Stato del 5 giugno 1805 sull'organizzazione del clero, senza la partecipazione del ministro del Culto, ne sono una chiara testimonianza. E critiche al B. si leggono spesso nelle lettere dell'imperatore al viceré, in cui il ministro del Culto viene accusato di prendere iniziative che non gli spetterebbero. Tuttavia anche nel periodo del Regno, con l'accentuazione dello stato di polizia, si moltiplicano le lettere e le circolari del ministro del Culto che regolano ogni minimo atto della vita religiosa.
Nel 1811 il B. si recò a Parigi per il concilio nazionale convocato da Napoleone, a cui parteciparono i vescovi e i due ministri del Culto di Francia e d'Italia, ma la sua posizione di indipendenza nei confronti dell'imperatore, se suscitò una certa ammirazione in Napoleone, contribuì al sostanziale fallimento di quell'assemblea.
Il B. morì a Milano il 12 ott. 1812.
Fonti eBibl.: Milano, Arch. della Curia Arcivescovile, Ordinazioni Y 2752; documenti riferentisi al B., relazioni, appunti, interventi nelle riunioni della Giunta economale e della Commissione ecclesiastica, ecc. si trovano all'Arch. di Stato di Milano nei fondi Culto parte antica e parte moderna e Studi parte antica; cfr. inoltre Autografi 115 e Uffici Regi p.a. 95, 279, e p.m. 478; Mémoires et correspondance politique et militaire du prince Eugène a cura di A. Du Casse, Paris 1858, I, pp. 107, 151, 152, 160, 172, 177, 217, 418; G. Gallavresi, Il carteggio intimo di A. Borda, in Arch. stor. lomb., XLVII (1920), pp. 487-489; Carteggi dei giansen. liguri, a cura di E. Codignola, Firenze 1941-42, I, pp. XCVII, C, 114, 220, 227, 230, 231, 238, 242, 243, 248, 255, 262, 264, 404; III, pp. 325, 395, 654; I carteggi di Francesco Melzi d'Eril,duca di Lodi, a cura di C. Zaghi, Milano 1958-66, ad Indices;F. Cavriani, Elogio..., Milano 1812;A. De Gubernatis, Eustachio Degola,il clero costituzionale e la conversione della famiglia Manzoni, Firenze 1882, p. 265; G. Vittani, Spigolature dell'Arch. di Stato di Milano sulSeminario generale per la Lombardia, Milano 1911, pp. 20, 26;A. Pingaud, Les hommes d'état de la Rèpublique ital., Paris 1914, pp. 109-12; E. Chinea, Le scuole di dottrina cristiana nella diocesi di Milano (1536-1796), Gallarate 1930, pp. 21, 22, 25; Id., Dalle antiche botteghe d'arti e mestieri alle prime scuole industriali in Lombardia, Milano 1933, pp. 61, 62, 67, 68; C. A. Vianello, La giovinezza di Parini,Verri e Beccaria, Milano 1933, p. 294; Id., Il Settecento milanese, Milano 1934, pp. 92-93;B. Savaldi, La fabbriceria parrocchiale nelle provincie lombardo-venete, Milano 1934, pp. 16, 20, 22, 27-54; A. Giulini, Notizie di Milano settecentesca in un carteggio ined. della Queriniana, in Arch. stor. lombardo, LXI (1934), pp. 667 s.; G. Cornaggia Medici, Una pagina di politica eccles. del Regno Italico …, ibid., pp. 175-178, 182, 187; C. Castiglioni, Napoleone e la Chiesa milanese, Milano 1935, p. 255;E. Chinea, La riforma scolastica negli stati della Lombardia austriaca. Studi prelim. alla riforma della scuola media, Milano Genova-Napoli 1935, estratto della Rivista pedagogica, XXVII (1934) e XXVIII (1935), pp. 12, 20-46; P. Bondioli, Manzoni e gli "Amici della Verità", Milano 1936, pp. 9, 45, 47, 55, 98, 126;P. Savio, Devozione di Mgr. A. Turchi alla Santa Sede, Roma 1938, pp. 94, 921, 922;C. A. Vianello, La legisl. matrimoniale in Lombardia da Giuseppe II a Napoleone, in Atti e mem. del secondo Congresso storico lombardo, Milano 1938, pp. 335-339, 358, 362;E. Chinea, La riforma scolastica teresio-giuseppina nello Stato di Milano e le prime scuole elementari italiane, Milano 1939, estratto dall'Arch. stor. lombardo, LXI (1934), LXIV (1937), LXV (1938), passim; Id., G. B., in Pedagogisti ed educatori, a cura di E. Codignola, Milano 1939, pp. 93-95;M. Roberti, Milano capitale napoleonica, Milano 1946, I, pp. 439-511; F. Maass, Der Josephinismus, II, Wien 1951, pp. 359-360;M. Panizza, L'Austria e gli studi superiori eccles. nella diocesi di Milano ..., in Mem. stor. della diocesi di Milano, III (1956), pp. 192-197, 216; F. Valsecchi, Dalla pace di Aquisgrana al trattato di Lodi, in Storia di Milano, XII, Milano 1959, pp. 342, 344, 364, 372; G. Seregni, La cultura milanese nel Settecento,ibid., pp. 594, 631; E. Rota, Milano napoleonica,ibid., XIII, ibid. 1959, pp. 164, 185, 186, 217, 219, 262, 284, 286, 287, 295.