BRESSANI (Bressano, Bressanus), Giovanni
Nacque a Bergamo il 2dic. 1489 dal giudice Vincenzo, di ricca e nobile famiglia originaria di Adrara, e dalla vercellese Maria Tizzoni. Di lui quasi nulla è noto: studiò forse a Bergamo e si dette assai presto alla poesia, ma più che un vero e proprio letterato fu un appassionato dilettante; non mancò di prender posizione riguardo alle grandi controversie culturali che correvano ai suoi tempi, e fu bembista in letteratura ed erasmiano in filosofia. Per altro la sua vita scorse abbastanza serenamente, turbata talora da lutti familiari (la morte del padre nel 1508, della sorella Apollonia, venuta a mancare nel 1517 poco dopo il marito Giovanni Suardo, della madre nel 1531) o da screzi con i numerosi congiunti e con taluni cittadini, probabilmente offesi dalla virulenza polemica della sua poesia dialettale. Preferì non prendere moglie, e trascorreva il tempo tra la sua abitazione cittadina di Borgo San Lorenzo in contrada San Lazzaro e l'amatissima villetta all'Olmo di val Brembana, dedicandosi alla sua opera di fecondissimo scrittore di versi latini, toscani e bergamaschi.
Nel De se ipso et de suis scriptis (cod. Ψ 1141della Biblioteca civica di Bergamo) il B. con ingenua iattanza si vanta di aver saputo comporre, pur avendo letto pochissimi libri altrui, più di settantamila versi nelle tre lingue, ed esalta la propria rapidità nel comporre; poiché non c'è motivo di non credergli, dobbiamo dedurne che solo una piccola parte delle sue poesie si è conservata fino a noi.
Nel Cinquecento furono pubblicate, per volontà dei suoi amici, solo le due opere che egli morendo aveva lasciato pronte per la stampa, e cioè i Tumuli tum latina tum etrusca tum bergomea lingua compositi et temporis ordine collocati e il Valerius Maximus in distica redactus, edite a Brescia nel 1574. La prima è una raccolta di epitaffi in latino, toscano e bergamasco; di essa esiste ancora nella Biblioteca civica di Bergamo il manoscritto originale (cod. Σ III 18) contenente anche due dedicatone al cardinal Ippolito d'Este - rispettivamente del 20dic. 1550 e del 1º sett. 1551 - e alcune liriche mancanti nella stampa. Il Valerius Maximus, epitome in distici dei Factorum et dictorum memorabilium libri è nient'altro che la ricostruzione, fatta a memoria, di un'analoga operetta di Giulio Stoa di Quinzano che era andata perduta.
Del B. ci restano anche a stampa quattro novelle in italiano, tratte dal cod. Ψ II 41 della Biblioteca civica di Bergamo e pubblicate a Livorno nel 1873 dal bibliofilo G. Papanti in una rarissima edizione di quattordici esemplari, col titolo Novella del cavaliero Soccino Sicco e ms. Vincenzo Bressani e ms. Bapt. Donasello,Novella di Pachanno,Novella di Marc'antonio Avogadro,Novella de doi giocatori ch'hanno giocato doi giorni e una notte continua: racconti che hanno l'unico pregio della forma semplice e sciolta, dato che riprendono per il contenuto motivi fra i più triti della nostra novellistica, insistendo principalmente sugli aspetti più grassamente licenziosi delle vicende. Altri suoi scritti, in versi per la maggior parte, giacciono inediti nella Biblioteca civica di Bergamo nei codici Ψ 1141 - contenente anche il citato De se ipso e un'Apologiade mi G. B. - e Σ II 43, dai quali il Caversazzi nel 1936 trasse per Bergomum un'ampia scelta di poesie e prose; di un'altra opera, vista dal Vaerini e da lui segnalata negli Scrittori di Bergamo, si conosce solo il titolo, De laudibus Germaniae et Helenae puellae Germanicae.
Le liriche toscane e latine che di lui ci sono rimaste hanno ben scarso valore, e denunciano chiaramente la banale facilità, la prolissità e l'assenza del labor limae caratteristiche di un temperamento d'improvvisatore; nel bergamasco invece il B. ha spesso la mano più felice e i suoi versi (composizioni polemiche e satiriche, sermoni nuziali, novellette, sonetti di vario argomento che sembra egli facesse recitare in piazza dai cantambanchi), pur risentendo in gran parte dei vizi comuni a tutta la sua produzione, attingono spesso dalla spontaneità del parlato una piacevole vivacità. La poesia vernacola del B. è inoltre preziosa testimonianza linguistica dato che egli, iniziando a scrivere in bergamasco verso il 1514, fu il primo ad averci lasciato testimonianza scritta di quel dialetto: e di tale innovazione egli dovette essere cosciente e orgoglioso se nel 1550, nonostante che alcuni suoi concittadini lo rimproverassero di aver messo Bergamo alla berlina scrivendo versi vernacoli, ne mandò copia a Giulio III.
Morì, probabilmente nella sua villetta all'olmo, il 23 marzo 1560.
Bibl.: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, p. 2072; B. Vaerini, GliScrittori di Bergamo, I, Bergamo 1788, pp. 267-72; G. Tiraboschi, Storia della letteraturaitaliana, VII, Modena 1794, p. 1435 n.; L. di Francia, Novellistica, I, Milano 1924, p. 696; A. Mazzi, Per una data, in Boll. della CivicaBibl. di Bergamo, XVIII (1924), p. 125; C. Caversazzi, G. B. poeta e umanista... (con un ritratto), in Bergomum, XXX (1936), pp. 201-258; G. Gambirasio, Sguardo alla poesia vernacolabergamasca attraverso i secoli, in Atti dell'Ateneodi scienze lettore e arti in Bergamo, XXXI (1960-1961), p. 305.