BUONGIROLAMI, Giovanni (Bongirolami Giovanni, Giovanni da Gubbio, Giovanni di Girolamo)
Nacque a Gubbio nel 1381 da Girolamo di messer Matteo. Non abbiamo notizie degli anni della sua giovinezza né dei motivi che lo indussero ad abbandonare la natia Gubbio, intorno al 1410, e a trasferirsi a Firenze. Non seguì probabilmente un corso regolare di studi giuridici, ma (peraltro non più giovanissimo) superò l'esame di laurea in diritto civile il 2 genn. 1412 presso l'università di Padova (Acta Gymn. Patav., p. 63). Nell'ottobre dello stesso anno fu iscritto nella corporazione dei giudici e notai fiorentini. Iniziò quindi l'attività forense: nel 1413 ci è testimoniata una sua subscriptio a un consiglio di Torello Torelli e Alessandro Bencivenni (la questione, assai interessante, era relativa al fatto che Firenze, nel 1412-13, aveva obbligato i Pisani con un'imposta speciale, concedendo però la facoltà ai Priori della città di ripartirla fra sedici cittadini; fra i colpiti fu Piero Gaetani, nato a Pisa, ma residente a Firenze fin dal 1406, che ricorse contro l'imposizione e fu difeso appunto dai due giuristi menzionati e dal B.; al riguardo Martines, p. 416).
Nell'ottobre del 1416 il B. ottenne la cittadinanza fiorentina e assunse il cognome "Buongirolami". Benché fosse un homo novus, iniziò un'attiva vita politica e fu strumento della nascente signoria medicea che si serviva di molti di questi outsiders per affermare la propria politica in contrapposto al potere dell'oligarchia fiorentina (Martines, p. 63). Nel settembre del 1423 fu inviato a Faenza da Gentile, vedova di Giangaleazzo Manfredi, per trattare la sottomissione di Faenza ai Fiorentini (Commiss. di R. degli Albizzi, I, p. 462). Ancora a Faenza tornò nel maggio del 1425 - dopo la disfatta dei Fiorentini in Val di Lamona il 1º febbraio dello stesso anno - per concludere un accordo con i Manfredi: e riuscì ad indurre i signori di Faenza, con donativi di terre e denaro, ad abbandonare il loro alleato, Filippo Maria Visconti, e ad entrare nell'orbita politica fiorentina. A Faenza il B. rimase in qualità di commissario della Repubblica; il 27 nov. 1425 inviava una lettera ai Dieci di Balia per informarli della situazione politica faentina (ibid., II, p. 477). Nell'agosto 1428 fu inviato a Lucca da Paolo Guinigi nei confronti del quale i Fiorentini vantavano un creditodi 14.000 fiorini, quale parziale e convenuto rimborso delle spese sostenute nel 1422 per il pagamento delle truppe mercenarie di Braccio da Montone. (ibid., II, p. 187; vedi anche Martines, p. 345). Nell'ottobre del 1428 il B. fu incaricato, insieme con altri quattro giuristi, di esprimere un parere sulla controversia sorta fra Firenze e Martino V, il quale voleva che, nel trattato di pace con Filippo Maria Visconti, fosse immessa una clausola esplicita che prevedesse l'esclusione di Bologna dalla zona di dominio politico fiorentino (Martines, p. 343; vedi anche Partner, p. 392).
L'attività politica non distolse, comunque, il B. da quella forense: sappiamo che Rinaldo degli Albizzi, nel marzo del 1429, loricorda come avvocato dell'Arte, lo giudica un "onest'uomo" e intende avvalersi di lui per una causa (Commiss. diR. degli Albizzi, III, p. 452). Il 24 ott. 1429, in seguito alla rivolta di Volterra che i Fiorentini volevano sottoporre alla rilevazione catastale, il B. espresse un parere sulla situazione politica in qualità di rappresentante del quartiere di S. Giovanni (ibid., III, p. 175). Assai marginale si presenta invece la sua attività universitaria: il 15 genn. 1433 ilB., "famosissimus doctor legum", presentò Paolo di Giovanni Colusci di Roma per il dottorato in utroque iure;di un'altra commissione di laurea fu membro nell'aprile del 1444(Statuti della Univ., pp. 438, 448).
Il B. venne più volte consultato per la soluzione di problemi di politica interna. Nel 1437 elaborò con Giovanni Bovacchiesi un progetto che prevedeva un graduale sistema di imposte su tutte le proprietà trasferite, fin dal tempo del primo catasto (1427), a corporazioni religiose e ad altri enti non tassabili, al fine di evitare che le frequenti fittizie alienazioni a quegli enti determinassero continue evasioni fiscali. Il progetto, che mirava in sostanza a colpire i grandi redditi dell'oligarchia fiorentina, destò vivaci reazioni (Andrea de' Pazzi era, però, ad esso favorevole) e non fu approvato (Martines, p. 175). Alla fine di maggio del 1437 il B. fu interpellato, insieme con altri tre giuristi, sull'opportimità che si svolgesse un concilio a Firenze ed egli mise in evidenza l'utilità politica dell'avvenimento (ibid., p. 297). Una delicata questione affrontò in un parere (elaborato con Guglielmo Tanagli e Domenico Martelli) discusso dalla Signoria il 2 giugno 1438. Si trattava della legittimità dell'atto con cui il Maggior Consiglio prolungava per tre anni il mandato agli "accoppiatori", organo creato per lo scrutinio del 1434 da Cosimo de' Medici e il cui mandato era stato rinnovato prima ogni mese e poi annualmente. Gli "accoppiatori" erano un organo straordinario, addetto alla formazione degli scrutini nell'elezione alle più alte magistrature della città; in realtà, come osserva il Martines (p. 196), erano uno dei più efficaci strumenti di controllo politico della Signoria medicea. Nel febbraio del 1440 il B. venne ancora consultato in merito alla vertenza relativa alla priorità della lista dello scrutinio del 1434 su quello del 1439: pur ammettendo la legittima priorità dello scrutinio del 1434, peraltro in conformità a due ordinanze della Signoria dello stesso anno, il B. giustificò l'adozione della lista del 1439 sul fondamento dello stato di necessità e per il pubblico bene. Si trattava in effetti di un momento particolarmente critico per Firenze che, stretta alleanza con Venezia, aveva ripreso di nuovo le armi contro il duca di Milano; è naturale quindi che Cosimo mirasse ad assicurarsi saldamente il controllo della città e a porre persone di assoluta fiducia al governo della stessa.
Accattivatosi poi il favore di Cosimo, il B. nel 1447 fu incaricato dalla Signoria insieme con Otto Niccolini e Domenico Martelli di esprimere un parere giuridico su una controversia sorta tra la Catalogna e Venezia, per la soluzione della quale Firenze era stata designata come arbitro (Martines, p. 351).
II B. morì a Firenze nel 1454. Dei suoi figli sono noti Bernardo, anch'egli giurista, e Niccolò (Cambi, p. 183).
L'attività scientifica del B. ebbe fini essenzialmente pratici. Dei suoi consilia, che ci sono pervenuti, uno, elaborato insieme con Paolo di Castro e Giovanni de' Bandini, in materia processuale penale statutaria, è stato pubblicato nella raccolta di G. B. Ziletti, Consilia seu responsa ad causas criminales (I, Venetiis 1566, cons. XLI, f 33ra). Altri consilia, sotto forma di brevi trattati, si trovano nel cod. Panciatichiano 138 della Bibl. naz. di Firenze ai ff. 271r-281v (Locatio apotechae,De intratura,Regula prohibitiva), 282r-285r (De dissolutione societatis)e 293r-295v (Nullitas vel validitas laudi). Iltema di quest'ultimo consiglio è ripreso anche nel cod. Panciatichiano 139 (cc. 287r-288r) in un consilium intitolato: "Quod laudus latus absque compromisso non dicitur laudus et non habet executionem". Sempre nella Bibl. naz. di Firenze trovasi un consiglio in materia di obbligazioni "ex nudo pacto" nel cod. Magliab. XXIX.172 al f. 214rv. Nel cod. Magliab. XXIX.173 abbiamo varie allegationes ai ff. 83r-84v, un consiglio in materia di ultime volontà ai ff. 219r-220v, una subscriptio (f. 286v) a un consiglio di Nello di San Gimignano in data 19 ag. 1429, altre allegationes (f. 369rv) ed infine un consiglio in materia di interpretazione dello statuto relativamente al turbato possesso di beni immobili (ff. 383r-387r). Una subscriptio, con sigillo, in materia testamentaria si trova nel cod. Vat. lat. 8067 (f. 28r) della Bibl. Apost. Vaticana; altre due subscriptiones sitrovano nel cod. Magliab. XXIX. 193 ai ff. 78rv (conferma con breve argomentazione di un consiglio di Piero Ambrosini) e 201v (subscriptio a un consiglio di Giovanni da Prato). Una serie di dubia in materia creditizia si trovano ai ff. 63r-65r del cod. 1168 della Bibl. Riccard. di Firenze. Il Martines (p. 94) ci dà inoltre notizia di un consiglio del B., di Guglielmo Tanagli e di Piero Ambrosini, in favore di Piera Pantaleoni che, nel 1444, reclamava la dote della madre, cumulata con i beni paterni ed alienata dai curatori del fallimento del padre.
FontieBibl.: Acta graduum academicorum Gymn. Patavini (1406-1450), a cura di G. Zonta e G. Brotto, Padova 1922, p. 63; G. Cambi, Istorie, in Delizie degli eruditi toscani, XXII, Firenze 1786, p. 183; Statuti della Università e Studio fiorentino, a cura di A. Gherardi, Firenze 1881, pp. 438, 448; Commissioni di Rinaldo degli Albizzi, in Monumenti di storia italiana, a cura della R. Deputazione di storia patria, I, Firenze 1867, p. 462; II, ibid. 1869, pp. 187, 487; III, ibid. 1873, pp. 175, 452; F. Guicciardini, Storie fiorentine dal 1378 al 1509, a cura di R. Palmarocchi, Bari 1931, pp. 25, 78; Signoria,Dieci di Balia,Otto di Pratica,legazioni e commissarie,missive e responsive. Inventario, a cura di M. Del Piazzo, in Quaderni della rassegna degli archivi di Stato, I (1960), p. 60; G. M. Mecatti, Storia geneal. della nobiltà e cittad. di Firenze, Napoli 1754, p. 271; L. Martines, Lawyers and statecraft in Renaiss. Florence, Princeton 1968, pp. 63 s., 70, 90, 94, 175, 195 s., 297, 343, 345, 351, 415, 501; P. Partner, Florence and Papacy in the earlier fifteenth century, in Florentine Studies a cura di N. Rubinstein, London 1968, p. 392.