CADOLINI, Giovanni
Di nobile famiglia lombarda, nacque a Cremona il 24 ott. 1830 da Carlo e Giulia Smancini. Diciottenne, accorse volontario nella prima guerra d'indipendenza con la colonna cremonese di G. Tibaldi, che si schierò sul monte Suello. Sopraggiunto l'armistizio, passò in Piemonte, poi in Svizzera e in Toscana, dove aderì a un'associazione armata, diretta da G. Medici, al servizio del triunivirato Montanelli-Guerrazzi-Mazzoni. Alla caduta di questo, il gruppo si spostò in Emilia e quindi accorse alla difesa di Roma, dove il C. trovò il fratello Pietro, tenente del genio, con cui condivise in seguito molte altre esperienze di lavoro e di lotta. Battendosi col Medici alla difesa del Vascello, venne ferito il 22 giugno 1849 nel fatto d'arme del casino Barberini.
Le Memorie del Risorgimento dal 1848 al 1862, che il C. poi pubblicò a Milano nel 1911, centrate sulla sua appassionata partecipazione giovanile a questa e alle successive vicende della lotta per l'indipendenza, erano servite da fonte al Guerrazzi per L'assedio di Roma (v. pp. 31 e 841 s. dell'edizione milanese del 1870).
Dopo l'occupazione francese di Roma, rimessosi dalla ferita, poté, per l'amnistia concessa dagli Austriaci, rientrare in Cremona dove con una decina di giovani organizzò clandestinamente esercitazioni militari e l'introduzione nel LombardoVeneto di stampe patriottiche e liberali. Estese tale attività a Pavia, dove si era recato per gli studi universitari di matematica, d'intesa col locale comitato mazziniano, tra i cui esponenti era B. Cairoli. Arrestato il 1ºmaggio 1852, riuscì a fuggire nel Regno sardo, stabilendosi a Genova, dove, completati gli studi, si laureò nel 1855 in architettura civile e ingegneria idraulica.
A Genova riprese l'attività cospirativa, curando i contatti del locale comitato mazziniano, presieduto dal Medici, con quello milanese, e procurando finanziamenti al giornale clandestino di C. Pisacane La libera parola.Fondava inoltre il giornale femminile La Donna, diretto da A. Bargoni, cui collaborò con articoli culturali.
Trasferitosi nel 1856, per il suo lavoro d'ingegnere, in Sardegna, vi rimase fino al 1859, quando si arruolò, agli ordini del Medici, tra i Cacciatori delle Alpi.
L'adesione alla campagna garibaldina nella seconda guerra d'indipendenza faceva seguito al distacco del C. dalle posizioni mazziniane, maturato attraverso il fallimento dei moti del 1853 e del 1857. Partito col grado di sottotenente e promosso tenente nel corso della campagna, si batté presso Casale (8 maggio 1859), a Varese (26 maggio), a San Fermo, e partecipò ai primi di luglio agli scontri del passo dello Stelvio.
Dopo l'armistizio di Villafranca passò in Emilia, in vista di un'azione garibaldina contro lo Stato pontificio, che venne però bloccata dal governo di Torino. Rientrato dunque nella natale Cremona, ormai unita alla monarchia sabauda, vi fu eletto consigliere provinciale e comunale e vi esercitò la carica di assessore municipale. Profilandosi però la spedizione in Sicilia, si dedicò soprattutto all'arruolamento di volontari. A. Bertani, che dirigeva in Genova la cassa di soccorso a Garibaldi e che conosceva il C., se non altro per averlo, da medico, curato quando era stato ferito in Roma, gli chiese di cooperare a un piano che prevedeva, anche dopo lo sbarco dei Mille in Sicilia, una diversione di nuovi volontari nell'Italia centrale, avversata invece dal Cavour. Il C. fu in netto dissenso, non volendo disperdere le forze né acuire la frattura col governo piemontese e con la Francia. I motivi avversi al punto di vista del Bertani furono stesi nell'opuscolo Intorno alla "diversione" (1860), edito poi a Città di Castello nel 1913.
Il 10 giugno 1860 il C. s'imbarcò per la Sicilia, seguendo di nuovo il Medici, col grado di capitano, al comando di una compagnia di cremonesi. Partecipò alla presa di Milazzo e di Messina e, dopo il passaggio dello stretto, si batté al Volturno, conseguendo il grado di tenente colonnello e meritando la croce dell'Ordine militare di Savoia.
L'accorta strategia di Garibaldi nell'attacco a Afilazzo e in altre imprese, osservata da vicino nel corso delle operazioni, fu più tardi oggetto dello studio Garibaldi e l'arte della guerra (in Nuova Antologia, maggio-giugno 1902, pp. 54-70). Il C. mise in luce la razionalità della condotta bellica del generale, per lo più esaltata invece nella sua apparenza prorompente ed eroica di combattentistica spontaneità, illustrando specialmente il criterio delle pause per la raccolta delle forze, marcianti poi unite agli attacchi decisivi, senza sacche nemiche alle spalle.
Contro gli sforzi del Cattaneo, del Bertani e in generale dei repubblicani, intesi a ritardare l'annessione del Mezzogiorno al Regno sardo, il C., pur incline ancora alla repubblica, sostenne la necessità di affrettare l'unione. Eletto deputato per la VIII legislatura (1861-65) nel collegio di Pescarolo (Cremona), attaccò però in Parlamento il governo e i moderati per gli atteggiamenti tenuti verso il disciolto esercito meridionale garibaldino e per aver svuotato di contenuto, coi loro emendamenti, il progetto di legge di Garibaldi sulla guardia nazionale mobile. Esponente della Sinistra, entrò a far parte, nel 1862, del comitato direttivo dell'Associazione emancipatrice, in cui convergevano, alla ricerca di un accordo e di nuove iniziative per il completamento dell'unità nazionale, le componenti mazziniana e garibaldina della democrazia. Nello stesso anno tuttavia, di fronte ai rischi della marcia verso Roma intrapresa da Garibaldi ormai in disaccordo col governo Rattazzi, fu inviato in Sicilia, in rappresentanza di una considerevole parte della stessa Sinistra, con S. Calvino, A. Mordini e N. Fabrizi, per sconsigliare quell'azione che avrebbe condotto poi ad Aspromonte. Rischiando l'arresto per il contatto avuto con Garibaldi, il C. riparò per breve tempo in Svizzera, dove ebbe un franco colloquio con Mazzini, dal quale dissentì nelle conclusioni tratte dal fatto di Aspromonte. Mentre per Mazzini l'episodio chiariva la necessità di una maggiore opposizione democratica e nazionale al regime monarchico, per il C. esso accentuava invece l'esigenza della concordia nazionale e, per quanto egli militasse tra l'opposizione di sinistra, la necessità di concepire l'azione dei volontari in coordinamento con la direzione politica del paese. Questa comprensione verso la politica governativa si spinse fino ad accordare il favore al ministero La Marmora, succeduto nel settembre 1864 al Minghetti, con un voto che dispiacque, per esempio, a B. Cairoli.
Rieletto a Pescarolo per la IX legislatura (1865-67), si occupò di varie questioni procedurali e tecniche, nel settore stradale, ferroviario, forestale, e presentò la relazione sul bilancio 1866 del ministero dei Lavori Pubblici. Scoppiata la terza guerra d'indipendenza, assunse, col grado di tenente colonnello, il comando del 4º reggimento dei volontari, presidiando la sponda sinistra del Chiese e successivamente, per ordine di Garibaldi, il passo dell'Aprica, decisivo per le comunicazioni tra la Valtellina e la Valcamonica, donde si spinse, tra alterne vicende, fino a Edolo (2 luglio 1866) e a Incudine (15 luglio). Queste sue operazioni belliche furono oggetto della pubblicazione Ilquarto reggimento dei volontari ed il corpo d'operazione in Valcamonica nella campagna del 1866 (Firenze 1867), dove lamentò la lentezza dei provvedimenti per l'ordinamento del corpo dei volontari ed il fatto di non aver ottenuto la nomina al suo fianco degli ufficiali da lui conosciuti e richiesti.
Nel 1867 ottenne segretamente dal ministero della Gruerra un certo quantitativo di armi per la spedizione garibaldina nel Lazio, cui tuttavia non partecipò; sconsigliò anzi gli amici dal tentarla, in seguito a un viaggio a Roma che lo convinse della difficoltà di destarvi un'insurrezione (cfr., per tali eventi, il suo opuscolo Roma e Mentana, s.l. né d.). Aveva peraltro, fin dal 1866, firmato un ordine del giorno per il diritto storico dell'Italia ad aver Roma capitale. Intorno a questo ordine del giorno, presentato alla Camera da A. Mordini, si venne formando una corrente della Sinistra contrapposta a quella del Crispi e sempre più orientata verso l'incontro con una parte della Destra (prima col Ricasoli, poi col Menabrea e col Cambray-Digny), in vista di un'eventuale collaborazione di governo. Rieletto a Pescarolo per la X legislatura (1867-70), il C. percorse tutta l'esperienza politica di questa sinistra mordiniana, con la sua evoluzione in un "terzo partito", di centrosinistra, fino all'ingresso nel terzo governo Menabrea (1869). Schierato in questa formazione parlamentare, votò, nel marzo 1868, contro la sospensiva della discussione sulla legge per la tassa del macinato, proposta dal Crispi, e presentò, con Mordini e Bargoni, un ordine del giorno, approvato poi dalla Camera, per il passaggio alla discussione della medesima legge, purché la sua definitiva approvazione venisse abbinata con altri provvedimenti finanziari meno impopolari che le facessero da contrappeso. Condivise quindi col Mordini l'approvazione del progetto di legge del Cambray-Digny sulla Regia cointeressata dei tabacchi, che costò al "terzo partito" critiche e defezioni, in particolare col distacco del Depretis.
Logico sbocco del graduale avvicinamento alla Destra fu, nel maggio 1869, l'ingresso nel terzo ed effimero governo Menabrea come segretario generale ai Lavori Pubblici, di cui divenne ministro il Mordini. Durante la X legislatura, cercò tuttavia di controbilanciare l'avvicinamento alla Destra con il tentativo di far accogliere dal governo talune istanze progressiste (propose l'esenzione dalla tassa di bollo per le piccole azioni delle società popolari, votò contro l'assegno per alimenti ai monaci privi di pensione, presentò un ordine del giorno per la riforma della legge provinciale e comunale). Eletto per l'XI (1870-74) e XII legislatura (1874-76) nel collegio di Ortona, trattò varie questioni tecniche che rientravano nella sua competenza di ingegnere idraulico (inchiesta sulle rotte del Po, lavori di prosciugamento del lago di Agnano, bonifica dell'Agro romano, sistemazione del Tevere) e seguì i problemi politico-finanziari, oltre che tecnici, dello sviluppo ferroviario, abbracciando la tesi dell'esercizio statale, propria della maggior parte della Destra. Anche dopo l'avvento del governo Depretis, discutendosi alla Camera l'accordo con Rothschild per la revisione della convenzione di Basilea, rimase su questa linea politica, proponendo con un emendamento l'impegno dello Stato alla sistemazione definitiva, a breve scadenza, delle ferrovie riscattate; la nuova maggioranza però, orientata in senso nettamente privatistico, lo respinse.
Ormai sostanzialmente legato alla Destra, non fu rieletto nelle votazioni del novembre 1876, vinte in modo schiacciante dalla Sinistra. Si dedicò così alla professione di ingegnere, curando negli anni successivi problemi tecnico-legali, progetti e lavori di interesse pubblico (v. Progetto di una nuova inalveazione del Tevere attraverso i Prati di Castello, Roma 1881; Sultraforo del Sempione, Roma 1883; Ilprogetto di un porto da costruirsi a Grottammare, San Benedetto del Tronto 1887; La direttissima Bologna-Firenze-Roma, Roma 1889; Della indennità per l'espropriazione dei terreni specialmente in Roma, Roma 1889; Ilprogetto di una strada ferrata da Genova a Piacenza, Cremona 1890; La sistemazione del Trasimeno, Roma 1897; Ilnuovo censimento fondiario, Roma s.d.), ma continuando anche a seguire da vicino la vita politica (Riflessioni sulle finanze italiane, Roma 1879; Ipartiti in Italia, discorso all'assemblea dell'associazione costituzionale, Cremona 1880) fino alla sua rielezione nel 1886 nel 1º collegio di Cremona.
Più volte relatore sul bilancio del Tesoro e su vari disegni di legge (per sovvenzioni alla cassa militare, per la tutela dei monumenti antichi in Roma, per i consorzi d'acqua), continuò alacremente l'attività parlamentare nel corso delle tre successive legislature, dal 1890 al 1897, eletto nel 1º collegio di Cremona nel 1890 e a Casalmaggiore (Cremona) nel 1892 e nel 1895.
Creato senatore, per la terza categoria, nel 1905 recò, ormai vecchio, nella Camera alta un assiduo contributo di competenza tecnica e di esperienza politica, con relazioni su bilanci ed interventi su disegni di legge. In uno dei primi discorsi al Senato celebrò il centenario della nascita di Mazzini, il maestro della sua generazione, dalla cui influenza si era a poco a poco allontanato, ma alle cui premesse ideali si sentiva ancora fedele, e in uno degli ultimi, alla vigilia del 24 maggio 1915, salutò l'ingresso, dell'Italia nel conflitto, delineando dunque con la sua partecipazione intensa tutto un arco della storia nazionale dal Risorgimento alla prima guerra mondiale.
Si spense in Roma l'8 giugno 1917.
Presidente della Società degli ingegneri ed architetti italiani, il C. aveva collaborato ai suoi Annali, e aveva svolto un'attività di pubblicista su giornali e riviste di importanza nazionale.
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