CALANDRINI, Giovanni
Nacque a Lucca, dove venne battezzato il 6 giugno 1544, da Giuliano di Filippo e da Caterina di Agostino Balbani. Fuggì dalla città natale nel 1567 insieme con il fratello Cesare per professare liberamente la religione riformata e raggiunse in Francia il padre, che già da alcuni anni era stato "sedotto dalli errori di Calvino". Sappiamo che sotto la guida paterna esercitò a Lione l'arte della mercatura e che, costretto dalle guerre di religione ad una vita raminga, come i suoi familiari ed amici, non ebbe una fissa dimora, ma errò tra la Francia e Ginevra. Cessate le persecuzioni, poté dedicarsi senza impedimenti alle tradizionali attività della sua famiglia, lavorando, al pari di suo fratello Cesare, sulle piazze della Germania e delle Fiandre; in particolare, nel 1572 divenne socio di Francesco Turrettini per la lavorazione e la vendita della seta. Il 28 giugno 1580 fu condannato dalla Repubblica di Lucca come eretico e ribelle insieme con Cesare Calandrini ed altri concittadini; nel febbraio del 1581 s'imparentò con una famiglia di mercanti di Anversa, prendendo in moglie Maria di Jean de Maistres e di Maria Mercier, la cui sorella Ester sarebbe a sua volta andata sposa nel 1584 al fratello Cesare.
Sebbene il C. viaggiasse molto a causa del suo lavoro (lo troviamo infatti a Muret, Francoforte, Amburgo, Stade, Emden), mantenne particolari legami con le città di Ginevra e di Anversa; in quest'ultima fu anziano della Chiesa francese ed istituì, insieme con Francesco Turrettini e Giuseppe Micheli, una congrega riformata di lingua italiana, con a capo il piemontese Giovan Battista Rota; a Ginevra ebbe cura di coltivare amicizie e relazioni d'affari, né mancò di esservi presente in più d'una circostanza, come quando l'8 febbr. 1586 fu teste al matrimonio di Cesare Balbani e Renea Burlamacchi.
Il C. ebbe dalla moglie nove figli: Elisabetta, nata in Anversa il 17 maggio 1582; Giovan Luigi, nato a Francoforte il 21 dic. 1585; Filippo, nato a Francoforte il 30 nov. 1587; Marco, nato a Stade il 18 ott. 1589 e morto forse ad Amburgo nel 1633; Anna Maria, nata a Stade il 14 ott. 1591, andata sposa all'ingegnere militare David Papillon, un francese rifugiatosi a Londra; Giuliano, nato a Stade il 18 luglio 1593 e morto a Londra nel 1641; Cesare, nato a Stade il 6 febbr. 1596; Pompeo, nato egli pure a Stade, il 4 febbr. 1597 e vissuto in Inghilterra; Orazio, nato a Stade l'11 dic. 1598, consigliere e tesoriere della Compagnia delle Indie occidentali per la Camera di Amsterdam, morto in Brasile nel 1630. Proprio per la formazione religiosa dei suoi figli il C. avrebbe composto, a quanto risulta, un catechismo ed avrebbe anche scritto e dato alle stampe un'operetta intitolata Pratique chrétienne.
Col passare del tempo il C. estese il suo giro d'affari in Inghilterra, dove, in seguito alle persecuzioni religiose sul continente, c'era stata una larga immigrazione di profughi per la fede, di ogni provenienza e specialmente italiani. Rimasto vedovo di Maria l'8 ott. 1605, il C. si risposò ad Amsterdam il 28 ag. 1607 con Caterina da Pietraviva, vedova a sua volta del fiammingo Assuero de Regemester, già ministro ugonotto a Londra; un anno dopo, sempre ad Amsterdam, diede in moglie la figlia Elisabetta a Filippo di Michele Burlamacchi, fratello di Renea, con il quale si mise in società fondando a Londra un banco e un'azienda per la fabbricazione e la vendita della seta. Nel 1611 il C. e suo genero avevano rapporti d'affari con l'inglese sir William Selby, in cui favore emisero il 18 marzo di quell'anno una lettera di cambio. Consolidati i suoi interessi in Inghilterra, il C. finì per stabilirvisi, intorno al 1614, e per seguire, insieme con il Burlamacchi, soprattutto l'attività del banco, che attraversò un periodo difficile, ma si riprese brillantemente a partire dal 1621-22. Il 2 luglio 1618 il C. aveva perduto anche la seconda moglie; trascorse quindi il resto dei suoi anni vicino alla figlia Elisabetta, morendo a Londra nel 1623.
Dei suoi numerosi figli, Giovanni Luigi fu iniziato giovanissimo al commercio e all'arte della seta e si legò in particolare all'ambiente ginevrino, avendo sposato il 19 luglio 1612Caterina di Francesco Turrettini e di Camilla Burlamacchi; entrò allora nella Gran Bottega con il suocero ed altri lucchesi, assumendosi anche le incombenze di rappresentante delle case consociate di Francoforte, Norimberga, Anversa, Amsterdam e Londra, e fungendo inoltre da banchiere, agente di cambio e tesoriere per conto della Repubblica di Ginevra. Sempre a Ginevra fu membro della Chiesa italiana in qualità di diacono dal 1617 al 1627. Nel 1633 fece da intermediario tra il duca di Savoia, Vittorio Amedeo I, e l'orefice ginevrino Derilinghen per la restituzione di un pegno costituito da gioie per il valore di 73.000 lire tornesi; sollecitò presso il medesimo duca il pagamento di un debito di 3.902 doppie di Spagna contratto con il banco di suo cognato Filippo Burlamacchi di Londra; il mancato recupero del credito pare sia poi stato determinante nel fallimento della ditta. Per i suoi meriti nei confronti di Ginevra, fu riconosciuto gratuitamente borghese insieme con i suoi figli nel 1634 ed accolto come membro del Gran Consiglio nel 1635 e di quello dei Sessanta nel 1638. Essendo venuta a mancare la moglie Caterina il 12 nov. del 1640, si risposò il 22 maggio del 1642 con la cugina Ester, figlia di Scipione Gentilis e di Maddalena Calandrini. Ricoprì cariche ecclesiastiche quasi ininterrottamente a partire dal 1644, come seniore dal 1644 al 1655 e come diacono dal 1661 fino al 1669.
Spirito versatile e dotato di una discreta cultura, Giovan Luigi coltivò l'amicizia dei maggiori letterati dell'epoca: seguì a Stade le lezioni del filosofo e teologo Ottone di Casmann, che gli dedicò l'opera Lucta peccatoris, e conobbe successivamente a Leida Giulio Scaligero, dal quale fu ricordato nel Livre d'Amis. Intrattenne relazioni con un personaggio della politica e della letteratura olandese, Constantiin Huygens, segretario dal 1625 dello statolder Federico Enrico, il quale scrisse in suo onore dei versi, avendone un poemetto in risposta. Giovan Luigi fece testamento il 30 nov. 1653, istituendo erede universale il primogenito e lasciando cospicue ricchezze a tutti gli altri figli, mentre alle figlie assegnava una dote di 40.000 fiorini ciascuna. Morì a Ginevra l'8 febbr. 1656 e fu sepolto a Plainpalais. La moglie gli sopravvisse fino al 12 ott. 1671. I figli di primo letto furono: Daniele, Camilla, Michele, Luisa, Benedetto, Francesco, Caterina, Anna, Giovan Ludovico, Maria; i figli di Ester Gentilis furono: Maddalena, Giovanni, Ester, Susanna.
La discendenza di Giovan Luigi fu continuata dal figlio Giovan Ludovico per sole due generazioni; da Daniele con un figlio, da cui nacque quel Giovan Luigi (1703-1758)che insegnò matematica e filosofia all'Accademia di Ginevra e si segnalò per il suo talento nelle scienze matematiche; da Benedetto fino al XIX secolo in particolare con quella Matilde Calandrini, che, venuta in Italia, fondò a Pisa uno dei primi asili d'infanzia della Toscana.
Benedetto di Giovan Luigi, nato nel 1639, sposò Sibilla Caterina Fatio e fu pastore, professore di teologia e rettore dell'Accademia di Ginevra. Collaborò alla stesura di una lettera con cui egli, Francesco Turrettini, Pompeo Diodati, Marzio Micheli, Vincenzo Minutoli e Francesco Burlamacchi rispondevano a Giulio Spinola, vescovo di Lucca, che nel 1679 aveva invitato i discendenti dei lucchesi fuorusciti nel Cinquecento a ritornare al cattolicesimo; sostenne circa nello stesso tempo una controversia con Gregorio Leti, accusandolo di aver scritto in una opera dedicata alla vita di Filippo Il cose "vantaggiose alla chiesa Romana e al papa stesso". Ne segue un processo e la condanna del Leti alla censura del suo testo e ad un'ammenda di 100 scudi, ma Benedetto persistette nel perseguitarlo, attaccandolo anche dal pulpito, al punto che il Leti fu espulso, come si apprende dalla Historia ginevrina dello stesso Leti.
Filippo di Giovanni continuò in un primo tempo a risiedere a Londra, ma dopo la decapitazione di Carlo I, di cui seguiva le parti, riparò ad Amsterdam, dove fu eletto direttore generale del commercio nelle Indie orientali; partito definitivamente dall'Europa con la moglie, Margherita di Andrea van der Meulen e con quattro dei suoi cinque figli, morì a Batavia, non si sa in che anno.
Il figlio rimasto in Europa, Teudely, detto Dudley, che era nato ad Amsterdam il 25 nov. 1624, si trasferì a Bordeaux e, sposatavi Susanna Benech, si fece naturalizzare francese; di lui risulta che morì cattolico nel 1693, dopo aver abiurato, non si sa quando, il calvinismo. Ebbe numerosi figli, tutti seguaci della fede riformata, fuorché due, che preferirono seguire l'esempio paterno e vennero perciò diseredati dalla madre: Teodoro, che dapprima prese l'abito della Compagnia di Gesù e successivamente fu canonico della cattedrale di Bordeaux, e Filippo il primogenito, nato a Bordeaux il 26 giugno 1661, che rientrò a Lucca nel 1697, stabilendovisi con la moglie, Enrichetta Herbert, ed ottenendo senza interruzione fino all'anno della sua morte (1718) la carica di colonnello della Repubblica. I suoi figli, Nicolao Gaetano, notaio (battezzato il 9 genn. 1703), e Filippo Domenico (battezzato l'11 giugno 1705) furono entrambi reintegrati negli onori pubblici nel 1727. Le loro condizioni economiche dovevano essere piuttosto modeste, se nel 1742 Niccolao Gaetano era uno dei "cittadini poveri" "imbussolati" per concorrere all'assegnazione d'un fidecommesso d'una famiglia estinta.
Cesare di Giovanni. dopo avere studiato a Ginevra e a Saumur, raggiunse il padre in Inghilterra, dove nel febbraio del 1615 fu proposto dal ministro della Chiesa fiamminga Siméon Ruytink come suffragante dell'ex arcivescovo di Spalato, Marco Antonio de Dominis, che dal 1617 era ministro della Chiesa italiana di Mercers Hall in Londra. Oltre ad essere in buoni rapporti con la Chiesa fiamminga, Cesare aveva anche frequentato la Chiesa francese di Threadneedle Street e questa larga esperienza del mondo riformato londinese doveva costituire la premessa della sua brillante carriera di ministro. Nominato predicatore ordinario della Chiesa italiana fin dallo stesso 1618, nel 1626 l'aveva lasciata per passare alla Chiesa fiamminga accanto al Ruytink, di cui doveva poi continuare le memorie, nelle quali, fra l'altro, riportò preziose notizie sulle vicende del de Dominis, rientrato, a quanto sembra, nel seno della Chiesa cattolica, ma ciò nonostante accusato d'eresia e poi scomparso in circostan e misteriore. L'interessamento di Cesare, in questi stessi anni, per i riformati della Valtellina, colpiti dal "sacro macello" del 1620 può far presumere che egli abbia inteso raccogliere l'eredità spirituale del cugino Scipione Calandrini, che era stato pastore di Sondrio fino all'inizio del XVII secolo. Cesare, che sappiamo ministro della Chiesa fiamminga di Londra dal 1639 al 1665, fu segretario del sinodo di Londra del 1641 e presidente di quello del 1647, membro di numerose commissioni, incaricato nel 1654, con altri pastori, di ringraziare il lord protettore Oliver Cromwell per il favore dimostrato alle Chiese riformate, rappresentante del concistoro di Londra al colloquio delle Chiese francesi del Regno Unito a Londra nell'estate del 1658.
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