CALDESI, Giovanni
Nacque ad Arezzo il 7 gennaio del 1650 da Luca, di famiglia cittadina, e da Maddalena. Le notizie che abbiamo intorno alla sua lunga vita sono piuttosto scarse e ci sono fornite da accenni contenuti qua e là nella corrispondenza di Francesco Redi, che gli fu amico e maestro, e che lo rammenta anche nei ricordi autografi, da brevi notizie nei Memorabilia del Lami e da una succinta, ma assai accurata nota biografica pubblicata nel 1885 da Ferruccio Mercanti.
Chirurgo e cultore di scienze naturali, entrò nel 1682 alla corte dei Medici, come "aiutante di camera" del principe Gian Gastone; il favore gli venne da una raccomandazione del Redi presso Pietro Biringucci, precettore del principe. Ma oltre al Redi, il C. conosceva a quella data, di persona o attraverso gli scritti, tutti i maggiori rappresentanti della scienza galileiana applicata alla biologia, dallo Zambeccari al Malpighi, e all'altro grande allievo del Borelli, Lorenzo Bellini "gloria della nostra Italia" (così il C. nelle Osservazioni, p.31); e l'impronta delle lezioni di anatomia del Bellini, vicino a quella preponderante del Redi, è sicuramente ravvisabile nel metodo come nello stile dell'unica opera scientifica del C. rimastaci, e di cui si ha notizia: le Osservazioni anatomiche intorno alle tartarughe, del 1687. Alla corte dei Medici il C. fu sempre, a quanto risulta dalle fonti dirette e indirette, in posizione di ottimo prestigio. Il principe Gian Gastone lo volle con sé nelle sue peregrinazioni per l'Europa: nel 1696 a Reichstadt in Boemia, dove il principe si era andato a stabilire avendo sposato Anna Maria Francesca di Sassonia Lauenburg e poi ad Aquisgrana e a Parigi dove il principe fuggiva, se dobbiamo credere al Lami, un ambiente e una moglie che non amava.
Abbiamo ancora notizie di lui nel 1706, quando, tornato in Italia, ottiene, grazie ancora all'appoggio di Gian Gastone, il quarto grado di nobiltà nella città natale di Arezzo. Parecchi anni dopo, nel 1730, un'altra notizia del suo perdurante prestigio a corte ce la fornisce, con una sottolineatura compiaciuta, lo stesso C. ormai ottantenne, in una lettera all'illustre matematico dello Studio pisano Guido Grandi.
L'abate Grandi si è lamentato di non essere stato ricevuto dal granduca, cui aveva portato in omaggio i suoi libri (è il periodo in cui il Grandi è in accesa polemica con il gesuita milanese Tommaso Ceva, e cerca appoggi nel difficile ambiente fiorentino). Il C. gli risponde quasi rimproverandolo di non essersi rivolto a lui per tempo, "e se in quel tempo… vi fossi stato io presente, non avrei mancato di ben servirla" (lettera del 31 ott. 1730, Bibl. univ. di Pisa, ms. 86, c. 216).Un'ultima notizia su di lui è di due anni dopo, quando nel 1732 il C. domanda e ottiene dal Consiglio della città di Arezzo il grado del gonfalonierato, che dà diritto ad essere imborsato per l'estrazione a sorte alla carica di primo magistrato cittadino (Mercanti). Il suo nome non venne estratto mai, e questa è l'ultima notizia che lo riguardi. Ci sono ignoti il luogo (probabilmente Firenze) e la data della sua morte.
L'unica sua opera scientifica sono le Osservazioni anatomiche intorno alle tartarughe marittime, d'acqua dolce e terrestri, scritte in una lettera all'illustriss. sig. Francesco Redi, Firenze 1687. Si tratta di una descrizione particolareggiata e precisissima dell'anatomia delle tre specie di tartarughe, che ha il suo modello principale nell'opera del Redi, Osservazioni intorno agliAnimali viventi, che si trovano negli Animali viventi (citata a p. 33 e passim).
Il C. dimostra di possedere una conoscenza approfondita di tutta la letteratura anatomica e fisiologica moderna, italiana e straniera (oltre agli italiani conosce assai bene gli accademici di Parigi, il Bartholin, lo Stenone, il Welsch). Sulla scia del Redi, il C. collabora al superamento del metodo dei naturalisti compilatori, dei quali ricorda, oltre agli antichi, il Jonston, e alla fondazione di quella anatomia comparata il cui scopo, nel caso della ricerca sulle tartarughe suggerita da note manoscritte inviategli dal Redi e dal C. espressamente citate, è quello di raggiungere, attraverso analogie di organi e funzioni di animali tra loro diversissimi, qualche conclusione di valore generale per la biologia.
In questa prospettiva il C. applica con risultato positivo (pp. 40 ss.) il metodo impiegato dal Malpighi sui flussi biliari del corpo umano, per riscontrame analoga funzione nei corpi delle tartarughe (e, risultato per allora considerevole, porta un argomento in più, sulla base dello studio del fegato delle tartarughe, contro l'opinione allora diffusa, e combattuta dal Malpighi nel De hepate, che le cose amare sterminino i vermi). Reca inoltre, il saggio del C., argomenti a favore della teoria harveyana della circolazione del sangue (pp. 64 ss.), ed esibisce, oltre alla dettagliata descrizione delle parti e degli organi delle tartarughe, alcuni esperimenti di separazione e asportazione di organi, con l'osservazione, molto importante per quel tempo, che il cuore delle tartarughe sopravvive a lungo dopo essere stato asportato.
Il saggio del C., come giustamente è stato osservato dal Mercanti, non costituisce soltanto un passo avanti rispetto alle cognizioni dell'epoca in questo particolare settore (la Zootomia Democritea di Marco Aurelio Severino, ben nota al C., non offriva che descrizioni di membra e organi, peraltro meno esaurienti di quelle del C., e non affrontava problemi biologici più complessi); ma è superiore alle contemporanee, o di poco precedenti, ricerche del Welsch e del Blasius. Il C. è ampiamente debitore degli insegnamenti del Redi, e anche degli appunti inediti di questo sulle tartarughe, conservati nella Biblioteca della Fraternita di Arezzo. Di qui a congetturare, come fa il Mercanti, che egli non sia che un prestanome e che il saggio sia del Redi, il passo è più lungo: il Redi non aveva bisogno di tributare a se stesso le lodi che il saggio del C. gli rivolge, né di tenere in piedi con l'amico livornese Bottoni una finzione di questo genere, quando gli scrisse lodando il lavoro del C.; il cui stile toscano, del resto, pur limpido e gradevolissimo, non ha la grazia né il gusto delle divagazioni letterarie che ritroviamo nelle pagine del Redi. Più ragionevole e semplice è considerare queste Osservazioni come un lavoro di scuola, e di ottima scuola.
Fonti e Bibl.: Pisa, Bibl. univ., ms. 86, c. 216 (lettera del C. all'abate Grandi); Firenze, Bibl. Laurenziana, mss. Redi, VIII, c. 395; F. Redi, Opere, Milano 1809, V, p. 345; VII, p. 413 e passim;G. Lami, Memorabilia Italorum eruditione praestantium, Firenze 1742, I, p. 266; F. Mercanti, Di G. C. naturalista aretino del sec. XVII, in Pubblicaz. della R. Accad. Petrarca, Arezzo 1885, pp. 93-104.