Calvino, Giovanni
(propr. Jean Cauvin) Riformatore religioso francese (Noyon, Oise, 1509-Ginevra 1564). Figlio di Gérard Cauvin, notaio e segretario del vescovo Charles de Hangest, C. studiò a Parigi dall’età di 14 anni latino, filosofia, teologia. Grazie alle relazioni con la famiglia Cop e con suo cugino P.R. Olivétan (Olivetanus), entrò in contatto con l’Umanesimo e la Riforma. Grazie ad alcuni benefici ecclesiastici, poté proseguire dal 1527 lo studio del diritto a Orléans (1528) e a Bourges (1529), dove dal luterano M. Wolmar apprese il greco, che continuò a studiare insieme all’ebraico, a Parigi (1531), in contatto con circoli umanistici di idee religiose avanzate. A Parigi pubblicò nel 1532 un commento al De clementia di Seneca, completamento alle edd. dell’autore latino a cura di Erasmo (1515; 1529), in cui peraltro non traspariva alcuna traccia di preoccupazione religiosa. Dopo un nuovo soggiorno a Orléans e a Noyon, tornato a Parigi (1533), C. maturò la decisione di unirsi apertamente ai luterani e poco dopo, fatto proclamare da N. Cop, nel consueto discorso inaugurale alla Sorbona, da lui redatto, il principio della giustificazione gratuita, dovette, con lo stesso Cop, allontanarsi da Parigi. Poté poi ritornare grazie a Margherita di Navarra, ma solo per poco; si rifugiò quindi ad Angoulême, Nérac, Noyon, dove il 4 maggio 1534 rinunciò ai suoi benefici ecclesiastici; fu poi a Poitiers, a Orléans, a Strasburgo e infine a Basilea (gennaio 1536). Qui venne a contatto con altri riformatori, P. Viret, H. Bullinger, S. Grineo, G. Farel, forse Carlostadio; redasse la prefazione alla traduzione della Bibbia dell’Olivetanus e pubblicò, sotto lo pseudonimo Martianus Lucanius, nel marzo 1536 la prima ed. della Christianae religionis institutio (successive edd. ampliate apparirono nel 1539, 1543, 1550, 1559; traduzione fr. nel 1541, rist. nel 1545 e 1561). Convinto che la Riforma si riallacciasse alla Scrittura e alla patristica, vi espose i fondamenti di fede e i principi morali del cristianesimo seguendo la tradizione quanto alla forma; sostenne però la trascendenza di Dio rispetto all’intelligenza umana, ne affermò l’onnipotenza, la grandezza e la provvidenza, traendone con rigore le conseguenze nella dottrina della «doppia predestinazione». La natura umana è infatti, secondo C., totalmente viziata dal peccato originale, e il libero arbitrio non è più in grado, da solo, di dirigersi al bene: volere questo è dono di Dio, al pari della fede. Come non vi è merito umano che derivi dalle opere, così la salvezza è effetto della sola misericordia divina e la condanna dei reprobi manifestazione della sua imperscrutabile volontà, in cui si attua ugualmente la gloria di Dio. Sottolineò inoltre l’aspetto pratico e soggettivistico del cristianesimo e limitò i sacramenti al battesimo e alla cena, criticando gli altri cinque falsa sacramenta. In seguito fu in Italia, dove nel breve soggiorno a Ferrara (23 marzo-14 aprile 1536) esercitò un decisivo influsso sulla duchessa Renata di Francia; poi, sistemati gli affari a Parigi, grazie all’Editto di Lione, nel suo girovagare passò a Ginevra, dove Farel lo esortò a fermarsi, dato che il Consiglio generale aveva nel maggio 1536 adottato la Riforma. Dal 1536 al 1538 si svolse quindi la sua prima permanenza in quella città: noto commentatore delle lettere paoline, fu difensore della Riforma, insieme con Farel, nell’ottobre 1536 nella disputa di Losanna e nel Sinodo di Berna, dove si discusse la Formula di concordia di Wittenberg, svolgendovi un ruolo di primo piano. Redasse numerosi scritti: le Ordonnances ecclésiastiques, presentate al Consiglio di Ginevra il 16 gennaio 1536, che suscitarono però opposizione per il loro orientamento favorevole alla superiorità della Chiesa sullo Stato; gli Articuli de regimine Ecclesiae (nov. 1536); il Catéchisme (1537); inoltre ispirò Farel nella stesura della Confession de foi, che tutti dovevano giurare, pena l’esilio. Con queste opere C. perseguì un coerente tentativo di instaurare un regime di assoluta confessionalità (la «teocrazia») cui si opposero molti dei ginevrini e Berna, con un ordine, accolto dopo le elezioni del febbr. 1538. Nella primavera del 1538 C. fu bandito da Ginevra insieme a Farel e, sollecitato da Butzer e Capitone, dal 1538 al 1541 si fermò a Strasburgo, dove si unì alla comunità riformata francese. Qui, ottenuta la cittadinanza (1539), continuò a dedicarsi alle proprie attività e sposò, nel 1540, Idelette de Bure o Büren, vedova, con due figli, dell’anabattista J. Stordeur. Pubblicò la seconda edizione, già assai ampliata, dell’Institutio (1539), poi nel marzo 1540 un commento alla Lettera ai Romani e, nel 1541, il Traicté de la saincte cène, in cui offrì un’interpretazione della cena mediatrice tra quella, ispirata al realismo, di Lutero e quella, puramente simbolica, di Zwingli; polemizzò con il cardinale J. Sadoleto, autore di una lettera aperta contro la Riforma nell’aprile 1539, con una responsio in cui discusse i problemi dell’essenza della Chiesa, del rapporto tra lettera e spirito, tra fede e opere; conobbe, a Francoforte, Melantone; partecipò come delegato strasburghese agli incontri tra rappresentanti delle varie comunità cristiane tenutisi a Francoforte, Worms, Ratisbona (1539-41). Intanto, a Ginevra, il partito favorevole a lui e a Farel (guillermins) ottenne nelle elezioni del 1540 il potere, e subito si pensò a richiamare C. che, dopo aver a lungo esitato, ubbidendo alla «vocazione» vi ritornò nel sett. 1541, più ricco di esperienza e con accresciuta autorità. Subito impose le Ordonnances ecclésiastiques e ottenne che fosse riveduta la legislazione cittadina, dando così a Ginevra, per il genn. 1543, un nuovo assetto costituzionale; introdusse inoltre riforme liturgiche e un nuovo catechismo in cui al primo posto collocò la fede. Al di sopra degli ordini della Chiesa (pastori, dottori, anziani, diaconi) era posto il concistoro, composto di sei pastori e dodici anziani, laici, come supremo tribunale dei costumi. Più che un’istituzione di collegamento tra l’autorità civile e quella ecclesiastica (quale per la sua composizione appariva), esso era in realtà un organo di governo effettivo di uno Stato in cui anche la vita civile (formalmente regolata dall’autorità civile indipendente da quella ecclesiastica) doveva essere rivolta a un solo scopo: la gloria di Dio, l’esecuzione della sua volontà manifestata nella Bibbia. Si trattava di un regime, dunque, democratico in apparenza, ma aristocratico nella sostanza, che incontrò subito forti resistenze. Sorse allora contro di lui un’opposizione appoggiata sul piano politico dai vecchi abitanti di Ginevra, avversari degli immigrati francesi. Sul piano dottrinario l’opposizione era invece sostenuta dai critici della teoria della predestinazione, come A. Pighius, o del trinitarismo, come M. Serveto: gli si contestava inoltre l’estremo rigorismo morale e la dura vigilanza sulla vita pubblica e privata; la rigida e «spaventosa» dottrina della doppia predestinazione; il predominio politico di C. e degli emigrati, francesi soprattutto, ma anche italiani, che accorrevano da lui. Il dissenso, già sviluppatosi a Berna, si delineò con maggior precisione nel 1546 e si raccolse l’anno dopo intorno al programma dei «libertini». J. Gruet, che affisse un manifesto contro C., venne decapitato. Nel 1553 i libertini conquistarono però il potere e giunse allora a Ginevra l’antitrinitario Serveto, per il quale C. nutriva un odio implacabile: egli fu preso, processato, arso, e invano si levò la protesta del Castellion e di altri. C. riprese forza: i libertini, sconfitti già nelle elezioni del 1555, tentarono l’insurrezione, ma furono debellati e C. restò padrone di Ginevra, grazie anche al continuo affluire di emigranti francesi e all’aggravarsi del pericolo esterno per i tentativi di Emanuele Filiberto di Savoia di entrare in possesso di Ginevra. C. fu tuttavia attivo su molteplici fronti e venne acquistando sempre maggiore influenza anche sulla vita pubblica europea: scrisse ai re d’Inghilterra, Danimarca, Svezia, Polonia; preparò l’accordo con gli zwingliani e con i luterani, dopo la riconciliazione con Bullinger (1548; Consensus Tigurinus, 1549); seguì lo svolgersi degli avvenimenti nella sua Francia. Preparò inoltre le nuove edizioni, anche in francese (1a ed., 1541), dell’Institution de la religion chrétienne e dei numerosi commenti biblici, e redasse trattati spesso polemici, in latino e in francese, e sermoni. Nell’ultimo periodo della sua vita fondò l’Accademia teologica (1559) (chiamandovi il suo più fedele seguace, T. di Beza), cui si unirono più tardi le facoltà di medicina, diritto, matematica e filosofia, e si impegnò a favore dell’unità delle Chiese riformate sul piano sia teologico sia organizzativo.
Nasce a Noyon
Si unisce ai luterani a Parigi
Pubblica a Basilea la Christianae religionis institutio
Si reca a Strasburgo
Si stabilisce definitivamente a Ginevra
Revisione della Costituzione cittadina
Condanna di M. Serveto
Muore a Ginevra