CAMBI, Giovanni
Figlio di Bernardo e di Caterina di Lorenzo Capponi, nacque a Firenze il 23 nov. 1454.
Apparteneva al ramo dei Cambi da Querceto (così chiamati dal loro luogo di origine), che vantava illustri anche se non antiche tradizioni mercantili e che nel 1438 con l'elezione tra i Priori di Domenico Cambi era entrato a far parte del ceto dominante della città. Tuttavia le fortune della famiglia si consolidarono effettivamente solo con l'attività del padre del C., commerciante nel ramo della seta dapprima in Puglia e poi a Bruges (dove fondò insieme con i da Rabatta una società per accomandita) ed eletto tra i Priori nel 1455 e nel 1469.
Dal 1478 al 1484 il C., probabilmente a causa di una malattia paterna, resse il fondaco che la sua famiglia aveva a Pisa; poi però preferì legare i propri interessi a quelli dei Medici quando questi decisero di fare della città toscana un centro importante sia politicamente sia economicamente, fondando una compagnia commerciale ("Giovanni Cambi e comp. in Pisa") con il suo nome ma con capitale mediceo e controllata da Lorenzo. Nel giugno 1484 venne inviato presso Iacopo IV Appiano per contrattare la compera dalla magona (cioè la facoltà esclusiva di vendere il ferro) di Pisa: Lorenzo infatti voleva estendere il proprio controllo finanziario alla produzione del ferro. Le trattative tuttavia risultarono infruttuose, poiché il signore di Piombino era vincolato da un contratto con gli eredi di Edoardo Rosselmini fino all'agosto 1486, per cui fu solamente il 7 febbr. 1488 che egli poté stipulare con i Rosselmini il contratto di appalto.
In base ad esso venivano concessi al C., come gestore della compagnia commerciale a lui intitolata, e a Michele del Lante, 40 centinaia di vena (cioè di minerale di ferro), al peso grosso dell'Elba; il contratto doveva avere la durata di un anno. Anche se i Rosselmini riservarono per sé il controllo di circa un terzo del minerale, la magona era ormai in mano medicea. Sotto l'amministrazione della compagnia del C., l'impresa si sviluppò ulteriormente, poiché egli riuscì a farsi concedere direttamente dall'Appiano l'appalto di altre centinaia di vena. L'anno seguente tuttavia essa venne rilevata dai Medici senza più alcuna mediazione e il 21 marzo il C., nella nuova veste di gestore della società "Piero di Lorenzo dei Medici e comp." annullò la convenzione precedente, stipulandone un'altra e regolarizzando il mutamento di gestione davanti all'Appiano il 30aprile successivo.
Identico procedimento venne seguito per la magona di Pietrasanta: ricevuta in appalto direttamente dagli Appiano, fu gestita dalla società "Giovanni Cambi e comp." sino al 25 marzo 1489, quando anch'essa passò sotto l'amministrazione della compagnia di Piero di Lorenzo dei Medici.
I contratti stipulati scadevano il 24 marzo 1492, e il C., nella consueta veste di agente della compagnia di Piero, incaricò il 7aprile di quell'anno il mercante fiorentino Giovanni dei Tornaquinci di contrarre quale procuratore una nuova convenzione con Iacopo IV nei riguardi delle magone di Pisa e di Pietrasanta. Poiché in quest'occasione le consegne di vena dell'Appiano si rivelarono insufficienti, egli stese un'atto di procura per ottenere, attraverso la mediazione di Francesco Naldini (appartenente alla compagnia) una quantità supplementare di minerale.
Altri interessi il C. aveva coi Medici nelle cave di vetriolo a Libbiano presso Volterra: il 24 apr. 1489 egli, come fattore di Lorenzo, stipulò con Niccolò dei Guidi di Volterra una convenzione in base alla quale quest'ultimo si impegnava a concedere annualmente 21migliaia di libbre di vetriolo dalle cave di Libbiano e di Trigugnano, a rate trimestrali; il contratto aveva durata quadriennale, a decorrere dal 15 giugno successivo.
Sempre come fattore in Pisa, di Lorenzo prima e di Piero poi, eseguì una serie di operazioni commerciali meno importanti, come compravendite di terreni ed altri beni, riscossioni di somme di danaro, pagamenti, ecc. Fu lui inoltre a scrivere il Libro dei creditori e debitori del fondaco di Pisa per il periodo 1493-1496, in cui è registrata anche l'amministrazione delle magone di Pisa e di Pietrasanta di quegli anni.
Dell'importanza dell'attività del C. e della sua familiarità ed amicizia coi membri della casa dei Medici testimoniano un gran numero di lettere conservate nell'Archivio di Stato di Firenze, nel fondo Mediceo avanti il Principato (filze X, XIV, XVIII, XIX, LVI, LX, LXVI, LXVIII, LXXII, LXXIII, XCVI, XCVII, XCVIII, C). Scritte da Pisa prevalentemente a Piero e a Lorenzo, abbracciano un arco di tempo che va dal 1489 al 1494, gli anni più intensi della sua attività, e contengono le più varie notizie: dai riferimenti di carattere personale a richieste di istruzioni, da attestazioni di stima e di fedeltà a informazioni o consigli su contratti ed operazioni commerciali, da resoconti di pagamenti debiti e crediti a indicazioni di natura politica. Altrettanto grande è il numero di lettere che Lorenzo il Magnifico scrisse al C. in quegli stessi anni; di esse però ci è rimasta solo l'indicazione nei protocolli del suo carteggio per gli anni 1477-1492.
La cacciata di Piero da Firenze nel 1494 e la ribellione di Pisa arrecarono un duro colpo ai partners commerciali dei Medici: la società pisana, priva del suo capo, sostituito dagli Ufficiali dei beni dei ribelli, con gli averi dei Medici incamerati, si vide costretta a cedere l'appalto delle magone ai Buonvisi di Lucca. Appare dunque evidente il motivo per cui il C. si sia unito ben presto alla fazione medicea, nel tentativo di favorime la restaurazione. Insieme con Domenico Alamanni e con Lorenzo Tornabuoni iniziò già dal marzo dell'anno successivo una intensa attività clandestina, il cui scopo principale era il recupero dei beni degli esuli per trasformarli in denaro liquido e farli poi pervenire loro per vie diverse: così nel novembre 1495 consegnò a Francesco Cegia, altro fautore dei Medici, la somma di 1.271 fiorini destinati ad Alfonsina Orsini, moglie di Piero.
Servi anche da tramite tra Alfonsina e i Buonvisi, avvisandola di un versamento di danaro che questi ultimi dovevano fare a Piero. Recò inoltre sempre ai Buonvisi un certo numero di medaglie d'oro e d'argento, come pegno per un prestito, ed in cambio il Tornabuoni e l'Alamanni ricevettero 1.047 fiorini. Ma l'arresto di Lamberto dell'Antella il 4 ag. 1497 portò alla scoperta delle sue oscure manovre: l'Antella infatti, interrogato dagli Otto, accusò il C. di aver partecipato al fallito tentativo che il 28 aprile dello stesso anno Piero aveva effettuato per rientrare in città. Espose inoltre i legami che intercorrevano tra lui e i fuorusciti aggiungendo di averlo visto parlare più volte in Firenze con Guerrino da Camerino, maestro del figlio di Piero, e di averlo udito esclamare una volta che quel che sarebbe stato necessario a Piero era che venticinque o trenta dei suoi amici fossero cacciati. Rivelò anche il piano di un nuovo tentativo di insurrezione, che avrebbe dovuto essere effettuato la notte dell'Annunziata e di cui il C. era partecipe. Oltre a quest'ultimo, l'Antella denunciò come partecipi alla congiura altri quattro autorevoli cittadini: Bernardo del Nero, Giannozzo Pucci, Lorenzo Tornabuoni e Niccolò Ridolfi. Il 17 agosto i cinque vennero processati da un tribunale speciale composto dalle più alte magistrature della città e, riconosciuti colpevoli, vennero condannati alla pena capitale, nonostante l'appassionata difesa del Vespucci. Gli accusati interposero appello al Consiglio maggiore e il 21 agosto si riunì una seconda pratica per deciderne la concessione. La disputa tra i fautori della condanna e coloro che invece vi si opponevano fu particolarmente violenta: nonostante l'aperta ostilità popolare, gli accusati godevano dell'appoggio di alcuni de' Signori, timorosi di inimicarsi le influenti famiglie alle quali costoro appartenevano. Tuttavia l'inopportuna pressione di Roma e di Milano (che inviando lettere in appoggio ai congiurati fecero temere un'ingerenza nelle questioni della città) e il deciso intervento di Francesco Valori risultarono determinanti: la sentenza venne riconfermata e i cinque furono decapitati la notte stessa. I beni del C. furono incamerati dal governo fiorentino, eccettuate le cave di vetriolo, rilevate dai figli del fratello Antonio, che se ne occuparono fino al 1509.
Pochi anni prima di morire il C. aveva sposato Lisa di Amerigo Carnesecchi, dalla quale ebbe due figli: Bernardino, morto nel 1500, ed Alessandra.
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